Memoria e Futuro
Giorgia e i Fratelli di Pietro Ammicca
Nell’insoddisfazione generale per l’attività del governo, sebbene ignorata da sondaggi improbabili che mantengono le cose più o meno a come stavano nell’ottobre del 2022, c’è da sottolineare un caso specifico di frustrazione. Riguarda proprio un’area di riferimento politico più vicina di esponenti di fratelli d’Italia, quella legata alle stragi di Stato e ai presunti depistaggi che portarono esponenti neofascisti ad essere accusati e condannati per alcuni dei casi più clamorosi, come quella di Bologna.
Ebbene, su questo argomento, il silenzio da parte degli esponenti di Fratelli d’Italia, anche dei coetanei che hanno combattuto per le strade negli anni settanta fianco a fianco con uomini e donne come Valerio Fioravanti e Francesca Mambro, è stato assordante. E dire che è uno dei campi di battaglia sotterranei della propaganda di Fratelli d’Italia era proprio questo, la promessa che, al momento in cui loro fossero andati al potere (non come ruota di scorta ma in posizione preminente) avrebbero aperto gli armadi e dischiuso i cassetti dove erano nascoste la verità indicibili per lo stato. Una promessa non da campagna elettorale, naturalmente, ma da ammicco in consessi più ristretti, dove si riunivano i più puri tra i puri.
Quasi tre anni dopo l’ingresso di Fratelli d’Italia al governo, la promessa implicita di fare luce sui “misteri italiani” appare tradita. Molti nell’universo neofascista avevano coltivato l’illusione che l’accesso ai ministeri chiave avrebbe finalmente spalancato gli archivi segreti, scagionando i loro militanti incarcerati nei decenni scorsi per stragi e terrorismo. Figure proprio come Fioravanti e Mambro, condannati all’ergastolo per la strage di Bologna del 1980 ma sempre autoproclamatisi innocenti, attendono da decenni una riabilitazione ufficiale. Già più di trent’anni fa in un’intervista a Gianantonio Stella, lanciarono messaggi di questo tipo, praticamente inascoltati. Eppure, nonostante il controllo (indiretto) di Interno e Giustizia, quei dossier sono rimasti sigillati.
Questo silenzio probabilmente rivela una scomoda verità per quel segmento del mondo politico: quelle sentenze definitive – frutto di processi trentennali che hanno inchiodato non solo esecutori ma anche mandanti e depistatori – paiono essere inattaccabili. Aprire gli archivi oggi confermerebbe ulteriormente le responsabilità della galassia nera, non le cancellerebbe.
La scelta del quieto vivere emerge con chiarezza anche nell’unico caso di impegno diretto sul tema, la proposta di creare una commissione parlamentare sulla violenza politica degli anni ’70, a prima firma dell’esponente di FdI Andrea Raspelli. Mentre i familiari delle vittime di Bologna l’hanno bollata come “l’ennesimo tentativo di riscrivere la storia”, l’iniziativa appare un depistaggio istituzionale: si preferisce avviare un dibattito generico piuttosto che desecretare documenti specifici. Una scelta bizzarra, quasi fatta per fare, per continuare ad ammiccare verso quell’universo di sconfitti dalla storia.
La frattura storica tra i neofascisti incarcerati e quelli “in aria” – che già negli anni ’70 venivano accusati di essersi “venduti alla democrazia” – si ripropone oggi, anche se con meno ritorno mediatico e di conseguenze pratiche. Chi sconta condanne per stragi si ritrova così doppiamente tradito: prima dallo Stato che li ha puniti come esecutori materiali proteggendo i veri mandanti, ora dai loro eredi politici che, pur avendo il potere, evitano di scoperchiare il vaso di Pandora. Il motivo è lampante: quei dossier non contengono la prova dell’innocenza degli ambienti neofascisti, ma rivelerebbero invece i legami organici tra apparati deviati dello Stato, logge massoniche e gruppi eversivi. Una verità che imbarazzerebbe l’attuale esecutivo nella sua ricerca di rispettabilità internazionale.
Mentre l’orologio della stazione di Bologna resta fermo alle 10:25, il silenzio del governo su stragi e terrorismo parla più di mille discorsi. Non è solo la memoria delle vittime a essere offesa, ma la stessa pretesa di verità dei pochi che, in galera, ancora spera in una giustizia piena. Eppure, come ha ricordato il presidente Mattarella, le sentenze hanno già scritto la storia: dietro quelle bombe c’era una regia neofascista. Tenere chiusi gli archivi significa ammettere che non esistono verità alternative da scoprire, solo scomode complicità da nascondere. Nel frattempo, si continua ad usare la tecnica di Pietro Ammicca, per trattenere certi consensi, finché funziona naturalmente.
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