
Memoria e Futuro
Ego me absolvo
La politica è un palcoscenico senza pensionamento obbligatorio. Lo dimostra in questi giorni l’ex governatore di New York Andrew Cuomo, sconfitto nelle primarie democratiche per la carica di sindaco di New York il 2 luglio 2025, che già il 14 luglio ha lanciato la sua corsa indipendente con il movimento “Fight and Deliver”. “Quando cadi, impara la lezione, rialzati e rimettiti in gioco”, ha dichiarato nel video di lancio tra strette di mano e selfie con i sostenitori. Un ritorno che il sindaco uscente Eric Adams ha bollato come l’ultimo tentativo di un “perdente a doppia cifra” dopo la travolgente sconfitta contro il progressista Zohran Mamdani. Forse il sindaco uscente teme un’emorragia di voti “law and order” che potrebbero facilitare la vittoria del candidato ufficiale dei democratici.
Dall’altra parte dell’oceano, e più precisamente a casa nostra, questo copione è familiare. E, se nella cosiddetta prima repubblica la palma dei politici più “resilienti” (si direbbe oggi) andava certamente ai componenti delle compagini governative, nella seconda esempi di “attaccamento” (alla politica, naturalmente) sono stati frequenti nel centrosinistra.
A Palermo, Leoluca Orlando – sindaco per 22 anni (non di seguito) tra battaglie antimafia e rivolte partitiche, una roba che lo pone accanto a figure come quella di Paul Biya, presidente del Camerun che alla bella età di 92 anni ha deciso di ricandidarsi per un ottavo mandato, ha trasformato le sconfitte in nuove identità politiche.
Una storia, quella di Orlando, che affonda le sue radici esattamente a quarant’anni fa, il 16 luglio 1985, quando diventò sindaco democristiano di una giunta bicolore con il PCI (e l’appoggio esterno dei cosiddetti laici) in una Palermo soffocata dal caldo e dalla violenza mafiosa. Dopo aver abbandonato la DC nel 1991 per fondare “La Rete” ed essere diventato sindaco dal 1993 per due mandati consecutivi, nel 2007 denunciò brogli elettorali quando perse le comunali contro Cammarata. Cinque anni dopo, passò da sostenitore della candidata PD Rita Borsellino, sconfitta alle primarie del centrosinistra, a candidato alternativo, indipendente e vincente (senza brogli, naturalmente). Nel 2022, finito il doppio mandato da sindaco, si è reinventato ancora una volta candidandosi alle Europee come indipendente con i Verdi. Se non è Biya, poco ci manca visto che quest’ultimo è Presidente del Camerun dal 6 novembre 1982, quando succedette ad Ahmadou Ahidjo dopo le sue dimissioni. A oggi, il suo mandato dura da 42 anni, 8 mesi e 10 giorni.
Il gemello diverso di Leoluca Orlando, Enzo Bianco, dal 1988 figura centrale nella politica catanese, ha ricoperto il ruolo di sindaco in quattro mandati (uno nella prima Repubblica e tre nella seconda) e tentato altre candidature meno fortunate, caratterizzate da tentativi di ritorno nonostante ostacoli giudiziari e politici. A 72 anni annunciò la volontà di ricandidarsi alle comunali del 2023, proponendosi come leader di una “grande alleanza civica” trasversale, non legata esclusivamente al centrosinistra. Ma nell’aprile di quello stesso anno la Corte dei Conti lo dichiarò incandidabile per 10 anni, togliendo agli elettori catanesi la possibilità di rivederlo un’altra volta a Palazzo degli Elefanti. Ma il purgatorio è durato pochissimo. Nel 2024 la Cassazione ha annullato la sentenza di incandidabilità e quindi Bianco è potenzialmente di nuovo in corsa. Non per nulla sta valutando una nuova corsa a sindaco di Catania, puntando su un progetto civico trasversale, sebbene il Partito Democratico locale preferisca altre alleanze (e probabilmente altri candidati).
Dietro queste avventure più o meno solitarie si nasconde forse anche una frattura generazionale. Da Cuomo a Orlando, passando per Bassolino e Bianco, il rifiuto di ritirarsi rivela il conflitto tra autonominati leader e partiti in trasformazione. A New York, la candidatura di Cuomo rischia di frammentare il voto moderato, regalando la città al progressista Mamdani. In Italia, le scorciatoie indipendenti hanno permesso a Orlando di approdare al Parlamento Europeo, Bianco ha cercato di ritrovare il consenso della sua coalizione (ad oggi infruttuosamente).
Il dilemma resta aperto: resilienza democratica o ostinazione dannosa? Mentre Cuomo sfida i democratici che lo hanno ripudiato, Orlando e Bianco dimostrano (in maniera diversa) come un nome possa puntare a valere più di un partito (in questo confermando l’antica definizione dalemiana di cacicchi rivolta a questi politici figli dell’ultima decade del novecento). Ma in questo gioco pericoloso, dove l’ego dei leader incontra il malcontento degli elettori, l’unica certezza è che per certe glorie politiche, l’ultima parola non è mai davvero scritta. Perché in politica, come nella vita, ciò che non ti uccide ti rende più forte… ma solo se sai quando cedere il passo.
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