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Sanità

La pillola della discordia

di Caterina Bonetti
28 Settembre 2016

Esce oggi per l’Espresso un articolo che denuncerebbe la scomparsa, dall’elenco dei farmaci di fascia A (quelli non a carico del paziente) di alcuni medicinali utilizzati come pillola contraccettiva. Il loro “declassamento” in fascia C (parliamo di  Triminulet, Planum, Ginodem, Milvane, Etinilestradiolo e Gestodene Mylan Generics,   Practil, Kipling,  Gestodiol, Antela, Desogestrel Etinilestradiolo Aurobindo,  Estmar, Minulet , Brilleve) renderebbe completamente a carico delle pazienti qualsiasi eventuale utilizzo di pillola anticoncezionale. La situazione, denunciata dall’organizzazione dei medici “No grazie, pago io”, porta alla luce uno dei tanti segreti di Pulcinella del nostro paese.

In merito alla contraccezione le donne sono discriminate. Grazie, lo sapevamo già.

Prima ancora che questa procedura avesse atto infatti per le donne in cerca di una contraccezione sicura si aprivano due differenti strade, segnate, inutile quasi specificarlo, dalla disponibilità economica. Da una parte coloro che potevano scegliere fra le tante possibilità oggi offerte dal mercato (pillole di nuova generazione, mini pillole, anello contraccettivo, cerotto, impianto sottocutaneo…) in base alle proprie esigenze, al proprio quadro clinico e, anche, alle eventuali reazioni “migliori” o “peggiori” del  corpo, dall’altra le donne di reddito basso, che si vedevano costrette a “ripiegare” su farmaci che oggi, chi difende questa scelta dell’Aifa, definisce pesanti da tollerare per l’organismo, poco sicuri, con molti effetti collaterali e, quindi, da ritenersi poco idonei al fine contraccettivo. Bene, vi ringraziamo per l’interesse dimostrato nei confronti della tutela della nostra salute. Viene però da chiedersi perché fin ora la questione non fosse emersa e, soprattutto, perché nel 2016 ci siano donne di “fascia A” e donne di “fascia C”, tanto per stare sul pezzo. Le pillole utilizzate come anticoncezionali e appartenenti alla fascia A erano utilizzate. Inutile negare, dire che non era opportuno per la salute o che non erano “studiate” per quell’utilizzo. Le donne che non potevano permettersi altro le utilizzavano. E adesso? Che alternativa gli viene offerta? Gli anticoncezionali ormonali oggi in commercio variano, per una somministrazione mensile, dai 15 ai 18 euro di spesa. Non poco se si considera che, per ragioni di scelta personale o esigenza clinica, molte donne sono portate ad assumerli continuativamente per anni. Per chi se lo può permettere un’importante voce di spesa a registro, così come quella, aggiungerei, per gli assorbenti (già altrove si era discusso di una possibile riduzione dell’iva per questo bene di primo consumo per ogni donna in età fertile), per chi invece non se lo può permettere?  In un quadro nazionale in cui in molte regioni non sono presenti consultori, dove l’informazione delle giovani (e meno giovani) generazioni in merito alla tutela della salute riproduttiva è affidata alla buona volontà di enti locali e singole campagne d’informazione, dove fare domanda per la prescrizione di un contraccettivo è ancora un problema per i tanti tabù legati al sesso, dove la – buona – legge 194 è a tutti gli effetti inapplicabile in molte aree del paese, dove ci sono farmacisti obiettori (???) in merito ai metodi contraccettivi d’emergenza cosa si può fare per le donne e in particolar modo per quelle donne che non possono permettersi di ricorrere a mezzi privati? La sfortunata campagna del ferility day aveva il merito di porre l’accento sul tema della prevenzione della sterilità (nei mal espressi intenti). Forse allora non tutti sanno che nel caso di alcune patologie o predisposizioni genetiche l’uso della pillola è il solo sistema per cercare di arginare la sterilità in giovane età. E forse non tutti hanno presente che solo attraverso una sessualità consapevole e scelte – rese possibili e accessibili per tutti – in ambito riproduttivo si può aspirare a un miglioramento delle condizioni delle donne in primis e – per i sempre afflitti dal calo della natalità – delle generazioni a venire. Una riflessione sulle discriminazioni economiche e di genere in ambito di salute riproduttiva è urgente. E non basta una campagna. Servono investimenti sulle strutture, difesa e tutela dell’applicazione delle leggi esistenti, sostegno economico per le fasce più deboli. Consultori in ogni provincia, quote limitate di accesso al servizio pubblico per i medici obiettori, esonero totale o parziale del carico economico per la contraccezione per le fasce di reddito deboli, programmi di educazione sessuale nelle scuole e campagne informative serie condotte sul piano nazionale sarebbero un buon inizio. Intanto però (pre)occupiamoci per coloro che, da oggi, non potranno decidere se acquistare o meno la pillola, ma a decidere sulla loro salute riproduttiva sarà il portafoglio.

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