A ciclo continuo, la magistratura produce indagini sulla politica, che non ha più anticorpi nè idee

Memoria e Futuro

Tutta colpa della “vuotopolitica”

di Marco Di Salvo 21 Luglio 2025

Che friccicorino a leggere i quotidiani in questi giorni. Le penne più acuminate sono state tolte dai cassetti polverosi (dov’erano state riposte all’incirca alla metà degli anni novanta) e giù editoriali e articoli pieni di reprimende sui cattivi amministratori. Riparte la pantomima, la presa di distanza, il distratto scoprire che, nella città dove si vive ed opera, sono cresciuti come funghi i grattacieli. Nessuno ricorda le paginate sul prestigioso cambio di skyline a Milano, sulle meraviglie dell’Expo e altre facezie. Niente, tutto cancellato. Abbiamo ripreso la maschera dell’indignazione. Peccato che non ci sia più a disposizione neanche un po’ di antipolitica. Ve la ricordate, quella alimentata dai soffioni giornalistici contro la politica brutta e cattiva? No? Strano, perché l’Italia oramai da più di un decennio (quello iniziato con la cessione di sovranità alla “tecnica”) naviga in un paradosso stridente: mai come oggi la politica sembra pervadere ogni spazio mediatico, dai talk show ai social network, eppure mai come oggi appare evanescente, inconsistente, svuotata di significato.

Se c’è una metafora di tutto questo lo possiamo guarda caso ricavare da un film Marvel uscito qualche mese fa: “Thunderbolts” (aka New Avengers). La storia in breve tratta di un gruppo-non gruppo di supereroi falliti alle prese con una specie di Superman dalla doppia personalità. Il suo potere, la sua invincibilità è spesso al servizio del suo lato oscuro, chiamato The Void (il Vuoto), che cancella letteralmente le persone mandandole a vivere i loro peggiori incubi. The Void è, di fatto, quello che stiamo vivendo con la politica italiana da qualche tempo a questa parte, che da potere semi assoluto si è trasformata in spettatrice e strumento.

È la “Vuotopolitica”: un simulacro di dibattito pubblico, un rito senza sostanza. E da questo deserto ideale e progettuale, cresce rigogliosa da trent’anni l’antipolitica, un sentimento viscerale di disprezzo verso la classe dirigente, che mina le basi stesse della democrazia rappresentativa.

Facciamo un ripassino per i distratti che, come abbiamo capito, abbondano. La Vuotopolitica è figlia di tre ferite storiche. Primo, il collasso dei partiti tradizionali. Democrazia Cristiana e Partito Socialista, ma anche il PCI, non erano mere macchine elettorali: erano comunità ideologiche, reti capillari sul territorio, scuole di formazione. La loro scomparsa ha lasciato un vuoto organizzativo e identitario. I nuovi soggetti politici, spesso nati attorno a leader carismatici, hanno privilegiato la comunicazione sulla struttura, l’immagine sul programma, il consenso immediato sulla costruzione di visioni a lungo termine.

Secondo, l’azione della magistratura (che torna ciclicamente, come le onde della risacca), pur necessaria per estirpare un sistema corrotto, ma che ha contribuito a demolire la legittimità dell’intera classe politica senza offrire un’alternativa credibile. L’effetto collaterale è stato devastante: la politica è stata associata per decenni alla corruzione, alla menzogna, al tradimento. Una narrazione tossica che ha eroso la fiducia nelle istituzioni e delegittimato qualsiasi progetto collettivo.

Last but not least, l’avvento dei social network e di una generazione di politici formatasi in quel brodo culturale (dopo quella cresciuta a pane e Mediaset). La politica digitale premia la semplificazione, l’emozione istantanea, lo scontro spettacolare, e si sostanzia spesso della “ultima inchiesta” della magistratura. I contenuti complessi sfumano; le ideologie diventano brand; il dibattito si riduce a hashtag e insulti. I nuovi leader spesso nascono non da percorsi di militanza o studio, ma da viralità e populismo digitale. Il risultato? Una “politica liquida”, senza radici né orizzonti, che alimenta la percezione di un’élite distante, incompetente e autoreferenziale. Che cede sovranità ai tecnici (presunti tali) e non si assume responsabilità. Non sceglie, ma commenta.

È in questo humus che attecchisce l’antipolitica: oramai non più un’alternativa, ma un companatico. Un grido di rabbia contro “Roma (o Milano) ladrona”, contro “tutti uguali”, contro il sistema, contro la politica. Non a caso, prospera nelle periferie economiche ed esistenziali del Paese (ma anche in quelle culturali che affollano i centri storici delle nostre città maggiori), tra chi si sente escluso dalla ripresa e tradito dalle promesse. Il rischio (ma più che un rischio, è una prospettiva) è che questa deriva emotiva, priva di progetto, si trasformi in carburante per soluzioni autoritarie (a trovarli, gli autoritari) o per un qualunquismo destabilizzante (scenario ideale per chi fa politica, riduzione di elettori e camarille dominanti).

La Vuotopolitica ha creato un circolo vizioso: meno la politica offre soluzioni credibili, più cresce il disprezzo alimentato anche dalle indagini della magistratura; più cresce il disprezzo, meno talenti e idealisti vi si avvicinano; meno competenza c’è, più la politica si svuota. Uscire da questa trappola richiederebbe un nuovo patto sociale: ricostruire partiti come luoghi di partecipazione, rilegittimare il conflitto democratico, ridare centralità alle idee rispetto all’immagine. Un po’ come alla fine del film i supereroi sfigati che smettono di giocare da soli e si preparano a sostituire i Vendicatori classici, una volta sconfitto The Void. Ma chi avrà il coraggio di iniziare, di essere i New Avengers, in un paese che applaude solo ai tornei di insulti?

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