
Memoria e Futuro
Errori di risposta
Grandi polemiche (di panna montata, come sempre) sull’assenza di figure istituzionali italiane a Wimbledon domenica a tifare per il numero uno mondiale. Alcaraz poteva contare addirittura sul suo re, dei nostri neanche un sottosegretario allo sport a presenziare. Ora, ad allontanare dal palco del torneo inglese i “potenti” italiani, oltre alla sempiterna paura di portare male a chi si tifa (con le ovvie conseguenze di tipo elettorale, visto la solidità del consenso nel nostro paese), a mio modo di vedere è proprio una caratteristica mostrata dal campione altoatesino nel corso della sua (ancor breve) carriera.
Una peculiarità di Jannik Sinner sta infatti nella sua capacità chirurgica di dissezionare una sconfitta, estrarne il nucleo velenoso e trasformarlo in carburante per l’ascesa successiva. Ogni rovescio diventa lezione, ogni smacco un algoritmo da correggere. Un processo così limpido da sembrare innaturale, specie se paragonato al pantano della politica italiana, dove gli errori non si studiano, si ereditano come tristi cimeli di famiglia.
Prendiamo Giorgia Meloni. Dopo anni passati a denunciare l’ingovernabilità e i veti incrociati, eccola oggi impantanata nel labirinto del premierato e della riforma elettorale. Prometteva rottura, ma ripropone la solita minestra riscaldata: maggioritario blindato che s’illude di guarire la frammentazione tagliando le gambe alla rappresentanza. Bella storia. Un déjà-vu che sa di Renzi, di Berlusconi, di tutti quelli che hanno scambiato il potere per una bacchetta magica. Sbaglia come i suoi predecessori, con la stessa solennità.
Poi c’è Elly Schlein. Criticava il PD per la deriva identitaria, la liturgia dei valori senza sostanza, le decisioni imposte dall’alto dai “caminetti”. E oggi? Trascina il partito in nuove guerre di religione interna: simboli, linguaggio, ortodossie progressive. L’elettore (e candidato) periferico che soffre? Rimane sfondo, come ai tempi di Renzi o Zingaretti. Cambia il vocabolario, ma la musica è sempre quella: un’ossessione per la (presunta) purezza ideologica e per il rinnovamento che paga però lo scotto di cedere sovranità ad alleanze “pericolose” per vincere.
Sinner perde un set, rivede i video, aggiusta l’angolo del servizio. La politica italiana perde pezzi di Paese, e la risposta è un rito collettivo: scaricare colpe, cambiare le poltrone in sala regia, riscrivere la sceneggiatura con gli stessi cliché. Si commettono errori identici con devozione religiosa, come se ripeterli fosse un atto di resistenza alla storia. L’unica differenza? Sinner, dopo la batosta, alza coppe. Loro, dopo la batosta, alzano solo la voce. E la palla – quella del futuro – rimbalza a vuoto in un’aula parlamentare semideserta. Come il seggio elettorale.
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