Sì, la chiusura di tutta l’Italia era necessaria. E un elemento di valutazione per la decisione del governo è stato anche quel movimento di persone assolutamente inconsulto e incontrollato dal Nord al Sud, dopo la diffusione del primo decreto che prevedeva misure restrittive per la Lombardia e altre 11 province. L’epidemia poteva espandersi nel resto del paese e andava evitato, per quanto possibile.
Ad affermarlo è Walter Ricciardi, consulente del Ministero della Salute, sulla gestione dell’emergenza Covid-19 in Italia, raggiunto telefonicamente da Luca Carra per una lunga intervista pubblicata sul giornale scienzainrete.it.
Peraltro, le misure per contenere il contagio del coronavirus con l’Italia dichiarata “zona protetta” sembrano non bastare. La Lombardia vuole passare a uno step successivo: chiudere uffici e fermare bus e metro. L’idea è di lasciare aperti solo i negozi di alimentari e le farmacie, chiudere bar e ristornati e fermare la produzione. Il governo ci sta pensando.
Ma guardando ai numeri, molti si domandano perché vi siano differenze di mortalità così accentuate fra l’Italia e altri paesi che cominciano a registrare un certo numero di contagi ma proporzionalmente meno morti, come la Corea del Sud, la Francia e la Germania. Al momento siamo in linea solo con l’Iran.
L’aggiornamento dei dati di ieri parla di un totale di 10149 positivi, 1004 guariti e 631 deceduti.
Secondo Ricciardi «questo lo si spiega con un insieme di fattori. Il primo è che noi in questo momento probabilmente sovrastimiamo la mortalità perché mettiamo al numeratore tutti i morti senza quella maniacale attenzione alla definizione dei casi di morte che hanno per esempio i francesi e i tedeschi, i quali prima di attribuire una morte al Coronavirus eseguono una serie di accertamenti e di valutazioni che addirittura in certi casi ha portato a depennare dei morti dall’elenco. Di fatto capita che accertino che alcune persone siano morte per altre cause pur essendo infette da coronavirus. Noi invece, per i noti motivi di decentramento regionale, ci atteniamo a classificazioni dettate dalle regioni e soltanto nell’ultima settimana stiamo cercando di introdurre un correttivo con una valutazione da parte dell’Istituto Superiore di Sanità, che però non ha a disposizione le cartelle cliniche e quindi fa fatica a entrare nel merito. Tutto il meccanismo insomma è estremamente farraginoso. L’ISS, in altre parole, per il decreto ha il potere di investigare ma deve mandare i NAS per avere le cartelle. Non so se mi spiego… Peraltro il carattere maniacale dell’accertamento delle cause di morte presente in altri Paesi europei ha chiare motivazioni di reputazione e di comunicazione».
Ma c’è un’altra ragione di una tale differenza di mortalità fra noi e gli altri e «dipende dal fatto che noi la sovrastimiamo perché al denominatore mettiamo soltanto i casi positivi come definiti dall’organizzazione Mondiale della sanità, mentre se comprendessimo tutti quei soggetti che stimiamo essere positivi la mortalità risulterete molto inferiore. I cinesi, per esempio, che nella seconda fase dell’epidemia (fuori dalla provincia di Hubei, ndr.) hanno cercato di fare test diagnostici a tutti, hanno rinvenuto una letalità che oscilla fra il 2 e il 3 per cento. Un altro elemento della maggiore mortalità italiana dipende dalla nostra demografia, basti dire che l’età media dei pazienti cinesi ospedalizzati è di 46 anni, mentre la nostra è molto più alta. È chiaro che l’età più avanzata è un elemento predisponente a una maggiore mortalità. Infine, ma non per importanza, c’è il fatto che questa mortalità è particolarmente alta in Lombardia, dove ormai il sistema sanitario è veramente sotto stress, per usare un eufemismo. Quando hai terapie intensive particolarmente stressate in termini di quantità e di qualità dell’assistenza fai tra virgolette più morti».
Parlando dei farmaci con cui invece vengono trattati i pazienti ospedalizzati (e non sono pochi ma circa il 50% dei positivi perchè hanno comunque difficoltà respiratorie) Ricciardi afferma che «vengono utilizzati soprattutto nei centri di elevata specializzazione, come lo Spallanzani a Roma, il Sacco a Milano e anche in altre realtà. Tutti quanti comunque cercano di fare una terapia antivirale anche se non specifica».
Le prossime due settimana saranno cruciali per capire l’andamento dell’epidemia ma è probabile che ci troveremo di fronte ad un aumento dei casi. «Le misure di distanziamento sociale hanno bisogno di tempo vista l’alta contagiosità del virus. Questa settimana sarà ancora di aumento, purtroppo prevedo che questi movimenti della popolazione da Nord a Sud e la sottovalutazione del problema nelle altre regioni farà emergere casi in altre parti del Paese. Soprattutto la mia preoccupazione sono Roma e Napoli. Prevedo che l’infezione si espanderà anche negli altri Paesi, come Germania e Francia, che seguiranno l’iter italiano», conclude Ricciardi. «Rimane per me un grosso dubbio per il Regno Unito: i loro scienziati oscillano tra le previsioni catastrofiche di alcuni colleghi dell’Imperial College di Londra (come quelle di Roy Anderson, si veda recente articolo su The Lancet, ndr.) e l’estrema prudenza del Chief Medical Officer, che ritiene le nostre misure esagerate. A mio avviso anche nel Regno unito la situazione sarà intermedia fra questi due scenari. Prevedo che negli Stati Uniti sarà una catastrofe, perché lì il virus sta avanzando incontrastato. Di fatto lì non lo testano neanche, trattandosi di un sistema che non ha grandi risorse di sanità pubblica. Questo potrebbe far sì che fra una settimana-dieci giorni l’Organizzazione Mondiale della Sanità dichiari lo stato pandemico».
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