Memoria e Futuro

Un giorno da Giani

di Marco Di Salvo 8 Ottobre 2025

Nel pantheon delle leggende metropolitane della politica, poche convinzioni sono radicate quanto questa: una gaffe può costare un’elezione. Ogni scivolone verbale, ogni lapsus geografico, ogni errore di calcolo viene scrutato, amplificato, trasformato in munizione mediatica. Ma la domanda rimane: le gaffe contano davvero, oppure sono solo il sale che rende appetitose le cronache elettorali?

La risposta, come spesso accade in politica, è: dipende. E dipende soprattutto dal contesto, dalla solidità del candidato e dal momento in cui la gaffe viene commessa. Prendiamo il caso americano. Joe Biden si è autodefinito una “gaffe machine” e la sua carriera politica ne è la dimostrazione vivente. Eppure, nonostante decenni di scivoloni verbali, è diventato vicepresidente e poi presidente degli Stati Uniti. Le sue gaffe, per anni considerate “endearingly human” – umanamente simpatiche – non gli hanno impedito di scalare il potere. Almeno fino a quando l’età e la percezione di declino cognitivo non hanno trasformato quegli stessi errori da vezzi caratteriali a segnali d’allarme.

Il caso più emblematico? La gaffe del “garbage” nell’ottobre 2024, quando Biden sembrò definire “spazzatura” i sostenitori di Trump, appena una settimana prima del voto. Trump ne approfittò immediatamente, presentandosi a un comizio su un camion della nettezza urbana in una delle trovate scenografiche più efficaci della campagna. Quella gaffe probabilmente spostò voti? Forse. Ma Trump stesso non è stato immune: le sue continue confusioni tra nomi, date e fatti sono state costantemente ridicolizzate, senza che questo intaccasse minimamente il suo consenso di base.

In Europa e in Italia il copione è simile. Virginia Raggi vinse le elezioni a Roma nel 2016 nonostante le gaffe, superando abbondantemente le previsioni dei sondaggi. Il caso Tridico in Calabria dimostra invece come una gaffe – sbagliare il numero delle province della regione che vuoi governare – diventi letale quando si inserisce in una campagna già disastrata, con errori grammaticali e sostenitori deceduti.

E poi c’è Eugenio Giani (una sorta di Biden nostrano), presidente uscente della Toscana, che pochi giorni prima del voto del 12-13 ottobre ha dichiarato a Un Giorno da Pecora che la Toscana confina con la Lombardia. Scena muta quando gli è stato fatto notare l’errore, poi una surreale toppa: “Ah la Lombardia non c’è? Sarebbe bello”. Il problema? Giani è dato vincente con oltre 10 punti di vantaggio nei sondaggi. Quasi certamente diventerà governatore nonostante non sappia quali regioni confinano con la sua. La gaffe non gli costerà nulla, se non qualche articolo ironico e un video virale sui social.

La verità è che le gaffe raramente decidono un’elezione da sole. Funzionano come acceleratori di tendenze già in atto: se un candidato è percepito come debole, incompetente o disconnesso dalla realtà, ogni scivolone diventa conferma. Se invece gode di un consenso solido, la stessa gaffe viene derubricata a momento di umanità o strumentalizzazione avversaria.

Ma c’è un’altra verità, più scomoda: le gaffe più frequenti e sistematiche che i politici commettono oggi sono quelle legate alla geografia, ai numeri, ai dati concreti. Non perché siano diventati improvvisamente ignoranti, ma perché sempre meno elettori sono in grado di riconoscerle e sanzionarle. Da decenni programmi di intrattenimento televisivo e non solo (tanti video su YouTube, ad esempio) lucrano ascolti sulle interviste fatte a politici (e non) in questi ultimi dimostrano varie mancanze formative. In un’epoca in cui l’affluenza alle urne scende costantemente e la conoscenza civica è ai minimi storici, un candidato può tranquillamente sbagliare i confini della propria regione senza che questo intacchi minimamente le sue possibilità di vittoria. Il problema non è tanto che Giani non sappia che tra Toscana e Lombardia c’è l’Emilia-Romagna, ma che la stragrande maggioranza dei suoi elettori probabilmente non lo sa nemmeno. O peggio, non se ne cura.

C’è poi il fattore mediatico. Nell’era dei social media, ogni errore viene amplificato istantaneamente, ma anche metabolizzato altrettanto rapidamente. Il ciclo delle notizie è così frenetico che una gaffe che ieri avrebbe dominato i giornali per settimane oggi viene sostituita dalla successiva nel giro di 48 ore.

La lezione, se ce n’è una, è che le gaffe contano nella misura in cui confermano una narrazione preesistente. Non creano sconfitte dal nulla, ma possono accelerare cadute già in corso. Sono sintomi, non cause. Ottime per fare titoli, meno determinanti per fare storia. E sempre più spesso, nell’era del disimpegno civico e della bassa affluenza, sono irrilevanti persino come sintomi. Giani vincerà domenica nonostante la Lombardia, Tridico ha perso non solo per le tre province. La differenza non sta nella gaffe, ma in chi ancora si prende la briga di votare e cosa gli importa davvero quando lo fa.

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