Memoria e Futuro

Desiderio disertante

di Marco Di Salvo 22 Settembre 2025

Niente, ci siamo arrivati. La goccia l’ha fatta traboccare ieri è stata la notizia data in un tg regionale che un gruppo di manifestanti contro la guerra stamattina si sarebbe vista vicino uno svincolo per bloccare “L’A1 per Gaza”. Detta così, mi ha fatto pensare ad un’uscita irreale ma credibile per chi è infervorato, di questi tempi. Ed ho pensato che è di un’uscita che ho bisogno, anch’io.

Ma dicevo della goccia. Tra Gaza, Kirk, Putin, Meloni, Schlein e Vannacci, l’unico vero desiderio che provo è quello di sparire lontano dalla ripetizione quotidiana di notizie immobili. Mi sembrano (mi sembrate) tutti “Running to stand still“, per dirla con gli U2.

Diserto, adesso, mentre tutti si accalcano, si spingono, gridano, partecipano alzando i toni (ma non i contenuti). Diserto dal teatrino, dalla recita amara dove ognuno deve prendere il posto, impugnare il vessillo, sfidare il nemico. Basta, non ci sto più. Mi tolgo la tunica sporca di fango e parole avvelenate, lascio il campo pieno di urla che rompono il vento, che non servono a nulla, se non a farci restare prigionieri di una guerra che non vogliamo combattere davvero e simuliamo comodamente davanti ad uno schermo.

Stanco del coro di chi deve per forza schierarsi, della menzogna di dover prendere un lato, di definirsi, di mettersi in mostra come eroe del giorno. Diserto da tutto il chiasso, la litigiosità, il bisogno ossessivo di avere ragione, di agitarsi, indignarsi, urlare per farsi vedere, per dire “Io ci sono, io so, io decido”. Amici miei, può bastare la fatica di stare al mondo senza doversi vestire da soldato in cecità, che dite? Diserto dalle guerre dei social, dalle battaglie di messaggi, commenti, insulti, dalle missioni impossibili della verità unica e definitiva.

Ho già visto troppe cose. Ho già sentito echi di rabbia che scivolano come sangue sulle dita, fingendo che dentro alle discussioni ci siano anime e non armature. Ma le anime, quelle quelle vere, si stancano. E allora dico basta, smetto di partecipare. Mi ritiro, senza clamore, senza addii annunciati. Diserto dalla maschera, dal ruolo, da quella pressione di dover dimostrare di esserci sempre, di appartenere a uno schieramento, di fare la guerra alle idee diverse con furore. Vi lascio a confrontarvi ritenendovi indispensabili, mentre siete solo degli echi di messaggi spediti da lontano.

Non è viltà, questa cosa di andarsene. È un atto di coraggio, il più antico e il più sincero: scegliersi, ritrovarsi, lasciare il brusio sordo dietro le spalle. Disertare è il grido silenzioso che lascia andare la rabbia programmata della folla urlante, è la salvezza che passa per il disarmo della mente, la fuga dalla prigione del dovere sociale di partecipare al conflitto senza fine in cui pare si sia ingabbiati da qualche anno a questa parte (e chissà per quanti altri anni ancora).

E così vado, lento, fuori dal fragore, mentre la piazza digitale esplode ancora di fuoco e fiamme inutili, come anni fa ululavano i fax di rancore e indignazione, ai tempi delle piazze della cosiddetta “società civile” (bella roba, quella), di cui questi tempi sono forse figli naturali. Non mi serve il palco, né il palco mi vuole (fortunatamente). Diserto dal bisogno di spiegare, di convincere, di vincere la battaglia delle parole. Voglio solo il mio spazio, una terra senza lamenti né pretese di verità assolute. Un posto dove il silenzio non sia assenza, ma respiro. Dove non serve più combattere, ma solo esistere, libero, senza patenti, senza bandiere appese al collo.

Diserto, senza rancore, senza fretta. Perché in questa fuga, che è ritorno, c’è tutta la vita che vorrei ancora vivere. E pensare. E scrivere. Fuori da voi.

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