
Memoria e Futuro
La Trump therapy
Sono bastati pochi mesi alle leadership internazionali per prendere le misure a Trump, soprattutto per quanto riguarda i rapporti interpersonali e addirittura arrivare a sfruttarne le sfuriate. Dopo lo shock Zelens’kyj, i successivi invitati alla Casa Bianca hanno prima fatto buon viso a cattivo gioco, poi imparato a sfruttare il conflitto verbale con il capo della Casa Bianca per migliorare le condizioni di consenso interno. Da Carney al presidente sudafricano Ramaphosa è stato un crescendo di tentativi sempre più imbarazzanti da parte dell’inquilino della Casa Bianca di ribadire la sua bullesca leadership, contrastata da sorrisi quasi di compatimento da parte dei suoi ospiti.
Ma se un giorno dovesse esserci un manuale su come sopravvivere a un incontro con Donald Trump, il presidente sudafricano Cyril Ramaphosa potrebbe scriverne il capitolo più esilarante. Due giorni fa, durante una visita alla Casa Bianca per “normalizzare” le relazioni tra USA e Sudafrica, Ramaphosa si è ritrovato al centro di uno spettacolo degno di un reality show: luci spente, video apocalittici su presunti “genocidi” di agricoltori bianchi, e un Elon Musk in silenzioso tifo da spalti. Eppure, anziché cadere nella trappola, Ramaphosa ha risposto con la calma di un monaco zen e l’ironia di un comico.
Trump, noto per le sue “imboscate diplomatiche”, ha trasformato lo Studio Ovale in un teatro: dopo aver oscurato le luci, ha proiettato un video di quattro minuti con immagini di croci bianche e slogan come “Kill the Boer”, sostenendo che il Sudafrica perseguiti gli afrikaner. Peccato che, come sottolineano i dati, i bianchi (7% della popolazione) controllino ancora il 72% dei terreni agricoli. Ramaphosa, invece di innervosirsi, ha risposto citando Nelson Mandela: “Ci ha insegnato a sedersi e parlare con calma” e addirittura scherzando sulla vicenda dell’aereo ricevuto in regalo dal tycoon. Un’elegante presa in giro dello stile trumpiano, che ha lasciato Trump temporaneamente senza parole.
La visita di Ramaphosa non era casuale. Con le relazioni USA-Sudafrica ai minimi storici dopo la legge sull’esproprio terriero senza indennizzo, il presidente sudafricano sapeva che un incontro con Trump avrebbe attirato i riflettori. E infatti, nonostante l’accoglienza surreale, i media globali hanno parlato per giorni della “crisi”, distraendo l’opinione pubblica dai problemi interni del Sudafrica. Una mossa calcolata: meglio un Trump infuriato che un elettorato annoiato.
Il trucco è semplice: farsi attaccare da Trump e usare la sua retorica per galvanizzare il consenso a casa. Quando Trump ha offerto asilo a 49 afrikaner definendoli “vittime di genocidio” , Ramaphosa ha ribattuto che “i bianchi non sono perseguitati” , trasformando la polemica in un’occasione per riaffermare l’impegno del Sudafrica nella ridistribuzione delle terre. Risultato? I sostenitori lo acclamano come difensore della giustizia sociale, mentre l’opposizione si ritrova a discutere di video demenziali invece che di economia.
Ramaphosa ha dimostrato che, con un po’ di sangue freddo e una citazione ben piazzata, si può trasformare un disastro diplomatico in un trionfo mediatico. Trump, intanto, resta il miglior alleato dei leader in crisi: basta farsi insultare, sorridere alla telecamera, e voilà… il consenso sale più in fretta di un tweet virale o di una photo opportunity strappata in occasione di eventi internazionali. Sicuramente meglio che essere vassalli ignorati di un capo bizzoso, come qualcuno dalle nostre parti, convinto ancora di essere un ponte, quando è una strada senza uscita.
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