Memoria e Futuro

Un eroe dei nostri tempi

di Marco Di Salvo 26 Maggio 2025

In uno degli ultimi scandali senza scandalo tipici del nostro paese, Alessandro Sallusti ha offerto una prospettiva disarmante e, per certi versi, illuminante sul fenomeno della raccomandazione. Non contento di non aver fatto una figura particolarmente brillante raccontando vicende familiari legati al fascismo, il giornalista ha ammesso senza mezzi termini: “Non ho studiato e non fui ammesso alla maturità. Sono stato raccomandato per lavorare”. Non solo, ha proseguito affermando di essere stato “raccomandato in tutti i passaggi professionali” della sua carriera, definendo la raccomandazione “uno dei motori… dell’accesso al mondo del lavoro”. Questa schietta confessione, quasi una rivendicazione, normalizza pubblicamente la pratica e, sinceramente, non ci stupisce. La sua visione, che contempla persino una “raccomandazione sana” , eleva la raccomandazione da atto stigmatizzato a prassi funzionale, quasi necessaria. Inutile dire anche che il nostalgismo di cui è pregna l’intervista idealizza un periodo storico che aveva proprio nella raccomandazione uno dei suoi aspetti più scandalosi e abituali. Questa validazione pubblica contribuisce alla sua “tolleranza culturale” anche in memoria, sfidando la visione convenzionale e suggerendo un sistema alternativo, profondamente radicato, di networking e accesso al mondo professionale. Il revisionismo della raccomandazione, verrebbe da dire.

Niente che non si sia visto e raccontato da decenni nella commedia all’italiana, maestra nel mettere in scena “i vizi e le virtù di un popolo” attraverso una “diretta osservazione della società”.  Questi personaggi, penso per esempio al protagonista di “Un eroe dei nostri tempi” non erano semplici caricature, ma specchi grotteschi di un desiderio profondo di sicurezza e opportunismo, spesso raggiunti bypassando il merito. Le loro vicende, illustrano perfettamente il “sistema” descritto con bonomia da Sallusti, permettendo a quei tempi agli italiani di ridere delle proprie debolezze, riconoscendone l’ubiquità.

Temo però che il declino della commedia all’italiana, che si è esaurita negli anni tra la fine degli anni ’70 e l’inizio degli ’80, e la sua coincidenza con un periodo oramai quasi quarantennale di percepito degrado delle classi politica e giornalistica, abbia fatto da humus alla realtà distorta che stiamo vivendo.

L’ironia amara è che i “personaggi” opportunisti e furbi, un tempo confinati allo schermo, sembrano aver trovato un nuovo e più vasto palcoscenico nelle istituzioni. La realtà è diventata così grottesca da rendere la satira cinematografica quasi superflua, visto che i “mostri” riflessi ed estremizzati dal cinema sono migrati nelle stanze del potere, trasformando la vita pubblica in una commedia senza più risate. E a costringendoci a leggere e commentare, come fossero cose serie, le interviste a Sallusti.

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