Memoria e Futuro

L’altritaliano

di Marco Di Salvo 16 Maggio 2025

Gli Internazionali di Roma hanno riportato alla luce per l’ennesima volta, nel momento del suo ritorno all’attività sportiva, la difficoltà per una certa parte della platea sportiva italiana di sentire Jannick Sinner una figura da poter tifare liberamente, senza ritrosie o complessi di inferiorità.

Storia vecchia, quella della distanza dal giovane tennista, che ebbe anche l’onore di qualche prima pagina del quotidiano sportivo più importante del nostro paese, ai tempi in cui Sinner non era ancora così forte e lo si poteva esporre al pubblico ludibrio, puntando sulla sua residenza monegasca e criticandone la poca “italianità”. Poi, più è cresciuto nei risultati e nel gioco, più si è creata una contrapposizione studiata con un grande vecchio del tennis italiano, anzi un vero e proprio arci-italiano, Nicola Pietrangeli.

L’ormai 91enne ex campione e capitano della Coppa Davis 1976, ha, da quando lo ricordo io, incarnato un’idea di Italia legata al passato, alla retorica del tennis elitario con (poco) sacrificio e all’appartenenza nazionale, ma anche molto romana. Le sue dichiarazioni su Sinner sono apparse spesso intrise di gelosia generazionale, soprattutto quando si è inerpicato nella difesa dei (suoi) record storici, come quando ha sottolineato che per superare i suoi 164 match in Coppa Davis “servono due vite”. Il suo attaccamento alla tradizione emerge anche nelle critiche ai tifosi di Sinner, definiti “solo tifosi, non sportivi”(come se in passato le platee tennistiche italiane abbiamo brillato per understatement britannico), e nelle battute sulle origini altoatesine di Sinner: “Il miglior tennista italiano di sempre, forse austriaco” . Un commento che, pur nel tentativo di ironia, rivela una visione ristretta dell’identità nazionale, legata a confini culturali rigidi.

In questo Pietrangeli è stato utile strumento dietro al quale si sono nascosti tutti coloro che non hanno mai accettato la primazia del nuovo numero uno del tennis mondiale e che hanno atteso sempre il momento giusto per rinfocolare le polemiche, come nei mesi scorsi sulla vicenda doping.

Eppure, Sinner incarna, speriamo, un’italianità moderna: vince senza retorica, parla poco e agisce, riflettendo un Paese che si proietta nel mondo senza complessi, ma anche senza esaltazioni retoriche (nonostante i telecronisti, soprattutto quelli della TV pubblica, non perdano occasione per esagerare nei guizzi retorici). La sua ascesa, inoltre, smaschera l’ipocrisia di un sistema mediatico che prima lo critica (come durante il caso doping) e poi lo santifica (in attesa della prossima polemica).

I media italiani hanno ciclicamente amplificato questa contrapposizione, trasformando Pietrangeli nel “vecchio lamentoso” e Sinner nel “fenomeno da idolatrare”. Come scriveva correttamente tempo fa un articolo di “Ultimo Uomo”, Pietrangeli è diventato un “coro greco” delle gesta di Sinner, utile a generare click attraverso polemiche prevedibili. Lo stesso Pietrangeli, del resto, sembra cavalcare questo ruolo, alternando elogi (“non ha punti deboli” ) a frecciate, in un equilibrio tra ammirazione e rivalsa.

Il presunto scontro Pietrangeli-Sinner riflette una dialettica più ampia: l’Italia della borghesia elegante e dei circoli esclusivi, delle camarille romane (rappresentata da Pietrangeli, con i suoi “gilet da merceria” e i trofei in salotto, che già mal sopportava il figlio del custode Panatta) contro l’Italia delle nuove generazioni, fluide e tecnologiche. Quest’ultima è purtroppo, anche per una questione meramente numerica, una minoranza, spesso invisa alla maggioranza di vecchi da cui è composto il nostro estinguente paese. Ma non è, forse, antitaliana, come si vantavano di essere alcuni di quelli che, nel passato, si contrapponevamo ai fiumi di retorica patria esistente nel paese sin dalla sua fondazione nella seconda metà dell’ottocento. È una generazione “altritaliana”, che supera con distacco ed educazione (non certo imparata dai predecessori) qualsiasi polemica e va per la sua strada.

La contrapposizione mediaticamente amplificata tra Sinner e Pietrangeli alla fine non è solo chiacchiere da circolo di tennis. È uno specchio di un’Italia divisa tra chi si aggrappa a un’identità mitizzata e chi la reinventa, tra chi vive nel passato e chi  cavalca con tranquillità tra le sfide del presente. Almeno fino a quando saprà resistere alla prossima polemica di un vecchio lamentoso, al bar o sui giornali.

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