Sanità
La verità sull’astensione del Governo Meloni sul piano pandemico
L’assemblea dei Paesi membri dell’Organizzazione mondiale della Sanità (OMS) ha adottato oggi un “Accordo pandemico”, ovvero un piano globale di prevenzione delle pandemie, la cui implementazione è affidata ai Paesi associati. Nel voto in Commissione di ieri, preliminare alla decisione odierna, 124 Paesi si sono espressi a favore, nessuno contro, mentre 11 Paesi si sono astenuti, e tra questi Polonia, Slovacchia, Iran, Israele, Russia e anche l’Italia, che ha ribadito la centralità della sovranità nazionale nelle decisioni in materia di salute pubblica.
Le reazioni in Italia si sono concentrate sulla polemica politica, senza entrare nel merito dell’Accordo e sulla sua fattibilità: «Scelta gravissima», dice Chiara Braga, capogruppo del Pd alla Camera dei Deputati. «Il nostro esecutivo si schiera nella stessa posizione di Russia, Iran e Israele», rileva Andrea Quartini, deputato del Movimento 5 Stelle. «Il governo deve venire subito in Parlamento a spiegare questa scelta assurda», chiede la senatrice Raffaella Paita, capogruppo al Senato di Italia Viva.
Si tratta di parole al vento che non tengono conto della realtà sanitaria del nostro Paese, dove – anche a volerlo – un vero piano di prevenzione è al momento difficile da realizzare. Eppure si fa finta di niente.
Partiamo intanto dalle posizioni del Governo Meloni, che ha scelto l’astensione per ribadire la sovranità nazionale in materia sanitaria. Anzitutto, la spiegazione fornita non sta in piedi: una clausola dell’Accordo dice espressamente che nessuna disposizione dell’Accordo deve essere interpretata nel senso di conferire ai vertici dell’OMS «l’autorità di dirigere, ordinare, modificare o prescrivere in altro modo la legislazione nazionale (…) o di imporre o imporre in altro modo alle Parti di intraprendere azioni specifiche, come ad esempio vietare o accettare i viaggiatori, imporre mandati di vaccinazione o misure terapeutiche o diagnostiche o attuare blocchi».
I sovranisti italiani possono dunque stare tranquilli. Ma non del tutto. La vera minaccia alla “sovranità nazionale sanitaria”, e quindi alla concreta possibilità di attuare un piano di prevenzione, arriva non dall’alto ma dal basso, e cioè dalle 21 regioni italiane, che presentano evidenti e cogenti disparità di comportamento sanitari. La disparità nell’assicurare in modo uniforme sul territorio italiano i Livelli essenziali di assistenza, che per fortuna non sono diventati Livelli essenziali di prestazione secondo la legge Calderoli ( L.86/24) impedisce che si possa intraprendere un vero percorso di prevenzione quando ancora non siamo idonei nel fornire livelli decenti e uniformi su tutto il territorio di terapia e assistenza.
In seconda battuta, quando si pensa al piano di prevenzione si fa riferimento anche normativo alla recente pandemia Covid dimenticando i rischi di riaccensione di forme endemiche, ossia a distribuzione spalmata epidemiologicamente a bassa incidenza, come tbc, epatite C, Hiv.
Vale la pena di notare che i Paesi astenuti in questa votazione sono proprio quelli che più hanno totalizzato carenze e mortalità superiori agli standard come Russia, Italia e Iran. A conferma dell’incapacità di comprendere il significato della prevenzione vaccinale di forme infettive, anche Covid-non dipendenti, unico strumento di falcidia del virus e della sua circolazione.
In questi Paesi si registrano condizioni epidemiologiche straordinariamente differenti dagli standard che mediamente si dovrebbero osservare. Prendiamo il caso della tubercolosi (Tbc) nelle patrie prigioni. Nel corso del 2012, 30 Paesi fornirono informazioni sull’individuazione e il trattamento dei casi di tubercolosi nelle carceri. Complessivamente, il 7,2% dei nuovi casi di tubercolosi segnalati proveniva dalle carceri. Ma mentre nei paesi UE/SEE la percentuale di casi di tubercolosi nelle carceri rappresentava solo l’1,9% del totale; in quelli extra UE era pari 8,5 per cento. Da tre paesi pervennero segnalazioni di tubercolosi nelle carceri in misura superiore al 10 per cento: Georgia (21,1%), Israele (21,1%) e Russia (11,6%). Il rischio relativo nelle carceri non però associato al livello di incidenza della tubercolosi nel singolo Paese ma alla trasmissibilità di Tbc per inadeguate misure di controllo sia sulla concentrazione dei detenuti, provenienti da gruppi di popolazione a più alto rischi, sia sui singoli immigrati provenienti da paesi ad alta incidenza di tubercolosi.
Tornando all’Italia, nessuna Regione presenta piani di prevenzione accettabili mentre dilaga la penuria assistenziale e terapeutica con 9 milioni che non accedono alle cure, perché nella condizione di cosiddetta “povertà sanitaria” con reddito inferiore ai 12 milioni annui.
Questo avviene in un contesto in cui nessuna regione, neanche quelle più colpite dal pendolarismo sanitario, che reca danni per 3 miliardi annui, lamenta l’eccesso di finanziamenti a strutture private convenzionate che assorbono circa il 20% del Fondo sanitario di circa 136 miliardi.
Ormai non va più di moda parlane, ma l’Istituto Superiore di Sanità ci informa che esistono cluster di pazienti ancora in preda al SARS-Cov-2 . Secondo l’ultima stima, ci sono 871 pazienti ammalati negli ultimi 30 giorn, con 360 guariti e il restante ancora in attesa di guarigione ( 511). Questo dovrebbe farci comprendere la necessità di un network di rilevamento efficace e capillare perché una condizione attualmente endemica non sfoci in una semi-epidemia.
Con questi dati, e senza volontà politica di cambiare il corso delle cose (il che accomuna governo e opposizioni), la Sanità italiana non potrà mai essere vocata alla prevenzione. È forse la consapevolezza di tutto questo, unità alla facile via di fuga del sovranismo sanitario (che però non ha alcuna base nell’Accordo adottato) che ha portato all’astensione del Governo Meloni su un piano pandemico che sarebbe impossibile da realizzare dalle nostre parti?
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