Memoria e Futuro

Esperienze “cash&carry”

di Marco Di Salvo 4 Giugno 2025

Immagino di scrivere per dei lettori avvertiti, maturi, che sappiano di cosa sto parlando, quando racconto delle mie cose, più o meno personali, legate ad un’adolescenza novecentesca. Ad esempio, ricordate quando i nonni, i genitori, lo zio saggio al bar, ci martellavano con quel mantra sacro? “Eh, ragazzi, che ne sapete voi? voi dovete farvela l’Esperienza!” Pronunciato con la solennità di un’oracolo, sottintendeva anni di gavetta, calli alle mani, notti in bianco, stipendi da fame e la nobile arte di “saperci fare” nel mondo reale, quello duro. L’Esperienza, con la E maiuscola, era un rito di passaggio doloroso ma necessario, una sorta di vaccino contro la fancazzaggine giovanile. Un investimento sudato per un futuro migliore.

E mentre i migliori di noi, guardando i propri figli e conoscenti più giovani, si rifiutano di ripetere le stesse teorie sull’esperienza dei loro predecessori (vista anche la poca fiducia applicabile oggi alle sorti progressive dell’umanità), guardate un po’ dove siamo arrivati. Oggi l’esperienza non te la devi più “fare”. Te la vendono. Anzi, è diventata la merce più inflazionata del mercato, un prodotto confezionato con tanto di hashtag e atmosfera Instagram-ready.

Un tempo compravi una birra. Oggi compri “un’esperienza artigianale di degustazione sensoriale in un locale con luci soffuse e playlist curata da un DJ sconosciuto ma chic”. Paghi non per il liquido in sé, ma per l’aura di esclusività, per la storia (inventata ieri) della microbirrificazione, per il diritto di raccontare che hai “scoperto” quel posto prima di tutti. È l’antitesi della birretta al bar dello sport, quella vera, senza story da postare.

I nostri antenati si facevano l’esperienza zappando la terra o imparando un mestiere in bottega. Noi la compriamo in pacchetti da due ore: workshop express di ceramica (dove crei un coccio informe che diventa, per magia del marketing, “autentico”), cene immersive in cui mangi al buio o su un materasso (perché l’esperienza deve destabilizzare almeno un senso), escape room per sentirci detective per un’ora senza rischiare la pelle, viaggi esclusivi con tutto compreso, soprattutto la fatica, le scomodità e le sofferenze, in quanto obiettivo dell’esperienza.

È l’esperienza in pillole, in formato snack, pronta all’uso e, soprattutto, pronta per essere condivisa. Perché un’esperienza che non diventa contenuto è un’esperienza sprecata, no?

La genialata del marketing è stata rubare una parola seria, pesante, legata alla fatica e alla competenza (“Eh, quello sì che ha esperienza!”), e trasformarla in un gadget emotivo. Hai bisogno di significato, di emozioni forti (ma controllate), di storie per il tuo feed? Niente paura, c’è un’esperienza in vendita per te. Vuoi sentirti un avventuriero? C’è il glamping (campeggio col parrucchiere e Wi-Fi). Vuoi sentirti un artista? Un laboratorio di pittura a tema vino (dove il vino aiuta a non notare che dipingi come un bambino di 5 anni). È il trionfo del “facciamo finta che”, perfettamente confezionato per generazioni cresciute tra reality show e social network, dove l’apparire conta più dell’essere e il vissuto autentico è spesso sostituito dal vissuto in diretta.

L’ironia suprema? Quelli che una volta ci dicevano di “farcela l’esperienza” ora sono spesso i primi clienti di questo circo. Perché anche l’anziano sagace, oggi, vuole la sua “esperienza gastronomica memorabile” o il “tour emozionale” in un posto esotico (con comodo pullman e guida). Purché, ovviamente, possa poi raccontarla ai nipotini, magari sfoderando lo smartphone con un orgoglio che fa a pugni con le prediche di un tempo. Il cerchio si chiude. L’Esperienza non si fa più, si compra. E tutti, giovani e meno giovani, siamo in fila alla cassa, pronti a pagare per un po’ di magia (artificiale) e un souvenir da mettere sullo scaffale… o sul profilo Instagram. Perché, alla fine, anche i nonni hanno capito: un’esperienza che non diventa una story, è come se non ci fosse mai stata. Tempi duri? Macché. Tempi… esperienziali.

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