Memoria e Futuro

Lettera al carcere

di Marco Di Salvo 21 Maggio 2025

Visto lo sforzo epistolare che che sta compiendo  l’ex sindaco di Roma da quando è rinchiuso a Rebibbia mi pare cortese educazione provare a rispondergli 

Egregio On. Alemanno*,

Le scrivo queste righe mentre sono qui, nel mio studio, uno tra i pochi che osserva con scetticismo la Sua improvvisa vocazione epistolare. Non ho mai amato la letteratura carceraria, che si trattasse delle “Mie Prigioni” di Silvio Pellico o dei “Quaderni” di Gramsci. Troppo retorica, troppo martirio. E ora ci si mette pure Lei, a riscoprire l’arte della scrittura proprio quando le sbarre Le offrono un’inaspettata temporanea prospettiva esistenziale.

Che coincidenza! Proprio quando è finito dentro (tra l’altro perché incapace di rispettare le regole di una ben più lieve pena), ha scoperto l’urgenza di denunciare le condizioni delle carceri italiane. Una folgorazione sulla via di Rebibbia. La medesima illuminazione non l’ha mai colpita quando era al potere e poteva fare qualcosa di concreto, anche da sindaco, oltre che da parlamentare di lungo corso. Mi chiedo se durante il Suo mandato da sindaco avesse mai visitato Rebibbia con lo stesso spirito critico. Se sia mai andato a fare visita ai due Rom che l’aiutarono involontariamente a vincere la campagna elettorale contro Rutelli, visto il cancan organizzato da lei e dai suoi comunicatori sul tema del omicidio di una donna in un quartiere popolare romano, due che, per inciso, poi furono totalmente scagionati per quel reato.

La Sua conversione al verbo pannelliano sulle carceri appare quantomeno sospetta. Marco Pannella digiunava quando nessuno lo ascoltava, non per interesse personale ammantato di attenzione per un mondo che gli era estraneo. Lei invece sembra aver riscoperto il garantismo solo quando è diventato personalmente utile. Un garantismo à la carte, insomma. Quello che vale solo per gli amici o per se stessi.

E parlando di amici, come non menzionare il Presidente del Senato Ignazio La Russa, pronto a battersi per la Sua causa? Strano che questa sensibilità per le condizioni carcerarie emerga solo quando è un camerata a sperimentarle. Per gli altri detenuti – quelli comuni, quelli stranieri, quelli poveri – nessuna dichiarazione accorata, nessuna visita istituzionale, nessuna preoccupazione.

Mi domando se, durante le Sue giornate di reclusione, abbia mai pensato davvero alle migliaia di persone stipate nelle nostre carceri sovraffollate grazie alle norme penali costruite dalla sua schiera, molte in attesa di giudizio, senza amici potenti a difenderle dai microfoni istituzionali. Persone che non possono scrivere lettere che qualcuno leggerà, o rilasciare interviste che qualcuno pubblicherà.

La prego, non si offenda per il mio tono. Sono semplicemente uno che non crede alle conversioni improvvise, soprattutto quando coincidono così perfettamente con l’interesse personale. Uno che pensa che il garantismo dovrebbe essere un principio universale, non un privilegio riservato a chi ha frequentato le giuste sezioni di partito.

Spero che questo periodo di riflessione forzata Le giovi davvero. Magari al punto da farLe mantenere queste convinzioni garantiste anche quando – come probabilmente accadrà grazie ai Suoi amici potenti – tornerà a respirare l’aria della libertà. La attendo fuori, a rivendicare diritti per chi sta dentro, colpevoli in primis.

Con immutata stima,

 

* la chiamo onorevole seguendo il dettato di un altro ex detenuto illustre, Totò Cuffaro, che in una sua polemica televisiva con Santoro ricordò al giornalista d’assalto il suo passaggio parlamentare a Bruxelles, continuando a soprannominarlo onorevole, provocando un certo fastidio in quest’ultimo. Alla spazientita protesta del giornalista, Cuffaro sorridendo disse mi spiace in siciliano si dice  “a njiuria arresta sempre” (trad. il soprannome resta sempre). So che lei non ne proverà alcuno, magari solo malinconia per il tempo passato.

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