La parolaccia della settimana

Maturità?

di Massimo Crispi 22 Luglio 2025

MATURITÀ

Mamma mia, che parolaccia quella di questa settimana! C’era un altro paio di parolacce in lista ma aspetto che la situazione si evolva perché potrebbero accrescere il loro valore dispregiativo durante la prossima settimana e quindi trionfare sul podio.

Sembra molto in voga, ne parlano tutti, in seguito alla protesta piuttosto singolare di quei pochissimi studenti che, alla fine, va a danneggiare loro stessi, fornendo loro un voto assai inferiore a quello che avrebbero meritato.

Si sa che il giovane anticonformista è votato alla protesta, in qualsiasi forma e di qualsiasi tipo, vedi ultimamente le famose Sardine, fenomeno che si è esaurito in breve tempo, o, anni prima, il movimento Cinque Stelle, che annoverava moltissimi giovani, fino a quel momento senza un qualcosa in cui credere. Anche queste ormai cadenti e cadute, macinate dal sistema.

Il giovane anticonformista deve distinguersi e per farlo deve architettare qualcosa di diverso, anche perché le vie dell’anticonformismo, oggi, dove chiunque si svegli al mattino e s’inventa qualcosa diventa facilmente un conformista dell’anticonformismo, visto che ognuno può dire quello che gli pare, senza alcun ripensamento, da una parte all’altra dell’Atlantico. C’è libertà di espressione e di pensiero, no? Occorrerebbe un pensiero, cosa che raramente viene espressa, soprattutto in maniera articolata. È difficile esporre un pensiero con coerenza, bisogna avere una certa maturità.

Maturità. Si fa coincidere colla maggiore età, quando un adolescente diventa, per così dire, almeno cronologicamente, adulto. Mentre poi, osservando meglio la realtà di oggi, ci si accorge che l’adolescenza viene prolungata fino ai quaranta e oltre. Quello che viene inteso per maturità, allo scadere dei diciotto anni – per altri, i ripetenti, avviene più tardi – è la maturità scolastica, gli esami tanto attesi dopo un percorso di studi che dura tredici anni, dove si studiano delle nozioni e si ristudiano approfondendole e sviluppandole. Codeste nozioni dovrebbero dare un’idea del mondo ai giovani che lo abitano, si dovrebbe cercare di elaborare un pensiero proprio, maturo, appunto. Nel mondo ideale elaborato da chi ha concepito quella lontana ma efficace riforma scolastica era così. Chi si è fermato alla terza media non può essere mai e poi mai considerato “maturo” ma appena consapevole.

Non è così per molti, naturalmente, anzi, la scuola è sempre più vista come un’azienda che deve necessariamente formare al lavoro, a cominciare dai deliri del Cavaliere, le tre i: internet, impresa e inglese, chi se lo ricorda? Lavoro che, a parte gli istituti professionali, che si chiamano così apposta, resta sempre in una non meglio identificata dimensione che nessuno riesce veramente a spiegare, in quanto le variabili che intervengono sono davvero tante, legate sia all’effettiva maturità raggiunta, sia al caso. La maturità servirebbe a capire quale strada intraprendere dopo gli esami, avendo acquisito gli strumenti critici per decifrare la realtà e quindi anche i propri talenti e aspirazioni. Seh, come no.

La protesta di un esiguissimo numero di maturandi, ossia quello di fare scena muta agli orali, potrebbe esprimere sicuramente un disagio e basta che lo faccia uno che poi, per emulazione dell’eroe, lo possano fare anche altri, con voglia di spiccare sulla massa per anticonformismo: sono qui, siete obbligati ad accorgervi di me, finalmente.

Molti si sono espressi a favore o contro codesta forma singolare di protesta, sia illustri pedagoghi, sia professori, sia studenti, sia ministri, sia persone della strada. Alcuni hanno parlato a vanvera, altri hanno capito parte del problema, altri si sono dissociati, motivando, altri ancora lo hanno visto come un atto inutile di esibizionismo dell’ego, altri hanno accolto la protesta come un atto di giusta ribellione a un sistema scolastico che, forse, può avere tante pecche, dovute soprattutto a riforme sconsiderate, ma che è l’unico che consente, ancora, di dare un’infarinatura d’istruzione a giovani sempre più svogliati e demotivati. E, con un atto di loro volontà, spesso inconsapevole delle conseguenze, ignoranti.

La demotivazione avviene anche dall’accusa che la scuola, pur magnificando sé stessa e il futuro, spesso, proprio riguardo a quest’ultimo, non fornisce abbastanza strumenti per affrontarlo, soprattutto oggi che il futuro corre a velocità supersonica. Le ragioni e le variabili sono tante, e dipendono dal territorio, dalla formazione delle classi, dalla preparazione degli insegnanti, dai programmi da svolgere, dalle famiglie di origine, dalle distrazioni, oggi molto più numerose anche solo di trent’anni fa, dall’immensa mole di nozioni che si sono aggiunte nel frattempo, dalla tecnologia a disposizione degli allievi, da una deresponsabilizzazione del giovane, soprattutto, da un sistema di voti e giudizi che gli stessi insegnanti fanno fatica a compilare, e che, questi ultimi, spesso sono abbastanza superficiali per la natura stessa del giudizio così concepito, da genitori incapaci di fare i genitori, da sirene comportamentali e da modelli che i media forniscono ad adolescenti ansiosi di averne uno, da un consumismo fuori controllo, e da tante altre cause che se le enumerassi tutte verrebbe fuori una lista di pagine e pagine alla Umberto Eco nel Nome della Rosa.

Le motivazioni di alcuni di questi “eroi” che rifiutano di fare l’esame orale è abbastanza banale: perché devo dimostrare ancora delle cose a una commissione dopo tutto il percorso che ho fatto e perché la mia “maturità” dev’essere giudicata da qualcuno che non mi conosce?

Bravo merlo, è proprio per questo che si formano commissioni esterne, perché proprio persone che non ti conoscono potrebbero riconoscere o smentire la tua idea di preparazione tramite l’esame. È come un colloquio di lavoro, alla fine, non conosci chi deve giudicarti per affidarti un ruolo, anche se è una situazione un po’ diversa e dove intervengono criteri altri. Ma è sempre un confronto.

Per “maturità”, infatti, s’intende anche la capacità di esprimere in forma più o meno corretta un pensiero, una correlazione di pensieri, di opinioni, di idee che lo studente può avere appreso o no durante il suo percorso scolastico. Una proprietà di linguaggio, lo strumento fondamentale per capire la realtà intorno, affinato dopo studi e letture importanti, la capacità di confrontarsi con persone che ne sanno sicuramente più di te, che magari si esprimono in maniera diversa da te e tu devi anche saperti adattare, cosa che poi succederà, inevitabilmente, nella vita. Ciao core!

Io trovo che oggi, in genere, i giovani tendano a studiare solo le cose che interessano, che non sempre sono cose che mettono insieme informazioni per sviluppare un pensiero critico. Se leggono, tendono a leggere cose di assoluta inutilità, ma che a loro sembrano pietre miliari della letteratura, ne ho parlato in qualche articolo fa. Ci sono anche allievi più dotati di altri, o che hanno la fortuna di essere meglio seguiti in famiglie attente, ce ne sono altri le cui famiglie sono un disastro, con genitori assenti o in carcere o con storie personali di abusi e violenza, dove i ragazzi crescono allo stato brado senza aver alcun modello se non la strada, con tutto ciò che comporta, dove magari le compagnie che frequentano possono essere pericolose e il linguaggio segue altri criteri di lingua franca. E questo vale soprattutto per le periferie delle metropoli, dove l’attenzione al giovane è assente e quindi le tentazioni di una vita consumistica più facile, spacciata per successo, piena di artificiali status symbol, possono essere seduttive. Da un certo punto di vista, costoro avrebbero già raggiunto un tipo distorto di maturità.

La maggior parte degli studenti, sia al Nord che a Sud, con punte allarmanti in Sicilia, Campania ma anche in Piemonte, non capisce un discorso in lingua italiana, proprio non riesce a coglierne le connessioni sintattiche, oltre al lessico estremamente limitato. E questo è anche il frutto di facili promozioni alle classi inferiori, portando avanti studenti impreparati ad affrontare studi sempre più impegnativi, perché i giovani non devono essere “traumatizzati” da bocciature, magari trovandosi davanti genitori, inferociti contro la scuola, che vedono nella bocciatura del figlio il loro fallimento doppio e non lo accettano. E molti fanno l’esempio, senza contestualizzare mai, di scuole all’avanguardia in Finlandia o altrove, dove non esistono voti e bocciature ma dove i ragazzi passano ore intere all’aria aperta, senza aprire un libro. Tornando da noi, può anche capitare che le relazioni tra insegnante e allievo a un certo punto degenerino e che quel percorso diventi, per entrambi, infruttuoso. Ma è anche vero che l’arroganza e la mancanza di rispetto per l’autorità caratterizza molto spesso le nuove generazioni, soprattutto alla scuola media. E gli insegnanti hanno le armi spuntate, anche dal punto di vista pedagogico. A volte quei poveri cristi, soprattutto oggi, non sono neanche in grado di trasmettere il sapere, per il quale sono delegati, perché devono fare i cani pastori per mandrie perennemente imbizzarrite il cui rendimento scolastico non può che essere mediocre. Non è colpa degli insegnanti o, almeno, non solo di alcuni insegnanti, ma anche di come i giovani vengono educati (o no) in famiglia o dai media, soprattutto dai social, che amplificano tutto, in particolare i comportamenti erronei, fornendo dei modelli sciagurati: che studio a fare se poi, facendo l’influencer, divento ricco senza fare una mazza e senza bisogno di sapere che la Divina Commedia si svolge nell’aldilà? La famiglia spesso ignora perché non li segue, accontenta i figli nei loro capricci, dà loro in mano gli smartphone e delega quello strumento alla loro educazione. Ho visto i figli, ancora bambini, di persone che conosco le quali, anziché dialogare con loro e spiegar loro ciò che li circonda, li lasciano lì col telefono a giocare in quel mondo a una dimensione, e i piccoli traggono da soli conclusioni erronee e cercano di imitare ciò che suggerisce loro tiktok o l’influencer di turno. Una delle nuove usanze, da parte di molti genitori, perché sembra andare di moda, è di procurarsi una corona d’alloro da mettere in testa al figliolo o alla figliola che si è “maturato/a”. Si salvi chi può. La corona d’alloro era riservata ai poeti e ai laureati (dal nome della pianta, lauro o alloro) non a degli sciacquetti che spesso manco sanno balbettare quattro nozioni messe in croce in una lingua civile.

E così si presentano episodi grotteschi, come la tapina che non si sente capita, e che magari non ha proprio nulla da esprimere, ma le scoccia sentirsi giudicata.

E noi, e tanti altri, come abbiamo fatto? La tapina ha paura di confrontarsi e, pertanto, rifiuta il dialogo, durante il quale avrebbe magari potuto dimostrare il perché della sua protesta, la commissione sarebbe stata lì anche per ascoltarla. Invece niente, chiusura a riccio e amen, il suo cervello resterà un enigma. Anche per lei.

La vita è tutta un quiz, come cantava Arbore ai tempi d’oro, e lo dimostrano anche i test scritti a cui sono sottoposti gli studenti per facilitare il loro pensiero, ormai dato per spacciato: Giosuè Carducci era: a) un profugo; b) un cardinale; c) uno scrittore; d) l’inventore del telefono; e) uno sportivo a cui hanno intitolato le strade e le piazze per i suoi risultati. Credo che la risposta e) sia quella di maggior successo.

Il rifiuto del confronto è sintomo d’immaturità, naturalmente, il che significa che chi, negli anni, ha portato la tapina a quel livello superiore non ha fatto un buon lavoro perché non l’ha fatta rendere conto degli strumenti che sono necessari per affrontare un dialogo. La tendenza a promuovere tutti significa deresponsabilizzare gli allievi all’apprendimento e quindi al confronto delle varie discipline che non sono separate le une dalle altre ma vanno integrate tra esse. Solo così un allievo potrà dimostrare la sua maturità, collegando gli eventi, le pratiche, le idee che cronologicamente si sviluppavano in parallelo nelle varie materie studiate nel percorso. Il che significa inquadrare Dante nel suo tempo, così come Platone, Leonardo, Kant, Marx eccetera, che non sono monadi a sé stanti che convivono nello stesso libro per un qualche sortilegio o personaggi di un manga, ma il frutto di uno sviluppo del pensiero nei secoli, che non hanno condiviso tutti lo stesso momento storico. L’annientamento della dimensione temporale, studiando male la Storia, diventa una tragedia. Ma se lo studente cerca sempre la via più breve per la sufficienza in modo da poter fare le mille cose che DEVE fare, come andare in palestra, andare alle feste degli amici, magari pure impasticcandosi, andare a fare le vacanze, seguire il corso di questa cosa o di quell’altra, senza più aprire i libri scolastici per imparare, e ridursi stanco, senza nemmeno riuscire a capire in che mondo vive, senza qualcuno che gli spieghi, in famiglia o a scuola, cosa significa che la Russia ha invaso l’Ucraina o che Israele ha sterminato i palestinesi o che Trump sia un pazzo pericoloso, la maturità può essere lontana anni luce. Può anche fare tutti quei corsi ma senza tralasciare la sua formazione.

Eh, ma i ragazzi che vivono nella bambagia non possono essere traumatizzati dalla bocciatura, potrebbero anche suicidarsi, perché un fallimento non fa parte dell’idea che loro hanno della vita, si preferisce non affrontare le difficoltà, potreste figurarvi una loro reazione davanti a una guerra. E così si mandano avanti schiere di giovani sempre più ignoranti e immaturi che saranno i nostri interlocutori che ci ritroveremo dietro un bancone negli uffici, magari messi lì dopo un concorso fittizio, che non capiscono alcunché di quello che dovrebbero fare per aiutarti e che non riescono a decifrare proprio le tue richieste. Anche per questo, oltre che per un risparmio di stipendi, i call center sono sempre più automatizzati e parlare con persone reali è sempre più raro, ci sono solo alcune domande e, se la tua domanda non rientra in quelle dieci possibili che ci sono, ti attacchi.

No, io non sono a favore di quei ragazzi che scelgono questa strada di protesta alla maturità. E questa parolaccia, pronunciata spesso e volentieri da persone che non ne hanno la più pallida idea, sia nel corpo insegnante, sia in quello studentesco, sia, soprattutto, a livello governativo, mi irrita parecchio. Rifiutare i voti significa anche che non avrebbe senso, in una partita di tennis o di qualsiasi altro sport, così come in qualsiasi concorso, sia esso di bellezza o per un posto di lavoro, adottare un punteggio, perché anche quello è un giudizio e nessuno va giudicato. Uno vale uno. È un po’ l’idea cretina dei Cinquestelle che il valore legale dei titoli di studio vada abolito, subito inseguita pure da Salvini, il quale non si fa mancare niente, cavalcando sempre le tigri sbagliate.

Ma ci sono precedenti illustri di chi pensava, in tempi assai lontani, all’abolizione del titolo di studio: Luigi Einaudi, uno dei padri della neonata Repubblica Italiana e secondo presidente, che spiegava così la sua posizione: “Finché non sarà tolto qualsiasi valore legale ai certificati rilasciati da ogni ordine di scuole, dalle elementari alle universitarie, noi non avremo mai libertà di insegnamento; avremo insegnanti occupati a ficcare nella testa degli scolari il massimo numero di quelle nozioni sulle quali potrà cadere l’interrogazione al momento degli esami di Stato”. Erano altri tempi, lui si preoccupava dello sviluppo di un pensiero critico, provenendo da un regime appena sconfitto dove la scuola inculcava dogmi fascisti nella mente degli studenti, appiattendone le facoltà critiche, e lui non avrebbe visto lo sviluppo della scuola nella nuova Repubblica appena nata. Se poi avesse immaginato il senso che avrebbero dato al titolo di studio la bassa Lega e le Cinquestalle e le conseguenze eventuali dell’approvazione di questa voglia insana, ossia la parzialità del giudizio da parte di chi poi deve assumere qualcuno (e quindi la possibilità di raccomandazioni o “simpatie” soggettive), senza una verifica di un titolo che, bene o male, è dato da un’istituzione statale, credo che Einaudi si sarebbe ritirato dai suoi propositi.

Però, prima di condannare a morte gli studenti eretici, andiamo a vedere come si svolge l’esame orale della maturità 2025.

L’esame si apre con una valutazione delle “competenze” dello studente nelle materie d’esame. Il dialogo si avvia coll’analisi di un qualche materiale scelto dalla commissione d’esame, può essere un testo, un documento, una fotografia, un problema, un progetto, forse anche un pensierino del dolcetto portafortuna cinese. I componenti della commissione si accertano che codesto colloquio comprenda le varie discipline (!), non separandole ma integrandole. E già qui ci sarebbe da dare ragione agli studenti ribelli. Ditemi voi quando mai, per esempio, si è fatta un’interdisciplinarietà tra filosofia e matematica, mostrando la personalità multipla di filosofi e matematici come Pascal, Cartesio, Galileo, Pitagora, Leibniz e così via. Due mondi separati alla nascita nel nostro sistema educativo. Oppure, se uno ha scelto italiano ed economia o/e matematica, per esempio, ditemi voi come potrebbero integrarsi le varie discipline, con quale quesito il candidato potrebbe esprimere il famoso approccio integrato. Chi fa le riforme scolastiche è un somaro di prima scelta, quasi sempre, oggi. Le tre i, ricordate? Poi: il candidato deve presentar tramite una relazione (breve, eh, altro che tesine) scritta o multimediale, un video, forse una canzone?, un videogame o chissà che altro, quali esperienze ha fatto nell’ambito delle competenze trasversali (?) per poi rispondere ai quesiti di educazione civica (e questo è un bene, perché l’educazione civica, quando c’è davvero, è un ingrediente di maturità). L’esame orale può così, o meglio, potrebbe durare dai 50 minuti a un’ora. Ma poi bisogna vedere se la commissione si annoia. Un orale così avrebbe scoraggiato anche me. Però all’epoca mia tutte codeste materie nuove non esistevano e non c’era l’integrazione delle “competenze” col mondo del lavoro, mah.

Ricordo il mio orale di maturità che fu uno spasso. La professoressa di italiano e quella di inglese, membri esterni, erano rimaste incantate dal mio tema di letteratura e non facevano altro che chiedere informazioni musicali perché io avevo inserito un sacco di citazioni mozartiane (il mio idolo dell’epoca) che avevano qualcosa in comune col romanticismo, prevenendolo, e quelle erano su di giri perché era la prima volta che capitava loro una cosa così. Poi, siccome stavo leggendo Alice di Carroll nell’edizione garzanti col testo originale a fronte, portandomi dietro sempre il libriccino, entrambe mi chiesero che ne pensassi. E io dissi che era un libro dell’orrore, e ancora di più lo era il film di animazione, pieno di sangue, a cominciare dalle teste mozzate molto ambite dalla Regina di Cuori per finire alle ostriche sterminate dal Tricheco e dal Carpentiere, oltre ai simbolismi più o meno larvati che tutti i personaggi rappresentano dietro la loro innocuità. Il tunnel onirico dove Alice cade, poi, per inseguire il coniglio, era assolutamente gotico, con tutte le trasformazioni angoscianti mangiando il biscotto giusto, dove per fare alcune cose le occorre essere grande, e quindi adulta, per altre invece è meglio fare la bambina e restare piccola. Le stesi, provocando forse l’effetto Brigitte con Macron, mi avrebbero sposato. Il membro interno, un delizioso prof di matematica, bravissima e mite persona, restò stupefatto perché manco lui se lo aspettava. Io in matematica ero piuttosto ciuco, in verità, ma lo scritto lo avevo fatto come il 70% della classe incappando nel calcolo sbagliato (ma quasi tutti, eh!) di una derivata. Allo scientifico la matematica è importante. La musica e i cartoni animati mi salvarono e mi procurarono un bel 58/60, non mi diedero il massimo perché il compito di matematica era andato così così, ma essendo l’errore condiviso, passai, nella massa. La prof d’inglese volle farmi leggere perché le piaceva la mia pronuncia da Queen English e si beava. L’orecchio musicale mi aiutava. Io già cantavo i madrigali inglesi di John Dowland e Thomas Morley e lo masticavo benino. Un esame orale così è lontano anni luce da quelli moderni. Ma forse era più pieno di competenze integrate di come potrebbe esserlo oggi, perché era molto più facile trovare aderenze tra letterature e musica (che non era materia di studio allo scientifico, faccio notare). E, devo dirlo, sapevo intortare l’interlocutore. Risultai maturo. Poi la maturità vera me la diedero, in realtà, pochi anni dopo i primi concorsi che vinsi, nei complessi sinfonici della RAI di Roma e di Milano, mentre non vincevo quelli dei teatri (c’erano sempre dei raccomandati che passavano avanti…). Ma se mi fossi rifiutato di cantare ai concorsi per non sentirmi giudicato da una commissione che non mi conosceva mi avrebbero mandato in un manicomio.

La tapina della scena muta che rischia la depressione o l’esaurimento nervoso per un sette in condotta forse è da ricoverare. Ma l’orale di oggi è veramente contorto, da vari punti di vista, va sottolineato. E poi, diciamola tutta, se sei così sicuro di voler contestare un sistema d’insegnamento, perché ti accorgi che non è valido dal punto di vista di chi dovrebbe apprendere, non lo fai alla fine del corso di studi ma durante lo svolgimento dei corsi, pallina. In questa maniera diventa esibizionismo, quasi da riprendersi col telefono e poi spalmare il video del rifiuto sui social, visto che brava? Fate come me e rendetemi celebre.

Forse, oggi, più che di esame di maturità bisognerebbe cambiare il nome, e non solo il nome, in esame di consapevolezza oltre che di competenza (è sempre da individuare quali siano, le vere competenze). La consapevolezza comporta forse più cose che la maturità. La maturità, associata all’età, poi viene smentita da persone e personaggi che, pur avendo un’età matura, sono assolutamente inconsapevoli di tutto. Basterebbe guardare il nostro governo, così come quelli di molti altri paesi, e inorridire per l’insipienza e l’immaturità di coloro. Basti pensare alla tanto discussa “laurea” della ministra del lavoro Calderone, un esempio eclatante di grandi competenze.

Sta protesta di scena muta appare, alla fine, una sciocchezza di pochissimi che però viene utilizzata come arma di distrazione di massa per non affrontare i problemi veri che tutti abbiamo, vecchi e giovani, ed è una maniera pittoresca di camuffare la realtà e di dare a Valditara l’occasione per esprimere la sua repressione, gli piace tanto reprimere, sembra la direttrice di Giamburrasca.

Ciò che emerge, da parte di tutti, è l’immaturità di un intero popolo che, ormai assuefatto alle tifoserie, prende parte a ciò che è bene e a ciò che è male secondo il “buonsenso”, altra parolaccia, quando non ha assolutamente la consapevolezza per farlo. Perché consapevolezza vuol dire saper discernere e scegliere per capire che il bene e il male non sono l’essenza delle cose come ci vengono presentate e che ci sono cinquanta sfumature di tutto tra le due categorie. Forse la consapevolezza è la vera maturità.

Quante persone mature ci sono, attualmente, nel nostro Paese, tra vecchi e giovani? Ecco perché maturità è una parolaccia, soprattutto in bocca a persone inconsapevoli che hanno in mano le redini del potere e fanno pure i ministri e le riforme scolastiche. È questa la differenza: una volta le persone inconsapevoli avevano minor accesso al potere, c’erano pure, ma erano in misura minore e quindi facevano meno danni. Oggi l’inconsapevolezza regna sovrana (fa parte del sovranismo, probabilmente), soprattutto a livello politico, e le conseguenze le vediamo ogni giorno.

Ragazzi, almeno voi, non complicate le cose che lo sono già abbastanza. E Valditara, ministro dell’istruzione e del merito, la smetta di minacciare unicamente la bocciatura se non si vogliono fare gli orali, senza affrontare realmente il problema. Gli studenti vanno aiutati con più risorse, con scuole migliori, con strutture che pensino anche agli ultimi e non discriminino i più abbienti dai meno abbienti, coll’abolizione delle scuole e università private e fasulle – che poi danno le lauree alle ministre – e col potenziamento delle scuole pubbliche, che invece languiscono ogni anno di più. Ma lui, pur avendo dei titoli, dev’essere un inconsapevole cronico, per dirla in maniera pulita, senza parolacce. Ordine e disciplina.

Amen.

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