“La casa è il vostro corpo più grande… e non è senza sogni”. (Gibran)

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31 Marzo 2020

“Nuvolari ha un talismano contro i mali
i suoi muscoli sono muscoli eccezionali!

Quando corre Nuvolari mette paura
perché il motore è feroce

La gente aspetta il suo arrivo

e lo guarda scomparire
come guarda un soldato a cavallo,
a cavallo nel cielo di Aprile!
Nuvolari è bruno di colore,
Nuvolari ha la maschera tagliente”.

Rigore, questo è il tempo dell’autodisciplina, ci viene chiesto, ci viene imposto. Oltre alla distanza, oggi ci viene chiesto di restare fermi, immobili. Si è passati dal moto accelerato e dai propugnatori della decrescita felice, alla necessità di sospendere ogni movimento. La morte invade i nostri schermi, le nostre case, immagini che ci bucano occhi e mente, siamo sintonizzati sul dolore perpetuo di chi non ce l’ha fatta, chi lotta per farcela, chi si batte per salvare vite, chi è costretto a recarsi a lavoro col timore di essere contagiato.

I fortunati sono, in questo scenario, coloro che possono lavorare da casa.

Spesso per madri che devono fare a meno di babysitter, lo smart working ha duplicato il carico di lavoro. A chi un lavoro non ce l’ha, o non può svolgerlo dalla casa, viene consigliato di riappropriarsi di uno spazio perduto, quello domestico, cercando di assaporarne gioie e riscoprire abitudini che avevamo perduto. C’è chi suggerisce di dedicarsi alla messa in ordine degli armadi, di fare pulizie più approfondite in casa, di coltivare hobbies, si è riscoperto il gusto di impastare, Il lievito scarseggia. Anche tenere la mente occupata con la lettura di un buon libro è terapeutico.

Non potendo più praticare alcuna attività sportiva, il web ci viene in soccorso organizzando corsi di ballo o di ginnastica a distanza, vengono realizzate trasmissioni ricreative per i più piccoli perché possano restare gioiosi non inalando l’odore funereo che ci circonda.

Chi una casa ce l’ha è fortunato, le soluzioni abitative, però, fanno la differenza.  A Napoli, nei “bassi”, le case dell’altra città, quella del popolo che si è adattato a vivere una vita in cui il balcone è stato sostituito dalla strada, manca la ventilazione. Gli abitanti hanno spesso la porta aperta che non è un segnale di benvenuto al vicino che versa nelle sue stesse condizioni, ma di necessità affinché possa passare un po’ d’aria e con essa a volte anche ratti, insetti, vermi. Il litigio è all’ordine del giorno visto la quantità di spazio esiguo.

Riportando quanto Filomena Marturano dice nell’omonima commedia, “E ssapit chilli vascie. A San Giuvanniello, a ‘e Vergine, a Furcella,’e Tribunale ‘o Pallnetto! Nire affumicate, add’o ‘a stagione nun se respirap’o calore pecché’ a gente è assaie, e a vierno ‘o friddo fa sbattere ‘e diente…. Addò nun ce sta luce manco a mieziuorno… Chin’ ‘e ggente! Addò è meglio ’o friddo c’’ o calore.  Dint’ ‘a nu  vascio ’e chille, ‘o vico San Liborio, ce stev’ io c’’ a famiglia mia, Quant’ èramo? Na folla!”

Le misure restrittive imposte per debellare la pandemia non contemplano tutto ciò.

Eppure questo rigore, tipico della morte, non ci appartiene. Il corpo ha bisogno di muoversi, di spostarsi, di approssimarsi all’altro, di scambiare calore. Proprio come il fumatore non può togliere al suo corpo la sua dose di nicotina, così il nostro corpo non può rinunciare all’endorfina provocata dagli stati di benessere. Il rischio è evitare il contagio pandemico e ammalarsi di depressioni e nevrosi.

In “Il corpo sa tutto”, Banana Yoshimoto propone tredici racconti brevi, tutti concentrati attorno al tema del corpo, visto come un unicum con la psiche, nonché come mezzo che conduce dal dolore alla guarigione, dall’impalpabilità alla nitidezza, dalle parti al tutto, in un processo sofferto che porta all’identificazione del Sé. Il corpo è vissuto come intermediario delle relazioni con gli altri e con se stessi, inizialmente percepito come inadeguato, ma che pian piano diventa uno strumento di relazione coerente, appropriato, adatto al nostro vivere nel mondo.

Il corpo è quello che permette alla nostra anima di vivere l’esistenza terrena pienamente. Ci permette di camminare attraverso il mondo, di toccarne e vederne la bellezza. Di contro, ci fa comprendere i nostri limiti, ci testimonia ogni giorno, con il suo invecchiamento e i suoi dolori, la caducità delle cose materiali.

“Il corpo è il tempio dell’anima”, bisogna curarlo perché contiene qualcosa di prezioso.

Non a caso, altro consiglio che in questi tempi immobili gli specialisti danno, è quello di continuare a usare un velo di trucco, farsi la messa in piega, non lasciarsi andare.

Se essere privati della presenza fisica dei propri alunni, significa per un insegnante poter avere accesso alla loro vita più intima attraverso un occhio artificiale che li coglie nelle loro camere, con la loro tazza a sorseggiare latte accanto al loro peluche preferito, vuol dire allo stesso tempo, essere testimoni di una vitalità che viene tramortita da una connessione che ne deforma voci, di una vita artificiale che rende i loro volti pallidi e sempre più smunti.

D’Annunzio, durante l’estasi fiumana, attribuì largo spazio allo sport. Nella Carta del Carnaro si scriveva di una: “rigenerazione nazionale che andava contemplando il primato della ginnastica, il predominio della forma fisica sulla formazione intellettuale”. Amava raccontare che aveva attraversato a nuoto il Mar Adriatico, ricevette direttamente dall’Inghilterra un pallone di cuoio e ci giocò finché si scheggiò due denti per un imprevisto rimbalzo. Si imbarcò su un panfilo a vela per la Grecia, un omaggio al Gran Tour degli aristocratici europei del XVIII e IXX secolo, alla scoperta della religio corporis e religio atletae di origine classica. D’Annunzio si avvicinò all’equitazione, all’arte della scherma che paragonava alla musica, ai dadi, al biliardo e alle corse di levrieri sulle quali dileguò parte dei suoi guadagni. Fu folgorato dalla passione per il volo,nel romanzo “Forse che sì forse che no”, i due protagonisti sono due aviatori, un chiaro omaggio ai fratelli Wright. Si dedicò a esercizi di ginnastica che disegnava su un quaderno di appunti, iniziò a seguire gli incontri di boxe, fu nominato “Atleta dell’Anno” dalla Gazzetta dello Sport. Tazio Nuvolari dopo la vittoria del Gran Premio di Montecarlo fu fotografato mentre chiacchierava con il poeta davanti alla Prioria. In quello stesso periodo Mussolini conquistava la scena politica e, imparando da D’Annunzio,usò lo sport come leva politica.

Per D’Annunzio lo sport era qualcosa di intimo. Era un modo per perfezionare il suo corpo, convito che come nei miti classici, l’uomo immortale era un uomo perfetto nella sua fisicità. Le sfide con cui incessantemente si misurava, erano il tentativo di affermarsi e di sfuggire alla prova del tempo e alla paura della fine.

Anche in questo tempo inerte, intanto, la vita che preme dentro chiede di trovare nuove forme per non soccombere alla paura. Fermi in casa, ci si affaccia al balcone per guardarsi da lontano, le voci si rincorrono, si mettono piedi alla fantasia organizzando preghiere collettive e discoteche improvvisate. Per i vicoli di Napoli ritorna in gran voga un oggetto quasi caduto in disuso, il paniere. Un filo che accorcia le distanze per riempire il cesto dell’occorrente, per portare soccorso a chi ha difficoltà nell’approvvigionarsi del necessario.

La pandemia fa paura, i divieti sono rigorosi come le sanzioni, eppure è nell’umana natura trasgredire, oltrepassare il limite che ci soffoca, e così nel vicolo, nelle strade di periferia, si rivendica la libertà negata, il sangue bolle e la iattura a Napoli genera linfa. Produce i suoi frutti sui muri, nei posti sporchi e privi di grazia dove si maledice la camorra, si disegna l’amore, si esprime l’amore eterno per un proprio defunto, si incita a sperare.

Mentre Raffoart (il Graffiti writer che a Ponticelli, suo luogo di nascita e trampolino di lancio, ha disegnato tra gli altri Kobe Bryant, Bud Spencer, Pino Daniele, L’urlo di Munch) presente su un muro di Scondigliano ci invita col suo solito motto a restare a casa, il Vesuvio, che inaspettatamente fa capolino tra un vicolo, sembra volerci invitare al coraggio e alla resistenza.

 

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CAT: salute e benessere

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