
Sanità
Referendum: l’iceberg dei morti sul lavoro
Nell’immaginario collettivo le morti sul lavoro sono dovute ad infortuni e dunque morti violente ma la realtà scientifica ci dice che essi sono il cubetto di ghiaccio della punta dell’iceberg.
Sul tema dei referendum popolari dell’8-9 giugno referendum popolari dell’8-9 giugno, spicca quello sulla sicurezza del lavoro. Il quesito punta all’abrogazione dell’art. 26, comma 4, secondo periodo del d.lgs. n.81/2008, limitatamente alle parole: “le disposizioni del presente comma non si applicano ai danni conseguenza dei rischi specifici propri dell’attività delle imprese appaltatrici o subappaltatrici.» Il commento, universalmente accettato, è che lo scopo è di eliminare la limitazione della responsabilità che, secondo la normativa oggi in vigore esonera il committente, l’appaltatore e il subappaltatore, dal rispondere, non solo in via diretta (art. 26, 3° comma), ma persino in via solidale (art. 26, 4° comma) del danno patito dalle vittime del lavoro, quando l’infortunio inerisca al “rischio specifico” dell’attività dell’appaltatore o del subappaltatore prescelti dai committenti e subcommittenti per l’esecuzione di un’opera o di un servizio.
Alla luce di quanto in appresso considerato, si dovrà attribuire al quesito referendario una importanza finora sottaciuta perché il riferimento dei media o dei commentatori al solo infortunio minimizza la gravità della questione e, anche in forma comunicativa, tende a dissimulare la realtà delle morti bianche, ben più grave e onerosa di quanto la descrizione giornalistica non faccia presumere.
Dal Trattato Italiano di Medicina d’Ambiente, I Tomo, Cap. 27, [1]appare inequivocabile che le morti sul lavoro non sono solo quelle sottese a incidente, acuto, violento e mortale. La realtà ci consegna un vero e proprio iceberg in cui i mille infortuni in cui periscono gli operai italiani e i tremila europei sono il cubetto di ghiaccio della punta. In Europa muoiono per infortunio 3000 lavoratori/anno ma altri 200.000 perdono la vita per malattie direttamente collegate all’assenza di tutela lavorativa. Costituiscono la categoria delle morti bianche ad orologeria che sono nosograficamente ovvero direttamente causate da attività lavorativa senza la dovuta protezione, generandosi patologie a medio o lungo termine, quantitativamente ed epidemiologicamente più consistenti dei soli infortuni Cosicchè se dovesse essere validato il quesito referendario, con l’abrogazione del comma 4 dell’art 26, solo una modesta quota di responsabili ne verrebbe investita.
La realtà scientifica è scritta in quel capitolo e riassunta nel modo seguente:
“Attraverso i dati dell’OIL (Organizzazione internazionale del lavoro) si può rilevare che, sui duecentocinquanta milioni di infortuni a lavoratori di ogni età che avvengono ogni anno nel mondo, 335 mila sono mortali, 170 mila nel settore agricolo, 55 mila nel settore minerario e 55 mila nelle costruzioni. Inoltre, in tutto il mondo, si assiste al decesso sul lavoro di mille bambini al mese (dodicimila ogni anno). La stessa fonte indica che i 335 mila morti possono rappresentare la punta di un iceberg fino a due milioni, Figura 27.1, se si considerano anche le vittime di malattie professionali a lenta evoluzione, le c.d. “morti bianche ad orologeria”. Ne deriva la necessità di una new philosophy, una visione complessiva del problema non limitata ai decessi per infortuni che costituiscono solo la punta dell’iceberg di un problema più consistente e forse misconosciuto: la morte bianca lenta per malattia professionale. Infatti l’European Agency for Safety and Health at work (2017) segnala in Europa 203.571 decessi per cause lavorative di cui 3.362 per infortuni, a fronte di dati mondiali pari a 2.784.465, di cui 380.500 per infortuni, nel mondo Fig. 27.1. I costi UE sono altissimi: – Le malattie professionali e gli infortuni sul lavoro costano all’UE almeno 476 miliardi di EUR ogni anno. Basti pensare che i soli tumori causati dall’attività lavorativa assorbono la spesa di € 119.5 miliardi. – Nel 2017, si sono verificati 3.342.349 incidenti non mortali che hanno provocato almeno quattro giorni di assenza dal lavoro nei 28 Stati membri dell’UE. Fig. 1.
I dati sopra riferiti danno maggiore vigore alla necessità del voto per l’abrogazione del comma 4, art 26, ne amplificano la portata; ma al contempo aggravano la necessità di riformare ab imis il TU 81/08 in cui non si è potenziata l’argomentazione ora addotta. L’ampiezza delle proporzioni numeriche rende ragione della urgenza con cui il legislatore, o una LIP ( Legge d’Iniziativa Popolare) giacchè il referendum non è propositivo, possano intervenire per sanare e proteggere vite umane le cui perdite sono 200 volte superiori a quelle esplicitate.
Il legislatore sappia dunque, numeri alla mano, che la mortalità sul lavoro a lungo termine per patologie direttamente da esso dipendenti è 200 volte superiore. Numeri dai quali nessuno può più esimersi, una volta denunciati. Quando nell’Agenda politica del lavoro entreranno i dati scientifici e/o epidemiologici?
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[1] Ferrara A. Morti bianche e Comunità a rischio. Cap. 27, pagg.469-485. Trattato Italiano di Medicina d’Ambiente, Tomo I, Ed. SEU-Roma, 2021
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