
L'architettura e noi
Urbanistica a Milano, i problemi non nascono dall’esercizio del potere, ma dalla sua assenza
Sono note le vicende dell’inchiesta sull’urbanistica milanese, che mostrano la contraddizione – in termini pasoliniani – tra sviluppo e progresso. Ciò che accade a Milano, cioè un disorientamento e un tralignamento normativo – operativo, è frutto, dal punto di vista architettonico, di una espressione del potere? No, è frutto di una deviazione del potere democratico, in realtà di un vuoto di potere, che viene riempito dalla mediocrità degli interventi. Per cui uno vale l’altro, secondo i giochi che si realizzano nella Commissione paesaggio: una sorta di scambio che per l’architettura non può che essere al ribasso.
La situazione è totalmente diversa dalla vecchia Tangentopoli.
Allora c’erano le tangenti, ma c’era anche una forte progettualità pubblica urbana, una griglia operabile che andava oltre il semplice PGT con piani di zona: una conoscenza della città e delle sue diversità. Credibilmente, in quei lontani anni e oltre, si è “buttato via il bambino con l’acqua sporca” e oggi la visione di Milano, se si escludono le Varesine – anche con il suo bel parco – è indifferenziata dal punto di vista del carattere degli interventi.
Al contrario, è sempre stato il potere che ha creato l’espressione architettonica. Non vedo esempio migliore di questa fenomenica di quello delle Saline reali di Arc e Senant vicino a Besancon in Francia. Furono realizzate da Claude-Nicolax Ledoux, l’architetto del Re LuigiXVI, tra il 1775 e il 1779 come struttura per l’estrazione del sale dalle acque e come insediamento per le maestranze in forma ci città ideale: un grande anello, non realizzato per intero, attorno agli edifici produttivi e alla casa del direttore con le sue colonne rocchiate. Una architettura che ancor oggi meraviglia e attrae e che dimostra che il “potere”, quando lavora per la magnificenza civile, può suggerire le migliori opere.
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