Memoria e Futuro
La copertina corta
27 ottobre 1975: un giovane Bruce Springsteen, sudato e speranzoso, compare miracolosamente sulla copertina di Time e Newsweek nella stessa settimana. “Rock’s New Sensation” titola il primo, “The Making of a Rock Star” spara il secondo. Springsteen, da bravo eroe proletario, commenta: “Ma che fenomeno? L’hype è solo rumore”. L’anno dopo però, in un concerto in Michigan, cambiando alcune strofe di Rosalita, canta trionfante: “Tell him I ain’t no freak / ’Cause I got my picture / On the cover of Time and Newsweek!” (trovate il brano al link scorrendo fino a 1h20 circa). Era l’apice di un’epoca in cui quelle copertine significavano l’ingresso nel pantheon culturale.
24 luglio 2025: Giorgia Meloni fissa i lettori dalla copertina del Time, con un titolo che suona come una profezia: “Dove sta conducendo l’Europa”. Fratelli d’Italia esulta: “Solo De Gasperi e Meloni, 77 anni dopo, hanno avuto copertine così positive!” . Peccato che nel 2025, mentre il Time si aggrappa a un’aura di prestigio, nessuno ricordi più cosa sia un “settimanale di opinione”.
Negli anni ’70, una doppia copertina era un rito di passaggio: trasformava un musicista in mito, un politico in statista. Oggi è un esercizio di sopravvivenza per riviste che sanno di naftalina digitale. Il Time, tuttora in edicola per miracolo, prova a resuscitarsi aggrappandosi a leader “controverso-consacratori”: prima Salvini (“Il nuovo volto dell’Europa”, 2018), poi Meloni. Ma mentre Springsteen temeva il “rumore” mediatico, oggi i politici bramano quelle copertine come attestati di rispettabilità globale.
Cinquant’anni fa, una copertina scatenava dibattiti nei bar, nelle università, nelle fabbriche. Oggi un post di Trump che immagina Obama in cella fa più rumore di un servizio sul “nuovo nazionalismo europeo”. I settimanali, ridotti a reliquie di carta patinata, sopravvivono solo perché i politici li usano come trofei da brandire contro gli avversari interni: “Vedete? Il Time mi ama, voi siete dei provinciali!” (dopo essere stata tra quelli che tacciavano di provincialismo coloro che brandivano i pareri dei giornali stranieri come clave contro il centrodestra).
Un tempo, questa copertina sarebbe stato un evento geopolitico di prima grandezza. Oggi è poco più di un tweet glorificato, destinato a finire dimenticato nel tritacarne dell’informazione digitale prima ancora che le copie cartacee raggiungano le edicole.
La parabola discendente dei settimanali di opinione racconta una storia di potere perduto che attraversa oceani e continenti. Se negli Stati Uniti assistiamo al lento declino di testate storiche, ridotte a fantasmi del loro passato glorioso, in Italia lo scenario è ancora più desolante. Panorama, un tempo voce autorevole e indipendente, è diventato l’organo ufficioso di qualche parte politica, trasformandosi da influencer d’antan a megafono. L’Espresso, dopo il periodo da inserto semi gratuito di Repubblica, galleggia in edicola senza alcuna rilevanza nel dibattito pubblico nazionale.
Ricordate quando L’Economist faceva tremare i palazzi del potere italiano? Le sue copertine su Berlusconi erano eventi politici, capaci di smuovere mercati e influenzare elezioni. Appena vent’anni fa, una copertina negativa del settimanale londinese poteva far vacillare un governo. Oggi, se anche dedicassero l’intera rivista a uno scandalo italiano, probabilmente finirebbe sepolta sotto una valanga di meme su TikTok.
Il problema non è solo la concorrenza dei social media o la crisi della carta stampata. È che questi settimanali hanno perso la loro funzione sociale fondamentale: essere mediatori credibili tra la complessità della realtà e l’opinione pubblica. Hanno rinunciato al loro ruolo di watchdog per diventare, spesso, cani da riporto di vari padroni. I settimanali di opinione, un tempo arbitri del dibattito pubblico, sono diventati spettatori marginali di una partita che si gioca altrove.
La copertina di Time su Meloni durerà il tempo di una storia su Instagram, proprio come quella doppia su Springsteen oggi appare un anacronismo di un’epoca in cui i media avevano ancora il potere di decidere cosa fosse importante. Bei tempi, quando bastava una copertina per scuotere il mondo.
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