
Memoria e Futuro
Il fumo e la nebbia
E se un giorno, neanche troppo lontano (speriamo), ci fosse un black out (stile spagnolo) ma delle st®°π%@te con cui alimentiamo in maniera ininterrotta il flusso delle notizie in questi ultimi anni, come riempiremo i giornali e i Mass media in genere? Viene da chiederselo, a guardare come oramai gran parte della comunicazione si trova impegnata a discutere e argomentare sul nulla.
Nel 2025, le fake news, soprattutto quelle di stampo conservatore, hanno raggiunto una capacità di penetrazione dei mass media tale da trasformarsi in veri e propri strumenti di potere, plasmate come sono per sfruttare le fragilità dei mezzi di comunicazione e la polarizzazione dell’opinione pubblica. Tra conclavi, campagne politiche e retorica governativa, la disinformazione oramai domina e si insinua con una disinvoltura che sfida ogni fact-checking, mentre i leader sfruttano questa opacità per consolidare il controllo narrativo, attaccando chi osa contraddirli. Qualche esempio?
Il conclave per eleggere il successore di Papa Francesco è diventato in poche settimane un laboratorio di narrazioni distorte. Fake news hanno preso di mira la salute dei cardinali favoriti, come Pietro Parolin, vittima di “svenimenti” durante le congregazioni, e Matteo Zuppi, ritratto in un video manipolato mentre barcollava durante una messa. La realtà? Parolin ha smentito ridendo, definendo le voci “fantasie da barella”, mentre Zuppi aveva semplicemente inciampato su un tappeto. Eppure, queste storie, diffuse da blog conservatori e amplificate su Telegram, hanno seminato dubbi sulla capacità dei candidati di guidare la Chiesa, trasformando il processo elettorale più segreto al mondo in un reality show da tastiera. L’opacità del conclave, per tradizione inviolabile, è stata sfruttata per costruire narrazioni polarizzanti, utili a influenzare sia i fedeli che i media mainstream, spesso costretti a rincorrere il gossip invece della sostanza.
Un altro soggetto meritevole di studio è il Presidente USA. Donald Trump, nel suo secondo mandato, ha perfezionato l’arte di ribaltare la verità. Quasi paradossalmente, visti i soggetti, la sua amministrazione ha pubblicato “100 Days of Fighting Fake News”, un documento che elenca presunte “bufale” dei media. Insomma, come la storia famosa del bue e dell’asino. Intanto, Trump ha intensificato gli attacchi legali contro testate come CBS e NBC, già accusate di manipolare i dibattiti elettorali, mentre la FCC (Federal Communications Commission) indaga sulle reti per presunte violazioni delle regole di “par condicio” . La strategia è chiara: screditare ogni fact-checking come “censura” e trasformare i giornalisti in bersagli, sostenendo che solo lui detenga la “verità primaria” .
Anche da noi non si è di meno, come si è visto la scorsa settimana. Giorgia Meloni, nell’intervista ad Adnkronos, ha offerto un masterclass di retorica post-verità. Rivendicando i successi del governo su occupazione ed export, ha citato dati gonfiati del 15%, poi corretti da Istat e Confindustria. Sul tema libertà di stampa, ha negato problemi nonostante l’Italia sia all’ultimo posto in Europa occidentale secondo Reporters sans frontières (RSF), che segnala 47 casi di aggressioni a giornalisti in un anno. La sua difesa? Accusare i media tradizionali di “ossessione anti-governativa” e celebrare l’apertura di spazi a voci “prima escluse”, un’allusione velata a testate e giornalisti allineati al governo. Quando i giornalisti chiedono conto delle discrepanze, la retorica vittimista entra in gioco: i presunti attacchi sessisti subiti dalla premier diventano un’arma per delegittimare le critiche, trasformando ogni verifica in “campagna diffamatoria” .
Il 2025 conferma che la post-verità non è un incidente di percorso, ma un sistema collaudato. I politici come Trump e Meloni sanno che una bugia ripetuta con sufficiente audacia (vedi i dati gonfiati o i video manipolati) ottiene più risonanza di una smentita in pagina 12. I media, stretti tra la fretta di pubblicare e la paura di perdere accessi, finiscono per amplificare il rumore invece che smontarlo. E il pubblico, bombardato da algoritmi che premiano lo scandalo, fatica a distinguere il fumo bianco del conclave dalle nebbie della disinformazione. Come scriveva un prelato sul Conclave: “Qui dentro si vota con Dio, ma fuori si vince con le chiacchiere”. Oggi, quelle chiacchiere hanno un account verificato.
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