Cosa vi siete persi

Tenetevi Bruce ma lasciatemi Brunori

di Marco Di Salvo 6 Luglio 2025

Mentre per due sere 58.000 persone hanno ascoltato Bruce Springsteen tuonare contro Trump a San Siro, definendo l’amministrazione USA “corrotta, incompetente e traditrice”,  gira per l’Italia con la sua Piccola Orchestra (come la definisce lui) Dario Brunori. Noi abbiamo avuto modo di vederlo a Pistoia e, possiamo dire senza enfasi che, ha fatto bene a marzo, in un palazzetto romano stipato all’inverosimile, ad autoproclamarsi “il Bruce Springsteen silano”. Naturalmente si trattava di autoironia mista a cinismo da sensibili, come quando a Pistoia ha richiamato la visita del mattino al Dynamo Camp e ha confessato al pubblico che “tutta questa bontà mi ha fatto venire voglia di fuggire via da lì dopo due ore”.

Due modi di fare concerti, due generazioni, due stili antitetici di concepire l’impegno politico attraverso le canzoni.

Springsteen ha trasformato il suo ritorno a San Siro (40 anni dopo il debutto del 1985 e dopo che ha eletto lo stadio meneghino ad uno dei suoi venue preferiti) in un comizio rock. Con i sottotitoli in italiano sui maxischermi, ha attaccato frontalmente Trump: “Perseguitano chi esercita la libertà di parola, abbandonano i bambini più poveri alla morte, si alleano con dittatori”. Brani come “Rainmaker” (scritta per il tycoon qualche anno fa, quando sembrava che fosse solo una parentesi nella storia americana) e “Death to My Hometown” sono diventati inni della resistenza democratica, mentre citava James Baldwin: “Non c’è tutta l’umanità che vorremmo, ma ce n’è abbastanza”. Per il Boss, il palco è una cattedrale gotica dove la denuncia si fa sermone laico, con 60.000 fedeli in estasi.  Io che ho partecipato diverse volte a queste celebrazioni, forse perché invecchio, le ho trovate via via fin troppo retoriche e oggi preferisco lasciarle a chi non ha avuto la possibilità negli anni passati di provarne i brividi.

Vado a vedere con più piacere Brunori che, dal canto suo, porta nei palazzetti italiani, per dirla con parole sue, una “crisi di mezza età in forma musicale”. Con una band di 10 elementi e arrangiamenti da stadio virati spesso su sonorità più rock del passato, canta le piccole apocalissi quotidiane: la precarietà esistenziale in “Il mondo si divide”, la fragilità in “Come stai”, il mondo con le sue bruttezze, come in “L’uomo nero” e “Al di là dell’amore”. La politica qui non è negli slogan, ma nelle microstorie.

Il suo è un impegno obliquo, che trasforma l’ansia da sovraccarico informativo in cori collettivi. Ma ci tiene a dire come la pensa sul mondo, “costringendo” i fan che lo hanno conosciuto solo dopo il Sanremo di quest’anno ad un tuffo intensivo iniziale nelle sue canzoni più  “politiche”, affinché non ci siano dubbi su come la si pensa in piazza. E cantare l’uomo nero a Pistoia (città del futuro candidato del centrodestra alla Regione Toscana) è un bel segno di engagement.

Springsteen cerca la mobilitazione di massa, Brunori la condivisione intima. Il primo scende dalle scale del palco (senza l’energia di un tempo e con la lentezza dovuta agli acciacchi dell’età) per abbracciare i fan dopo un assolo d’armonica, il secondo invita a “zampettare” invece di saltare e definisce una ballata “un valzerino dolce”. Entrambi parlano di ingiustizia, ma con linguaggi opposti: Bruce con la fiammata di “Murder Incorporated” e “Born in the USA”, Dario con l’autoironia di chi sa che “il pubblico della prima ora ha i sandali e la fiaschetta” (non tutto, eh) e credeva nel progresso e nei sorrisi di Mandela.

In tempi di polarizzazione tossica, la forza di Brunori sta nel rifiuto della retorica. Le sue canzoni non dividono tra buoni e cattivi, ma mostrano come sentirsi uno su sette miliardi possa diventare una strada per ritrovare leggerezza. Mentre Springsteen deve tradurre i suoi j’accuse in italiano per essere compreso, Brunori canta disagi riconoscibili a prima vista: è il poeta della generazione che ha sostituito le ideologie con le insicurezze.

Springsteen aspira a restare (a 75 anni) il faro della coscienza americana, ma Brunori è la voce che ci somiglia: un impegno civile senza monumenti, che trasforma la crisi in una danza collettiva. Servono entrambi, ma se Bruce accende i riflettori sull’emergenza democrazia, Brunori ci ricorda come sopravvivere al presente. Con un valzerino, un sorriso e la consapevolezza che la politica comincia dalla fragilità condivisa.

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