
Memoria e Futuro
Sai che non ti avevo riconosciuto?
Disclaimer: le opinioni espresse qui sotto appartengono solo all’autore. All’interno del pezzo ci sono anche battute che appartengono ad un’altra epoca e potrebbero colpire la sensibilità odierna in tema di politica internazionale e sesso. All’esterno di alcuni cinema a luci rosse della mia città d’origine c’erano affissi dei manifesti dove c’era scritto “se sei contro, non entrare”. Vale anche per la lettura di questo articolo.
È qualche giorno che ci penso e non me ne capacito. Sarà perché sono uno di quelli che pensano che una delle rovine della fine del novecento e del principio del XXI secolo sia stato il ritorno ai nazionalismi, sarà perché sono sempre stato convinto che l’enormità dei problemi di fronte alla popolazione mondiale si può risolvere solo con governi mondiali delle cose (uhhh, ecco un mondialista), sarà per le pessime canzoni che mi hanno formato, ma ritengo onestamente il riconoscimento internazionale degli Stati uno dei meccanismi più grotteschi dell’architettura politica moderna, una sorta di gioco delle sedie musicali geopolitico dove si decide chi ha diritto di esistere attraverso proclami burocratici e calcoli strategici.
La recente decisione di Macron di riconoscere la Palestina a settembre 2025, annunciata per la sessione dell’assemblea generale delle Nazioni Unite (Internazionale), non è che l’ennesima pantomima di questo sistema obsoleto, dove la sovranità diventa una concessione diplomatica piuttosto che una realtà concreta. Il concetto stesso di riconoscimento statale rivela la natura artificiale e arbitraria delle frontiere nazionali. Quando uno Stato “riconosce” un altro, non sta semplicemente prendendo atto di una realtà esistente, ma sta partecipando a un rituale che conferisce legittimità internazionale attraverso il consenso dell’élite politica globale. È un sistema che perpetua la divisione del mondo in recinti nazionali, ignorando completamente le realtà transnazionali dell’economia, della cultura e dei flussi migratori contemporanei.
La Palestina rappresenta un caso emblematico di questo assurdo teatrino. Autoproclamatasi Stato il 15 novembre 1988 (durante una seduta dell’OLP ad Algeri), la Palestina non ha mai posseduto un controllo territoriale effettivo o istituzioni funzionanti nel senso tradizionale. Eppure dal novembre 1988 ben 80 nazioni riconobbero la Palestina come Stato indipendente, dimostrando che il riconoscimento statale spesso precede e prescinde dalla realtà istituzionale.
Questo fenomeno non è isolato. La storia è piena di “Stati” riconosciuti senza consistenza istituzionale: il governo francese di Vichy mantenne relazioni diplomatiche formali pur essendo una marionetta nazista; numerosi governi in esilio durante la Seconda Guerra Mondiale conservarono il riconoscimento internazionale pur non controllando alcun territorio; più recentemente, la Libia post-Gheddafi ha visto coesistere governi rivali, ciascuno riconosciuto da diversi gruppi di nazioni. Tutte realtà fittizie, in tutto simili ad altri Stati fantasma mai riconosciuti dalle organizzazioni internazionali.
Paradossalmente, mentre entità disfunzionali ricevono riconoscimento diplomatico, esistono centinaia di micronazioni che, pur rivendicando la propria sovranità, vengono sistematicamente ignorate dalle organizzazioni internazionali. Il Principato di Sealand, stabilita su un forte anti-aereo della Seconda Guerra Mondiale e occupata dalla famiglia Bates dal 1967, ha più coerenza territoriale di molti Stati riconosciuti, eppure non ha ricevuto alcun riconoscimento ufficiale. Liberland, proclamata nel 2015 su un territorio conteso tra Croazia e Serbia, rappresenta un esperimento libertario con cittadini volontari, costituzione scritta e strutture amministrative più definite di molti Stati membri dell’ONU. Per non parlare di popolazioni, come quella curda, compressa tra nazioni diverse in tutto tranne che nella volontà di estirparne l’esistenza o la vicenda Tibet-Cina. Queste nazioni “irriconosciute” dimostrano l’arbitrarietà del sistema di riconoscimento: non importa la volontà popolare, l’organizzazione istituzionale o persino il controllo territoriale, ma solo l’accettazione da parte del club esclusivo degli Stati esistenti.
Quando sento parlare di riconoscimento internazionale degli Stati mi torna in mente una mia collega di università che, non essendo particolarmente fornita dal punto di vista di impianto mammario, a quelli che la consigliavano di rifarsi il seno, rispondeva prontamente “rifarmi? Guarda che devo farmelo ex novo”. Ecco, più che riconoscere, sarebbe il caso di conoscere, conoscerci e magari, auspicabilmente, evitare nuovi stati e nuove bandierine, che sono solo forieri di guerre potenziali. Edoardo Bennato lo diceva già quarant’anni fa in questa canzone.
Particolarmente grottesco è il paradosso di alcuni (parecchi, in realtà) di sinistra, teoricamente contrari ai nazionalismi e alle divisioni artificiali, odiatori pavloviani di ogni neonazionalismo di destra “costruttore di muri” che diventano improvvisamente strenui sostenitori della sovranità statale quando si tratta della Palestina. La stessa sinistra che critica i confini, denuncia il patriottismo come costruzione borghese e predica l’universalismo dei diritti umani, si trasforma in zelante promotrice della “autodeterminazione dei popoli” palestinesi. È una contraddizione flagrante: si condanna il nazionalismo (di destra genocida) israeliano (spesso confondendo, ad arte, Israele con l’ebraismo mondiale) mentre si celebra quello palestinese, come se le frontiere fossero malvagie solo quando tracciate da alcuni e liberatorie quando rivendicate da altri. Solo a me questo ricorda la furia anti Islam post 11 settembre di molti conservatori, criticata dalle anime più belle della sinistra dell’epoca?
Questa doppiezza rivela come anche la sinistra internazionalista rimanga intrappolata nella logica statale, incapace di immaginare soluzioni che superino la dicotomia oppressore-oppresso attraverso la dissoluzione delle strutture nazionali stesse. E dire che a base dell’Internazionale (socialista, comunista o anarchica che fosse) c’era l’abrogazione degli Stati nazionali.
Quel sistema degli Stati-nazione che, con il suo corollario di riconoscimenti reciproci, appare sempre più anacronistico in un’epoca di sfide globali che richiederebbero governance sovranazionali. Cambiamento climatico, pandemie, flussi finanziari, reti digitali: tutti fenomeni che rendono ridicole le frontiere nazionali e i loro guardiani diplomatici. Il riconoscimento della Palestina da parte della Francia non risolverà il conflitto israelo-palestinese, ma rafforzerà semplicemente l’illusione che la soluzione ai problemi umani passi attraverso la moltiplicazione di entità statali sovrane in un mondo che ha bisogno di meno confini, non di più.
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