L'arco di Ulisse

Pamphlet pro Palestina

di Oscar Nicodemo 13 Maggio 2025
Quotidiani, televisioni e spazi mediatici di ogni sorta che sin qui hanno taciuto della devastazione di Gaza e dei suoi abitanti, cominciano a raccontarla per quello che dimostra essere: qualcosa di orribile, molto simile a un genocidio, che da più parti si fa fatica a definirlo tale, adducendo come elemento di verifica la mancanza di un piano sistemico e scientifico che porta a eliminare un popolo.
Dunque, per i sionisti e i suoi simpatizzanti il genocidio non riguarda necessariamente l’abbattimento di una comunità di persone, o di un’etnia, ma il metodo con cui queste vengono annientate. Che balordaggine! Come dire che il genocidio si distingue per il mezzo con il quale viene perpetrato, non per la finalità che persegue, che è, appunto, quella dell’eliminazione di una popolazione d’appartenenza. In quest’ultimo frangente in tanti stanno aderendo a un lutto che per tutto il tempo in cui si è consumato hanno deliberatamente ignorato. Apprendo che gli editorialisti delle prestigiose testate internazionali, fino a ieri insensibili al dolore inflitto ai palestinesi, assurgono, ora, al ruolo di prefiche, elargendo canti e lamenti in onore delle sessantamila persone sterminate a Gaza. The Independent pubblica un editoriale che accusa Keir Starmer, primo ministro del Regno Unito, di aver adottato un silenzio complice (Maggio 2025). The Economist evoca la fine di una guerra che non ha più giustificazioni (Maggio 2025). Il londinese Financial Times, il più importante quotidiano economico-finanziario al mondo, prende una posizione netta contro Israele in merito a quanto è accaduto e sta accadendo in Palestina (Maggio 2025). The Guardian si chiede in modo fermo: “Cos’è questo, se non un genocidio?” (maggio 2025).
Badate bene, si tratta di blocchi editoriali che fino a ora hanno avuto il controllo della narrazione dei fatti di Gaza, adagiandola su posizioni completamente opposte a quelle che hanno divulgato negli ultimi giorni. Il cambio di rotta del mainstream occidentale avviene con colpevole ritardo, quando il massacro dei palestinesi è in gran parte avvenuto e se ne può evitare, ormai, solo l’epilogo. E quel che è peggio, sembra proprio un ritardo calcolato e programmato, utile per una strategia di comunicazione riparatrice, quasi a ricordare che l’informazione può usare la menzogna a difesa dei colpevoli fino a quando l’indignazione popolare non assume una forma concreta e minacciosa di protesta, che porta inesorabilmente alla perdita di consenso e di lettori. E qui la pietà, alla stregua della menzogna, diventa conveniente e non serve neanche a pulire la coscienza.
Vi è da aggiungere, con un sentimento di forzata misericordia, il comportamento della maggioranza della stampa italiana dinanzi alla diffusa solidarietà e sensibilità dell’opinione pubblica in riferimento al dramma della popolazione palestinese, che non ha trovato spazio adeguato all’interno di un sistema mediatico totalmente acritico, appoggiando la causa israeliana, sottolineando ripetutamente le responsabilità di Hamas e tacendo dello sterminio della popolazione civile palestinese.
Mentre della cosiddetta intellighenzia nazionale (termine fuori moda), di fronte alla tragedia palestinese, meglio non dire. Dovrei parlare di certi scrittori di cacca, sorretti, ahimé, da grandi apparati politici. E non sarebbe elegante da parte mia. E poi, si sa, in Italia abbiamo grandi scrittori e grandi scrittrici con dedizione al mutismo. Mute e muti, per Diana, che diventano logorroiche e logorroici quando parlano di loro e di tutto ciò che risulta inutile e salottiero!
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