Memoria e Futuro

Questione di standing

di Marco Di Salvo 30 Ottobre 2025

Di fronte alla sostanziale stasi dell’azione di governo, certificata anche dalle vicende relative alla manovra finanziaria, i sostenitori più discreti di Giorgia Meloni, quelli che si nascondono tra le colonne dei giornali o nei talk show facendo il ruolo degli osservatori indipendenti, insistono nel celebrare il suo “standing internazionale”. Un comico di vecchia scuola romanesca direbbe: “e che vor dì?”. Scherzi a parte, è un prestigio che andrebbe verificato nei fatti, oltre le narrazioni mediatiche. Facendosi qualche domanda. Dove sono i risultati tangibili del tanto declamato Piano Mattei dopo quasi tre anni? E quali azioni risolutive ha intrapreso la Presidente per contrastare la minaccia dei dazi, discussa ormai da un anno? Il vero prestigio internazionale si misura dalla capacità di tutelare gli interessi nazionali, dalla chiarezza in cui ci si rapporta con i partner internazionali, non dalle foto di gruppo ai summit a cui, negli ultimi casi, pare si sia auto invitata.

Tuttavia, la questione di fondo non riguarda solo la dimensione internazionale. Perché da tre anni a questa parte il partito della presidente del consiglio guida di fatto il paese, ma che profitto (politico, naturalmente) ne ha ricavato? Per comprendere i rischi che corre in prospettiva Fratelli d’Italia, basta osservare il percorso già compiuto dalla Lega di Salvini. Il partito guidato da Matteo Salvini ha conosciuto un crollo verticale nel giro di pochi anni: in Umbria è precipitato dal 37% al 7,7%, in Emilia-Romagna dal 32% al 5%. Nel suo storico feudo, il Veneto, ha perso un milione di voti quasi nello stesso periodo. La deriva sovranista imposta da Salvini non paga più, allontanandosi dalla base storica legata al Nord produttivo. Il consenso costruito sulla sola identità e sulla figura del leader, senza rinnovamento della classe dirigente e senza risultati concreti, si è rivelato fragile ed è evaporato in breve tempo.

Fratelli d’Italia mostra tutti i sintomi di aver imboccato la stessa traiettoria. Sono passati quasi tre anni da quando è diventato il primo partito e guida il governo, ma di reale rinnovamento, ampliamento e diversificazione della sua classe dirigente si vede ben poco. Il partito sembra incapace di evolversi oltre i confini della sua storia, cristallizzato in una dimensione autoreferenziale.

Lo si vede chiaramente in Sicilia, dove il partito è letteralmente imploso, nella disattenzione da parte dei media nazionali che celebrano lo standing internazionale della Presidente del Consiglio. L’ambizioso sistema di potere regionale è naufragato tra dimissioni, come quella del deputato Manlio Messina (che dovrebbe essere tra i protagonisti alla prossima puntata di Report in quello che si preannuncia una resa dei conti in pubblico), e inchieste che hanno coinvolto assessori e il presidente dell’Assemblea Regionale. Ma l’instabilità non è solo siciliana: dai malumori nelle Marche per i risultati elettorali deludenti, agli scontri interni a Reggio Calabria, fino alle tensioni nel Lazio sulle nomine Cotral che hanno fatto emergere la rivalità tra correnti. In Puglia, una consigliera esclusa dalle liste ha denunciato pubblicamente di aver ricevuto un “trattamento indegno”.

Un altro segnale rivelatore della scarsa capacità attrattiva di Fratelli d’Italia e in generale dei suoi esponenti arriva dalla Toscana, dove la lista civica a sostegno del candidato del centrodestra si è fermata a un misero 2,8%, contro l’8,8% di quella del presidente uscente Giani. Questo dato suggerisce che, al di là del consenso elettorale diretto, Fratelli d’Italia fatica a costruire un appeal trasversale e ad ampliare stabilmente il proprio bacino di sostegno.

Le crepe cominciano a intravedersi persino nei rapporti con gli alleati, come dimostrano le recenti tensioni sulla successione del governatore in Lombardia.

Il partito appare così bloccato in una dimensione autoreferenziale, incapace di trasformare il successo elettorale in un radicamento sociale e territoriale duraturo. La domanda sorge spontanea: quanto durerà? La parabola della Lega insegna che un crollo può essere strutturale, non congiunturale. Fratelli d’Italia ne ripercorre i passi: lotte interne, scandali locali, incapacità di attrarre nuove energie, risultati internazionali più propagandistici che sostanziali.

La politica, sul lungo periodo, premia chi sa costruire non solo narrazioni, ma strutture e risultati tangibili. E su questo fronte, Fratelli d’Italia – nonostante lo standing internazionale costantemente enfatizzato – sembra ancora fermo al punto di partenza, replicando gli stessi errori che hanno condotto al declino la Lega. Con un’aggravante: la Meloni non ha nemmeno un Veneto o una Lombardia dove ritirarsi in caso di disfatta nazionale.

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