Memoria e Futuro

Il giudizio del prime time

di Marco Di Salvo 10 Luglio 2025

La relazione tra magistratura e mass media in Italia da tempo naviga in acque che si fanno sempre più torbide. Le recenti risultanze processuali del cosiddetto caso Bibbiano rimangono l’emblema di un cortocircuito devastante tra istituzioni, media e politica. Quella vicenda, con le sue strumentalizzazioni selvagge, trasformò gli assistenti sociali in “ladri di bambini” attraverso titoli incendiati e dibattiti tossici fomentati da una politica incapace di resistere alla speculazione più becera, svuotando il processo di ogni garanzia e lasciando ferite ancora aperte nella professione e nella collettività.

È in questo clima, di cui Bibbiano è solo l’esempio più eclatante dei mille che, purtroppo, si possono fare, che l’esposizione mediatica di figure come il procuratore Nicola Gratteri suscita interrogativi profondi. Mentre prepara un programma televisivo su La7 dedicato alle mafie, Gratteri appare coccolato da una parte dei media e della politica nonostante i risultati non sempre entusiasmanti (per usare un eufemismo) delle sue indagini. La sua presenza in prima serata, giustificata con il “dovere di parlare contro l’omertà”, rischia però di continuare l’opera di trasformazione della giustizia in spettacolo, replicando precedenti “teatrini”, come denunciato da chi vi intravede “la metamorfosi finale del processo mediatico” . Del resto, lo stesso Gratteri non esita a lanciare attacchi plateali – come quello al guardasigilli Nordio durante una trasmissione di poco tempo fa– alimentando la polarizzazione e utilizzando il palcoscenico mediatico per battaglie istituzionali.

A livello più locale, il procuratore di Prato Luca Tescaroli incarna un modello in sedicesimo, sebbene diverso nello stile. Da quando ha assunto il ruolo di capo della procura toscana, sono aumentate le indagini a favore di telecamera con titoli roboanti (ma non erano stati vietati?) e allarmi costanti sulle condizioni criminali della zona. Forse proprio per questo è stato da poco premiato dall’Associazione Stampa Toscana con una “pergamena al merito” per il suo “equilibrio” nella comunicazione giudiziaria. Tescaroli ha gestito, dice la motivazione, casi complessi – dall’esplosione di Calenzano al “giardino degli orrori” – garantendo trasparenza senza cedere alla spettacolarizzazione, dimostrando come sia possibile “bilanciare i valori costituzionali” senza inquinare il processo. Un approccio che l’Associazione Stampa ha difeso con fierezza dalle critiche, sottolineando l’importanza di “non nascondere i crimini in un cassetto” pur nel rispetto delle regole. Di certo c’è che, negli ultimi mesi, di lavoro ai colleghi della giudiziaria ne ha fornito a bizzeffe e penso che sia proprio per questo che la stampa toscana ringrazia. Vedremo con che conseguenze pratiche al momento dei giudizi definitivi.

Io, personalmente, mi permetto di consigliare a chi volesse approfondire televisivamente le tematiche del futuro programma televisivo di Gratteri, l’esperienza di Pietro Grasso, che da procuratore antimafia ideò le “Lezioni di Mafia”: un programma in 12 puntate su RaiPlay, concepito come strumento didattico per le scuole nella Giornata della Legalità. Diversamente dal format presentato per l’esordio televisivo di Gratteri da conduttore, quel progetto mantenne un tono storico-documentariale, lontano dai riflettori del prime time, concentrandosi sull’analisi strutturale del fenomeno mafioso senza cedimenti alla narrazione sensazionalistica. Proprio questa scelta di campo – educativa anziché spettacolare – rappresenta forse l’alternativa più credibile per conciliare divulgazione e deontologia. Chi volesse affrontare il tema senza scivolare nella giustizia-spettacolo potrebbe oggi recuperare quelle lezioni su RaiPlay, dove Grasso spiega radici e ritualità della mafia preservando l’austerità del ruolo istituzionale.

Se Bibbiano (e i suoi fratelli) hanno insegnato qualcosa, è che quando l’informazione diventa “pubblica accusa” e la politica trasforma le inchieste in campagne elettorali, a sgretolarsi è la fiducia nell’intero sistema. Grasso ha dimostrato che un’altra comunicazione è possibile: rigorosa, al servizio dei cittadini, non dei palinsesti. Gratteri, con la sua “sbornia mediatica”, rischia invece di consegnare la toga al circo dell’audience, replicando gli errori che hanno trasformato Bibbiano in una ferita aperta della democrazia.

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