Memoria e Futuro
L’impaccio della Corte
Ah, la politica italiana e il suo rapporto con la Corte Costituzionale: un dialogo tra sordi con tanto di sorrisi di circostanza e coltelli nascosti sotto la toga e le grisaglie ministeriali. Mentre la Consulta parla di diritti fondamentali, i palazzi romani da anni rispondono con un eloquente “grazie del consiglio, ma faremo come ci pare”.
Prendiamo un tema molto in voga in questi ultimi giorni, l’eutanasia, giusto per iniziare con un sorriso amaro. La Corte, con la sentenza 242 del 2019, tracciava una strada chiara: diritto a morire con dignità per chi è prigioniero di sofferenze insopportabili e trattamenti vitali e obbligo per il Parlamento di legiferare in proposito entro un anno. Risposta del Parlamento? Un disegno di legge da poco in discussione (sei anni dopo la sentenza) che, anziché assecondare, restringe il campo come un corsetto ottocentesco: sostituisce “dipendenza da trattamenti vitali” con “trattamenti sostitutivi di funzioni vitali”, escludendo malati come quelli di SLA già coperti dalle sentenze. E poi, genio burocratico: 90 giorni di attesa per una risposta, 5 mesi per ripresentare domanda se rifiutati, e il SSN che si defila lasciando ai privati o alla Svizzera il compito sporco.
Passiamo ai CPR, dove la poesia costituzionale raggiunge vette tragicomiche. La Corte li bolla settimana scorsa come “incostituzionali” per condizioni disumane e detenzione arbitraria (anche se lascia ai singoli magistrati di livello inferiore di decidere di fatto secondo coscienza). Il governo, con la faccia tosta che conosciamo bene, risponde impassibile facendo fioccare decreti sicurezza che, inevitabilmente, la Consulta smonterà a colpi di sentenze. L’ultimo atto? Una sentenza che definisce il trattenimento un “assoggettamento fisico all’altrui potere”, seguito da un solenne invito al legislatore a intervenire. Risposta? Silenzio, interrotto solo dalla Cei che tuona: “Sono inutili e disumani”. Ma i posti restano, e pure quelli in Albania.
Per non limitare la sordità all’attuale maggioranza, facciamo un passo indietro e parliamo delle leggi elettorali. Qui la politica sfida la Corte a viso aperto, come un cowboy in un duello al tramonto. Dopo la sentenza n. 1/2014 che bocciava il Porcellum, il governo Renzi rispose con l’Italicum: premio di maggioranza al 40%, quando il 37% era già stato giudicato irragionevole. Poi, il colpo di genio: l’emendamento Esposito al Senato, un articolo “riassuntivo” fatto votare prima della discussione per far decadere gli emendamenti scomodi, violando spudoratamente l’art. 72 Cost. Ma il capolavoro è la nuova proposta per i Comuni in discussione: abbassare dal 50% al 40% il quorum per eleggere i sindaci al primo turno, abbinato all’abrogazione della soglia del 40% per il premio di maggioranza alle liste collegate. Risultato? Liste con il 30% dei voti potrebbero prendere il 60% dei seggi, trasformando i consigli comunali in teatrini del sindaco-premiato. La Consulta aveva avvertito: il premio deve garantire governabilità senza stravolgere la rappresentanza. Peccato che “governabilità” in romano significhi “maggioranza bulgara per minoranze elettorali” .
E questo succede quando i giudici costituzionali sentenziamo “consigliando” o, meglio, intimando alla politica di intervenire. Quando la Corte osa dire “no”, poi, la musica cambia. Dalle moine si passa ai coltelli: attacchi mediatici ai “giudici politicizzati”, disegni di legge per ipotizzare tagli ai poteri della Consulta, ostruzionismo legislativo sui temi scomodi. Se per i decreti sicurezza si corre in 48 ore, su eutanasia e carceri si moltiplicano commissioni, pareri e rinvii. L’ipocrisia tocca l’apice quando gli stessi partiti che oggi svuotano le sentenze, dall’opposizione invocavano il “rispetto dei giudici costituzionali” (e viceversa). Un cinismo che trasforma la Corte in un oracolo ascoltato solo nelle rare volte in cui la Corte dice ciò che il potere vuole udire (tipo quando boccia referendum scomodi, perpetuando i motivi per cui Marco Pannella la definiva anni fa “la Suprema Cupola della Mafiosità Partitocratica”). Cosa che, per fortuna, da noi accade ancora di rado. Siamo mica americani.
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