Memoria e Futuro

La malaparata

di Marco Di Salvo 9 Maggio 2025

Ieri parlavamo di guerre che saranno, oggi ci tocca scrivere di una cosa che sin da quando ero adolescente mi faceva venire l’orticaria, le parate militari, ovvero, in soldoni, la rappresentazione del potere della violenza a scopo intimidatorio. Da quella del 2 giugno in Italia a quella del 9 maggio a Mosca, ho sempre provato una notevole distanza ideale dalla formazione militare e dall’idea di andare in riga a muoversi come fanno i soldatini. Non mi piacciono Neanche le esibizioni acrobatiche delle varie formazioni aereonautiche nazionali. Per decenni, dopo averla trovata per caso, una delle mie citazioni preferite era quella di Albert Einstein che diceva all’incirca così: “Disprezzo profondamente chi è felice di marciare nei ranghi al seguito di una musica: costui solo per errore ha ricevuto un cervello”

Crescendo mi sono abbeverato alla formazione antimilitarista radicale, conservo gelosamente una copia del manifesto della prima marcia degli antimilitaristi nonviolenti  da Redipuglia a Udine. La stessa cultura che, negli anni settanta, portava il Partito Radicale ad organizzare controparate a Roma in occasione della festa della Repubblica o delle manifestazioni per la festa delle forze armate o che era alla base della raccolta delle firme sui referendum sulle smilitarizzazioni delle forze di polizia. Insomma la parata non fa per me. E, devo dire, visti i soggetti che ancora oggi vanno a mettersi in prima fila per farsi vedere durante queste manifestazioni ne sono ben contento.

“Sono contro ogni bomba, ogni esercito, ogni fucile, ogni ragione di rafforzamento, dello stato, di qualsiasi tipo”,” scriveva Marco Pannella, voce instancabile dell’antimilitarismo italiano, nell’introduzione “Underground a pugno chiuso” di Andrea Valcarenghi. Parole che sembrano cadere nel vuoto mentre i missili balistici intercontinentali vengono trasportati come trofei davanti a folle entusiaste e dignitari in tribuna.

Ma chi sono questi dignitari? Non solo i prevedibili autocrati che usano le parate come estensione del proprio ego. La vera commedia sta nella metamorfosi di certi leader “progressisti” che, con la stessa facilità con cui un tempo infiammavano le piazze contro l’imperialismo, oggi applaudono compiaciuti i mezzi corazzati.

Prendiamo il compagno Lula, passato dal guidare scioperi nei sobborghi industriali di San Paolo a congratularsi con Putin mentre i soldati marciano come marionette. L’ex operaio metallurgico che ora si gode lo spettacolo dei metalli lucidati a specchio dei carri armati T-14 Armata. La sua evoluzione dalla tuta blu alla cravatta rossa è emblematica di una sinistra che ha scambiato l’internazionalismo proletario con un pragmatismo diplomatico che si inchina davanti a qualunque potenza, purché anti-occidentale.

Non è solo in questa contraddizione. La tribuna d’onore sulla Piazza Rossa ospita regolarmente un curioso campionario di ex rivoluzionari convertiti alla “democratura” – quella peculiare forma di governo che mantiene l’apparenza della democrazia mentre ne svuota la sostanza, proprio come quelle uniformi militari piene di medaglie mai guadagnate sul campo.

Le parate militari rimangono così un anacronismo, un costoso teatro dell’assurdo che distrae dai veri problemi, in quasi tutti i paesi che fanno sfoggio così di “potenza”. Mentre i missili sfilano, le scuole crollano. Mentre gli elicotteri volano in formazione, gli ospedali mancano di personale. Un paradosso che avrebbe fatto sorridere amaramente Pannella, che ammoniva anche le anime belle del pacifismo un tanto al chilo, molto di moda anche oggi: “La pace non è solo assenza di guerra, ma presenza di giustizia.” Una lezione purtroppo dimenticata, visti i tempi e gli atteggiamenti dei più.

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