Memoria e Futuro
Senti il botto
C’è qualcosa di profondamente ironico nel modo in cui in Italia si guarda, e i giornali di centrodestra italiani stanno usando, il recente caso BBC. Mentre questi ultimi titolano a caratteri cubitali sulla “manipolazione” dell’emittente britannica paragonandola a vicende italiane, molti di loro colgono l’occasione per tornare, per l’ennesima volta, alle loro narrazioni preferite e alle colpe dell’informazione Rai: il Covid creato in laboratorio, le “fake news di Trump che erano verità”, la censura dei social, il complotto mediatico globale. Cascano così in quella definizione che Carlo Romeo, nella sua gestione (una volta al mese per una settimana) di Stampa e Regime su Radio Radicale, definisce con precisione chirurgica “giornali col botto”: testate che tendono a fare titoli esplosivi che però, all’analisi, si rivelano più petardi che bombe. Rumore assordante, poca sostanza.
Eppure, al netto di questo approccio provinciale, il caso BBC solleva questioni serie che riguardano tutti. Perché se è vero che certi giornali usano lo scandalo come clava ideologica, è altrettanto vero che la vicenda rivela una differenza abissale tra modelli di giornalismo: quello che assume le proprie responsabilità e quello che, da noi, si nasconde dietro la retorica dell’indipendenza mentre pratica metodi quanto meno discutibili.
Il caso è noto: la BBC ha montato in modo fuorviante un discorso di Trump sul 6 gennaio 2021. Gli editor hanno unito due frammenti separati del discorso – distanti quasi un’ora l’uno dall’altro – creando l’impressione che Trump avesse detto di voler marciare sul Campidoglio e subito dopo avesse esortato a “combattere come pazzi”. Il risultato: un’impressione falsificata, un montaggio che trasformava parole ambigue e irresponsabili in un incitamento diretto alla violenza.
La risposta dell’emittente britannica allo scandalo è stata netta: dimissioni immediate dei vertici (direttore generale Tim Davie e CEO news Deborah Turness), scuse pubbliche, assunzione piena di responsabilità. E ora, di fronte alla minaccia di una causa da un miliardo di dollari da parte di Trump, la BBC pare pronta a non cedere. Un atteggiamento che stride non poco con quello, ad esempio, dei grandi network americani: ABC e CBS hanno piegato la testa davanti alle pressioni trumpiane – con accordi da 15 e 16 milioni di dollari rispettivamente – pur avendo, secondo gli esperti legali, buone possibilità di vincere in tribunale. Ma li hanno fatto velo gli interessi della grandi corporations sulla difesa dell’indipendenza dei cronisti.
Ora proviamo un esperimento mentale. Immaginiamo che in Italia un programma del servizio pubblico monti le parole di un politico staccando frasi pronunciate a distanza di tempo, omettendo passaggi cruciali, creando un senso completamente diverso da quello originale. Qualcuno si dimetterebbe? Qualcuno ammetterebbe l’errore? Vi ricorda qualcosa?
La verità è che quel metodo – il montaggio “creativo”, l’accostamento suggestivo, l’omissione strategica – è prassi consolidata nel nostro giornalismo televisivo. Da Le Iene a Report, assistiamo da anni a servizi costruiti proprio così: si registrano ore di interviste, si estrapolano le frasi che servono alla narrazione prescelta, si montano in sequenza creando collegamenti che nella realtà non esistono. Il risultato è tecnicamente “vero” – quelle parole sono state dette – ma sostanzialmente fuorviante.
E qui arriviamo al paradosso italiano: il nostro è un sistema in cui il giornalismo, pubblico o privato che sia, è sempre stato semplicemente uno degli strumenti del gioco di potere, tra battute più o meno velate, insinuazioni strategiche e omissioni calcolate. Un gioco delle parti costante dove la linea tra informazione e militanza si è dissolta da tempo.
Il caso esemplare di un metodo di rapporto quanto meno obliquo è l’audizione di Ranucci in commissione Antimafia. Rivediamo la scena. Il senatore Scarpinato chiede se ci sia “connessione” tra l’attentato e il sottosegretario Fazzolari. Ranucci rilancia, chiedendo e ottenendo di secretare parte della risposta e così confermando, in omissione, in qualche modo il coinvolgimento, seppur non chiarito, di Fazzolari. Mancava solo un pubblico prezzolato che urlava dal loggione “a’ mossa!”. Sebbene non all’interno di un servizio giornalistico si tratta di un metodo identico a quello censurato della BBC: accostamenti suggestivi, omissioni strategiche, creazione di un’impressione che i fatti nudi e crudi probabilmente non supporterebbero. La differenza? Alla BBC si sono dimessi. Da noi si continua imperterriti, anzi si elogia chi usa il metodo come esponente di un giornalismo d’inchiesta coraggioso.
Ma non è solo lì che si applica questo stile. Basta leggere oggi l’editoriale di un alfiere del “garantismo” (pro domo parte di appartenenza), il direttore de il Giornale, Alessandro Sallusti, che in un editoriale pieno di detti e non detti dal titolo “Un colpevole per Ranucci”, rilancia dubbi sull’indagine seguita all’attentato subito dal giornalista, facendo suo un metodo di ineccepibile “cultura del sospetto”. Naturalmente qualche settimana fa lo stesso Sallusti, dopo l’evento, aveva espresso solidarietà: “È un collega con il quale litigo da una decina di anni. Quanto accaduto è una cosa gravissima”, ma poi in quella stessa occasione aggiunse quella che è la sintesi perfetta del sistema italiano: “Davanti a una bomba ci si ferma”. Il punto è che ci si ferma solo davanti alla bomba. Prima e dopo, il gioco continua con le stesse regole non scritte: accuse velate, insinuazioni calibrate, secretazioni strategiche.
La differenza tra BBC e il nostro sistema sta qui: quando la BBC sbaglia con un montaggio falsificante, riconosce l’errore, paga il prezzo delle dimissioni, ma poi combatte per difendere il principio della libertà editoriale. “Dobbiamo lottare per difendere il nostro giornalismo”, ha dichiarato Tim Davie al momento dei saluti, pur riconoscendo gli errori commessi.
Quando in Italia si usa lo stesso metodo – o peggio – ci si trincera dietro la retorica dell’informazione coraggiosa. E dall’altra parte? Si risponde con lo stesso stile, in un gioco delle parti dove ognuno è convinto di essere dalla parte giusta e l’avversario dalla parte sbagliata. Ma entrambi usano gli stessi trucchi: montaggi suggestivi, omissioni strategiche, accostamenti che creano impressioni non supportate dai fatti.
È questo il vero scandalo, non le singole malefatte. Non che la BBC abbia sbagliato – sbagliare può capitare a tutti – ma che da noi quel metodo sia considerato normale, accettabile, addirittura meritorio. E che nessuno paghi mai per gli errori, perché nel gioco delle parti italiano l’errore stesso diventa arma: se lo fai tu è manipolazione, se lo faccio io è giornalismo d’inchiesta o legittima difesa.
Mentre i network americani capitolano perdendo la propria indipendenza editoriale e la BBC resiste pur ammettendo l’errore, noi continuiamo a giocare a chi grida più forte in un sistema dove il servizio pubblico e quello privato sono ormai indistinguibili nel metodo. I giornali di centrodestra fanno i loro “botti”, quelli di centrosinistra difendono Report come baluardo della democrazia ignorando i suoi metodi discutibili.
Forse dovremmo smetterla di chiamare “coraggio giornalistico” o “difesa della libertà” quello che è semplicemente militanza travestita da informazione, protetta dall’impunità di un sistema che preferisce il gioco alla sostanza. E iniziare a pretendere vera responsabilità: quando sbagli, quando manipoli, ti dimetti. Come alla BBC. Non da noi, evidentemente, dove il botto del titolo è più importante della verità che dovrebbe contenere.
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