Si avvicinano il referendum del prossimo giugno: un segno della democrazia dormiente ritratta da Samuele Bersani nello scrutatore non votante

Memoria e Futuro

La democrazia inattiva

di Marco Di Salvo 6 Maggio 2025

A volte, quando sento argomentare a favore del periodo della cosiddetta prima Repubblica, raffrontata con quello che stiamo vivendo adesso, mi vengono in mente tutte le scorie che proprio da quel periodo ci trasciniamo dietro, incapaci di modificarle da 30 anni.

L’esempio sotto gli occhi di tutti in questi giorni è quello del referendum, strumento usato nel nostro paese non già per dare più libertà di voto ai cittadini e capacità di decidere direttamente quanto per un mero gioco di tattiche politiche. Infatti il referendum era uno di quegli aspetti della nostra Costituzione che non avevano avuto, almeno fino a quando alla Democrazia Cristiana non fu utile, alcuna applicazione con una normativa precisa. È già all’origine l’articolo 75 della costituzione ne limitava abbondantemente l’uso, tant’è che fu inserito il quorum nei referendum, una cosa che si vede praticamente solo da noi e che, per inciso, nessun partito o coalizione di governo dagli anni settanta in poi, quando il referendum ha fatto attivamente parte dello scenario politico nazionale, ha pensato di abrogare. Una norma che pare fatta apposta proprio per impedire ai cittadini di esercitare questo diritto, delegandolo quasi esclusivamente ai bisogni di chi è al potere o di chi ha un potere (vedi referendum 2005 sulla fecondazione assistita).

Quello stesso quorum che permette oggi a chi non vuole che si parli di un argomento anche al centro del dibattito nazionale, di approfittare del naturale disinteresse dei nostri concittadini e spingere, per quanto possibile, al disimpegno elettorale. Se a questo aggiungiamo la propensione negli ultimi anni da parte dei proponenti a trasformare il referendum in uno strumento di micro modifiche normative spacciate per svolte epocali, ci troviamo di fronte allo schema del delitto perfetto la cui vittima è proprio lo strumento referendario.

Per questo siamo costretti in questi giorni ad osservare lo spettacolo ignobile di tutti quelli che si stracciano le vesti dopo ogni consultazione elettorale (quando si riduce il numero degli elettori) in prima fila a parlare di astensionismo politico o astensionismo tattico come se fossero delle idee intelligenti, non capendo che proprio così alimentano la distanza tra i cittadini e la politica. O capendolo benissimo e agognando una democrazia a partecipazione limitata. D’altronde, qualsiasi riforma elettorale approvata in questa cosiddetta seconda Repubblica, che a me pare sempre di più il secondo tempo della prima, ha fatto di tutto per limitare la partecipazione attiva dei cittadini alla vita politica. Il quorum e l’invito all’astensione politica al referendum danno anche una giustificazione “etica” al disinteresse.

Evviva dunque la democrazia inattiva all’italiana, l’unico sistema al mondo dove la vittoria si ottiene convincendo la gente a restare sul divano! Dove il “non fare” vale più del fare, dove il silenzio urla più forte di qualsiasi “sì” o “no”, e dove l’assenza diventa paradossalmente la forma più efficace di presenza politica. Mentre il resto del mondo si affanna a portare la gente alle urne (con risultati, vedi Romania, che a volte che fanno pensare a lungo sull’utilità di questa scelta), noi abbiamo elevato l’arte di starsene a casa a sofisticatissima strategia costituzionale. Un paese dove l’inno di Mameli andrebbe sostituito da questa canzone di Samuele Bersani. Magari con un bel referendum.

Commenti

Devi fare login per commentare

Accedi

Gli Stati Generali è un progetto di giornalismo partecipativo

Vuoi collaborare ?

Newsletter

Ti sei registrato con successo alla newsletter de Gli Stati Generali, controlla la tua mail per completare la registrazione.