
Memoria e Futuro
L’ideologia della percezione
L’essere umano, si sa, durante la sua lunga o breve esistenza vaga per il mondo in cerca di certezze. Amori, amicizie, famiglia, lavoro, casa, il senso della vita. Quanto più ciò che lo circonda è indeterminato tanto più ha bisogno di descriverlo in maniera chiara e stentorea. Meglio ancora, se trova questa descrizione del mondo che lo circonda bella preconfezionata, una cosa in meno a cui pensare nel quotidiano. Per tanti secoli questo compito era destinato alle religioni (e per molti nel mondo è ancora così). Per un tempo relativamente più breve, alle ideologie politiche (e per molti meno è ancora così).
In questi ultimi tempi (che i portatori dell’afflato religioso spesso definiscono, con disprezzo, “relativisti”) siamo costretti a confrontarci con le mille variabili dell’ambiente circostante senza un manuale d’uso pronto e squadernato alla bisogna, per cui dobbiamo arrangiarci come possiamo. Ma l’istinto e l’educazione è ancora, almeno in parte, quella “assolutista”, per cui siamo abituati a permeare i nostri discorsi di certezze che provano a puntellare le fragili basi dei nostri ragionamenti, spesso andando anche contro alle evidenze, trasformando pareri e sensazioni in clave con cui assestare colpi ai malcapitati con cui ci confrontiamo.
Un ambito in cui questo “metodo” è sempre più presente è quello legato alla metereologia e al clima, argomento tipicamente estivo, anche perché quando stiamo chiusi in ufficio a chi vuoi che importi se fuori c’è un grado in più o in meno o se nel weekend pioverà in spiaggia? Ma nella comunicazione sul clima e, in specifico, nelle previsioni è da tempo dominante il termine “percezione”. Questo termine viene usato a sproposito, solo per confermare l’esattezza delle proprie “previsioni”, quando i dati propalati con ideologica certezza cozzano con la realtà dei fatti. Ma c’è, ovviamente, di più.
Spesso, al primo timido arretramento delle temperature nel quotidiano, i social media brulicano di commenti ironici: “Dov’è il famoso riscaldamento globale?”. Questo cortocircuito mentale – che scambia la meteorologia con la climatologia – è soltanto la punta dell’iceberg di un fenomeno più insidioso: l’abuso della percezione immediata per negare cambiamenti sistemici. La meteorologia misura il tempo atmosferico in scale di ore o giorni; la climatologia studia tendenze che si sviluppano in decenni o secoli. Come i ricercatori hanno chiarito, un singolo evento di freddo estremo non contraddice affatto un trend di riscaldamento planetario, anzi: proprio lo scompiglio climatico può indebolire le correnti a getto, permettendo all’aria artica di scivolare verso sud. Quello che potrebbe accadere nei prossimi giorni e settimane, facendo lanciare anatemi contro “il presunto” riscaldamento globale.
Dietro questa confusione volutamente alimentata, si nasconde una macchina sofisticata di disinformazione. Già dagli anni ’90, coalizioni industriali come la Global Climate Coalition – sostenuta da colossi petroliferi – hanno finanziato campagne per seminare dubbi sul consenso scientifico, riutilizzando la stessa “strategia del tabacco” impiegata per minimizzare i rischi del fumo. Il negazionismo climatico si è evoluto in “clima-confusionismo”: un mix calcolato di pseudoscienza, teorie del complotto e distorsione mediatica. Alcuni media, come il quotidiano Libero in Italia, hanno sdoganato titoli provocatori (“Riscaldamento globale? Ma se fa freddo”) mentre politici populisti descrivevano il cambiamento climatico come una truffa (ovviamente dei “poteri forti”) per danneggiare i cardini dell’economia occidentale, come l’auto privata o l’uso scriteriato delle energie fossili.
Questo scontro non è innocuo. Ridurre la climatologia a una battaglia ideologica ha conseguenze concrete: quando i politici descrivono le politiche climatiche come “elitiste” o “anti-popolari”, ignorano che i costi dell’inazione superano di gran lunga quelli della transizione. Quando si citano periodi caldi medievali o ere glaciali preistoriche per sminuire l’attualità, si omette un dato cruciale: le transizioni climatiche passate furono graduali, mentre oggi il sistema sta cambiando a velocità senza precedenti, con rischi di punti di non ritorno.
Di fronte a fenomeni complessi che sfidano la nostra percezione immediata, dobbiamo distinguere tra il freddo che sentiamo oggi e il caldo che cuoce il pianeta oramai da decenni. Perché, come dimostra la storia delle glaciazioni, il clima non è un’opinione: è una realtà fisica che, una volta alterata, può ribaltare il mondo in un battito di ciglia. Quale che sia la vostra “percezione”.
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