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Sanità

Speranza e la peste: il sonno della ragione e l’alba della paura

di Biagio Riccio
2 Febbraio 2020

Forse – e senza forse – il Ministro Speranza nell’affermare che il coronavirus sia da gestire come la peste, non si rende conto di quanto possa essere deleteria questa affermazione.
Si fomenta un sonno della ragione, si crea un panico ed una dolorosa paura.
Si diffonde disperazione e si va a caccia di untori senza che abbiano fatto alcunché.
Per esempio, è dell’ultima ora la notizia secondo cui è vietato in un bar di Roma l’ingresso ai cinesi.
Vederli su un treno o in un aereo si ha terrore, inquietudine forsennata di un probabile contagio.
Si appalesano coloro che hanno paura di “tutti i cinesi”, per i quali il virus sarebbe contenuto nel Dna di ognuno di loro, per non sbagliarsi di tutte le persone con tratti orientali. Sono stati, quindi, vigliaccamente indicati con sospetto innocenti bambini nati in Italia, per i loro occhi a mandorla. Accorati esercenti cinesi hanno, di rimando sui social, denunciato la diserzione di massa dai loro ristoranti.
Si fa incetta di “mascherine”che oramai non si trovano neanche alla borsa nera.

Qualcuno ha insinuato che siano state fabbricate proprio a Wuhan e, quindi, indossandole si rischiava di respirare coronavius concentrato.
La peste è la peggiore delle malattie, perché porta con se separazione, esilio, bestialità.
Si è parlato in letteratura di una “metafisica della peste”, per illustrare proprio una categoria metastorica e filosofica atta a farci comprendere, simbolicamente, il fenomeno della devastazione e dell’annichilimento umano.
Parole mirabili sono state scritte, in proposito,  da Albert Camus in “La Peste”.
Ebbene la peste è in primo luogo separazione, esilio, allontanamento, rimozione: “chi ne è colpito non riesce più a risalire la china, non pensa mai al giorno della sua liberazione dalla malattia, tiene sempre gli occhi bassi, è incagliato a mezza via tra gli abissi e le cime, la speranza con il futuro ricongiungimento con la vita è lontana, si vive nell’abbandono ed i giorni passano senza direzione. Ci si sente come un’ombra errante, spenta in sterili ricordi, radicata nella terra del dolore, con una memoria desertificata: l’unico rimedio è la fantasia: far correre i treni e colmare le ore che passano inesorabili e nell’assoluta inanità, solo con i ripetuti rintocchi di un campanello, sebbene ostinatamente silenzioso” (passim: La Peste Albert Camus Bompiani Editore, ristampa 2014, pagine da 52 a 58).
La peste è quella allegoricamente descritta da Josè Saramago in “Cecità”.
Egli la definisce “male bianco”:immagina un contagio attraverso la cecità, tutti diventeranno ciechi; colpisce chiunque con il semplice contatto fisico.
L’umanità diventa feroce, incapace di vedere e distinguere le cose razionalmente; si determina, con il propagarsi della immaginaria malattia, la guerra di tutti contro tutti, sino a quando l’uomo diventa lupo per l’altro, homo homini lupus: “non siamo diventati ciechi, secondo me siamo ciechi che seppur potessero vedere,non vedono”.
La peste abbrutisce, annichilisce.

Si perde tutto anche la pelle. Lo ha scritto ne “La Pelle” Curzio Malaparte:” perdono tutto, sono pronti a vendere qualsiasi cosa pur di sopravvivere – i propri cari, la propria dignità, la propria pelle”.
La pelle è, a conti fatti, l’ultima fragile frontiera fra essere e nulla. È la metafora di quello che resta al fondo delle catastrofi, è “l’ultimo atto nella vicissitudine dei corpi”.
Ma è Manzoni a descrivere il “delirio”.Perché la peste portò i monatti,quelli che raccoglievano i malati ed i cadaveri. Ma erano anche quelli che dovevano arrestare il contagio isolando gli appestati per portarli al lazzaretto.
“I monatti erano addetti ai servizi piú penosi e pericolosi della pestilenza: levar dalle case, dalle strade, dal lazzeretto, i cadaveri; condurli sui carri alle fosse, e sotterrarli; portare o guidare al lazzeretto gl’infermi, e governarli; bruciare, purgare la roba infetta e sospetta…Entravano da padroni, da nemici nelle case, e, senza parlar delle ruberie, e come trattavano gl’infelici ridotti dalla peste a passar per tali mani, le mettevano, quelle mani infette e scellerate, sui sani, figliuoli, parenti, mogli, mariti, minacciando di strascinarli al lazzeretto, se non si riscattavano, o non venivano riscattati con danari. Altre volte, mettevano a prezzo i loro servizi, ricusando di portar via i cadaveri già putrefatti, a meno di tanti scudi”.
Con la paura del contagio della peste procede parallelamente quello della follia che Manzoni definisce “la storia di un celebre delirio”.Ed i tribunali avviano la caccia alle streghe ed i presunti untori già sono trattati come rei di un delitto commesso senza motivazione alcuna.
Parli con cognizione di causa il Ministro Speranza: abbia l’equilibrio necessario; la moltitudine, di facile influenza attraverso i social, può autoalimentarsi con il terrore. Ed è l’alba della paura.

coronarvirus
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