Già vent'anni fa, quando ci si chiedeva come mai in certe zone della Sicilia le strade fossero piene di buche, si spiegava che i fondi per colmarle c'erano, ma erano stati deviati alla causa del Ponte sullo Stretto

Memoria e Futuro

Il Ponte fa buca*

di Marco Di Salvo 22 Maggio 2025

All’incirca una ventina d’anni fa, per gli strani giri che ha fatto la mia vita, mi trovai a vivere in una zona non proprio metropolitana della Sicilia, le cui strade principali erano gestite dall’allora ancora elettiva provincia, presieduta in quel periodo da Raffaele Lombardo. Preoccupato per le condizioni degli asfalti e per i rischi connessi, provai a capire per quale motivo quelle strade non venivano mai riparate. Scoprì così, parlando con un dirigente dell’ente, che in realtà i fondi per la manutenzione di quelle strade erano state genialmente deviati dal loro presidente per consentire una partecipazione azionaria dell’Ente provinciale alla società incaricata della costruzione del ponte sullo stretto.

Per questo non mi ha per nulla sorpreso né scandalizzato la notizia che è girata in questi giorni, relativa al fatto che l’attuale ministro dei trasporti ha immaginato lo stesso tipo di operazione di “distrazione dei fondi” per raggiungere il medesimo obiettivo, la costruzione del Ponte.

Il Ponte sullo Stretto, del resto, non è un semplice progetto infrastrutturale. È una metafora dell’Italia: un’idea ambiziosa, costosa, tecnicamente discutibile e perennemente in bilico tra la realtà e la fantasia. È il “ce l’abbiamo quasi quasi” nazionalizzato. E mentre i sindaci si improvvisano geologi per classificare le buche come “vulcani inerti” (magari per spuntare da lì qualche fondo da utilizzare per ripararle), il governo scommette su un’opera che, nelle previsioni più ottimiste, sarà completata quando i nostri pronipoti leggeranno di noi sui libri di storia… nella sezione “Curiosità del XXI secolo”.

C’è poi il lato economico: il Ponte, si dice, “darà impulso al turismo e ai commerci”. Peccato che, al momento, per raggiungere le località turistiche calabresi e siciliane, i visitatori debbano affrontare un percorso a ostacoli degno delle Olimpiadi. Ma tant’è: meglio un ponte che collega due regioni dove, spesso, neanche gli abitanti locali sanno cosa c’è dall’altra parte, che non asfaltare una rotonda.

E qui sorge la domanda: ma i fondi per le strade provinciali chi li chiede? Le buche, si sa, non votano. Non fanno foto sui social con la scritta “Lavori in corso”, non compaiono nei discorsi del Premier come simbolo di rinascita. Sono l’anti-eroe dell’infrastruttura: anonime, fastidiose, democraticamente distribuite.

Il Ponte, invece, è un’icona. Un selfie politico che dice: “Guardate cosa ho fatto!”, anche se, in pratica, servirà principalmente a far passare i tir che trasportano arance e speranze deluse.

C’è chi sostiene che sia un investimento per il futuro. Giusto. Perché preoccuparsi delle strade di oggi quando puoi costruire un ponte per domani? Peccato che, nel frattempo, le automobili italiane si trasformino in mezzi anfibi e i ciclisti provinciali inizino a richiedere elmetti da alpinismo.

La decisione del Ministero è un capolavoro di ironia all’italiana: preferire l’epica alla praticità, il sogno alla realtà, il cemento al catrame. E mentre il Ponte sullo Stretto diventerà forse il simbolo di un’Italia che mira al cielo ma inciampa sulle buche, noi cittadini impareremo a schivare le voragini con la grazia di ballerini di tango. Perché, si sa, in questo Paese l’arte di arrangiarsi è sempre stata più affascinante della semplice manutenzione. E, alla fine, ad unirci non sarà un ponte, ma le buche.

*è un modo di dire toscano

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