
Memoria e Futuro
Pinocchio Time
Ricordo ancora quando, sulla spinta dell’entusiasmo della vittoria dell’Ulivo alle elezioni del ’96, il Presidente del Consiglio Romano Prodi, forse consigliato dal suo fedele scudiero Arturo Parisi, decise di rendere meno burocratico lo svolgimento di interpellanza e interrogazioni al governo e si inventò il cosiddetto Question Time, momento in cui il presidente del consiglio (ma anche i ministri) si sottoponevano al fuoco di fila organizzato di una serie di domande da parte dei parlamentari (sia dell’opposizione che della maggioranza) sullo stile di quello che accade a Westminster. Naturalmente le vicende sia di quel governo che di quelli successivi, hanno ridotto la centralità di questo strumento che è arrivato al suo epilogo triste, quasi a 30 anni dalla sua nascita con la vicenda degli ultimi due Question Time (ribattezzati chissà perché Premier Time, considerato che da noi non c’è il premier) che hanno avuto protagonista la presidente del consiglio Meloni.
Ed è per puro caso che, in questo periodo, stia leggendo un volume, uscito quasi 15 anni fa per i tipi di Elliot, dal titolo l’Effetto Pinocchio. Questo saggio di Suzanne Stewart-Steinberg analizza il periodo 1861-1922, definendo l’Italia come uno “Stato in cerca di una nazione”, un Paese adolescente, sospeso tra modernità e arretratezza, tra autonomia e dipendenza da influenze esterne. Come il burattino di Collodi, l’Italia unita faticava a trovare un’identità coesa: non era né “bambino” (soggetto maturo) né “marionetta” (controllata da fili esterni), ma oscillava tra tentativi di autoaffermazione e ricadute nell’inerzia.
Stewart-Steinberg sottolinea come questa crisi si riflettesse nelle teorie pedagogiche di Maria Montessori, negli studi criminologici di Lombroso, e nel dibattito politico: un’identità nazionale costruita su contraddizioni, come il fratricidio risorgimentale e il parricidio simbolico del passato monarchico.
Sono passati cento anni dalla fine del periodo analizzato dalla studiosa ma mi pare che siamo ancora lì, tra patricidi e fratricidi, tra fasci e zecche. Ingabbiati in un passato che non passa e che compare sottotraccia ogni volta che le diverse parti in commedia si confrontano.
Come ieri e settimana scorsa in Parlamento, la figura della presidente del consiglio (e quella dei suoi oppositori) si sono fatte riconoscere nella pochezza delle argomentazioni e nell’incapacità di dare concretezza alle loro scaramucce buone per i meme sui social dei diversi (e sempre meno entusiasti) sostenitori.
Stewart-Steinberg nel volume su citato definisce Pinocchio anche un simbolo di “scioltezza”: un corpo elastico, incapace di fermarsi, metafora di un’Italia in perenne movimento ma senza direzione. Oggi, il Premier Time riflette questa dinamica, ma in una delle sue caratteristiche peggiori: l’elasticità narrativa. Meloni ha mescolato dati economici e attacchi alle opposizioni (“voi fate referendum per abolire le riforme”), trasformando il dialogo in un monologo performativo.
C’è anche da dire che il format, nato con Prodi per avvicinare governo e Parlamento, è diventato una replica tossica, dove le interrogazioni sono sostituite da slogan e meme. Un paradosso: più si parla, meno si comunica.
Se l’Italia di Stewart-Steinberg era un “esperimento incompiuto”, il governo Meloni sembra replicare lo stesso copione dove domina l’Auto-narrazione contro la realtà. Come Pinocchio che sogna di diventare “bambino vero”, Meloni esalta un’Italia sovrana mentre delega all’Europa (sul debito) e alle Regioni (sulla sanità).
Ieri abbiamo visto, plasticamente, l’effetto Pinocchio che si trasforma in effetto eco: bugie che rimbalzano in Aula, dati contestati, e una democrazia che, come il burattino, fatica a trovare fili credibili a cui aggrapparsi.
Il Premier Time di ieri non è stato un dialogo, ma un rito scaramantico (con tanto di patetiche repliche di fantasmi del passato): come Pinocchio che sfiora il fuoco per provare a essere umano, la politica italiana continua a giocare con le fiamme della retorica, sperando che qualcuno, un giorno, la creda “vera”.
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