Il futuro della scuola tra educazione e catastrofe

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24 Aprile 2018

L’argomento “educazione delle nuove generazioni” nella scuola è uno dei problemi da trattare con urgenza.

L’attenzione del sistema scolastico si è ormai spostato solo sui contenuti, l’obbiettivo principale è quello di formare individui che dovrebbero essere in grado di creare una futura società matura e consapevole.

Negli anni sessanta si pensava che sviluppando un metodo didattico efficace, vi era la possibilità di  introdurre nelle menti delle nuove generazioni i principi dell’obbedienza, della subordinazione, della disciplina.

La questione trovò specifica attenzione negli Usa dove furono elaborati concetti a dir poco sconcertanti, formulando viva preoccupazione per il fallimento del sistema scolastico “nel ruolo cardine dell’indottrinamento dei giovani”.

La inadeguatezza formativa sarebbe stata la causa di inaccettabili “eccessi di democrazia” , chi si occupò di analizzare il tutto (Report to the Trilateral Commission, N.Y. 1975)  concluse raccomandando formalmente un migliore e più approfondito controllo del sistema scolastico, così da evitare esperimenti pedagogici pericolosi perché possono “stimolare libertà ed indipendenza nei giovani” .

Queste tesi usufruendo del consenso del mondo politico, trovarono immediata applicazione in una serie di interventi sistemici: venne così introdotto un generale approccio all’istruzione basato sul profitto, ed ecco l’aziendalizzazione delle università (che penalizza i meno abbienti), l’aumento delle tasse scolastiche, l’introduzione di strutture manageriali, nonché il controllo degli insegnanti, non più liberi nel loro ruolo ma ingabbiati da un sistema burocratico che ne limita sempre più l’intervento autonoo sullo svolgimento dei loro programmi.

Oggi è indubbio che per accedere ad un percorso universitario gli studenti e le loro famiglie, sono costretti ad indebitarsi pesantemente. Anche questa,  è una tecnica di controllo e indottrinamento. Una finalità che è perseguita anche con l’adozione dei test, che obbligano ad un approccio esclusivamente mnemonico.

Ma quale potrebbe essere un’idea di scuola più o meno formativa dell’individuo.

Innanzitutto, occorre sia rispettato un principio di base: l’istruzione deve essere fornita a tutti e non solo a qualcuno.

La Scuola deve poi essere intesa a formare delle persone e non degli strumenti per l’apparato industriale e produttivo.

Stimolare l’indipendenza, la creatività e la libertà di pensiero, cercando di conferire all’individuo anche uno specifico senso di responsabilità, che è la base per affrontare correttamente tutti i problemi della vita.

L’istruzione non è trasferimento di nozioni, ma sviluppo della personalità, perciò deve essere in grado di fornire al discente specifiche qualità di creatività e indipendenza che gli consentano di esaminare il contesto nel quale vive in totale autonomia.

La scuola deve insegnare ai giovani ad imparare ad apprendere, qualunque percorso di studi non deve mai essere un elenco di argomenti, ma un percorso di scoperte.

Istruire significa quindi cercare di attivare delle qualità di autonoma analisi che gli alunni potranno poi utilizzare in qualunque occasione, incentivando la volontà di indagare, di scoprire, di penetrare le radici dei concetti e delle cose, così come indicava lo stesso Socrate. Tra gli scopi della vita vi è quindi la conoscenza, che diventa tale solo se frutto di elaborazione personale interiore.

Mi colpisce una riflessine del Dalai Lama:

–          non bisogna “insegnare a dire si o no, ma attrezzare la mente a scegliere”.

Anche nella struttura familiare bisognerebbe non spiegare ai piccoli come è il mondo, ma insegnare loro come scoprirlo, cercando principalmente di suscitare la curiosità e domande alle quali  le giovani menti stesse trovino le risposte.

Il bambino lodato e viziato, è privato della motivazione nel  migliorare o di dimostrare capacità, è già gratificato e accettato. Invece i bambini lasciati più soli, non tanto accantonati e resi infelici, ma trattati come persone già autonome, vengono portati alla riflessione.

Per citare un grande educatore,  Don Lorenzo Milani: “Bisogna avere il coraggio di dire ai giovani che l’obbedienza non è una virtù, ma la più subdola e facile delle tentazioni. Che non credano di farsene scudo, né davanti agli Uomini, né davanti a Dio. Occorre che ognuno si senta responsabile di tutto”.

La Scuola è stata trasformata in mezzo per modellare i giovani, da palestra di sviluppo della persona e stimolo delle potenzialità, a fabbrica di prodotti fatti per soddisfare le richieste dei poteri di parte.

Ai presidi vengono attribuite poteri di scelta e selezione dei docenti, che poi si sottoporranno anche a valutazione di “merito”. La legge arriva addirittura a predisporre delle indicazioni che impediscono eventuali deroghe alle linee stabilite.

La costituzione di individui critici, autonomi, è determinata dalla forza e dall’efficacia con cui la scuola riesce a resistere alle forze operate dai mass media, dal mercato e dall’informazione occulta e fuorviante che spingono per l’affermazione di un pensiero unico, in cui l’economia domina sulla politica, all’interno di un sistema di potere che vede un numero sempre più ampio di cittadini ridotti a consumatori passivi, un modello sociale in cui il pensiero critico e la cultura personale vogliono essere abbattuti.

Questo è tanto più vero oggi, nell’epoca della società “in-Rete” (un po’ anche rete del disinganno di Queirolo), in cui la straordinaria efficacia pervasiva dei mezzi tecnologici consente al potere di impedire la comprensione da parte dei cittadini non più fornendo loro poche notizie, ma troppe, ponendoli nella condizione di non vedere la realtà.

Una ricchezza informativa che paradossalmente rende poveri nella conoscenza, che trascina alla degenerazione quello strumento fondamentale chiamato scuola.

La scuola dovrebbe essere la stella dei naviganti nel mare delle politiche didattiche che rischiano di andare alla deriva. Prima il centrodestra aveva con lo slogan delle tre I (impresa, inglese, internet). Dalla  ministra Gelmini in poi, si è rinunciato a qualsiasi elaborazione pedagogica, sostituita da una controriforma tesa a smantellare le conquiste della scuola democratica e a imporre gli idoli del neoliberismo: competizione, meritocrazia, efficientismo.

La formazione scolastica deve essere pensata e realizzata in funzione del sistema economico: il suo compito è quello di formare produttori competenti, a vantaggio della competitività delle imprese. Ridurre a ciò il compito formativo rispetto a quello dello sviluppo umano, impedisce l’espansione delle libertà personali. La scuola deve invece ormai tornare ad un’idea dello sviluppo umano preminente e costituire la cornice entro la quale assimilare gli elementi del sapere all’interno dei rapporti sociali. Si tratta di formare innanzitutto il cittadino, un’esigenza oggettiva, che si rende oggi necessaria per affrontare i notevoli e continui cambiamenti, creare una persona flessibile ed anche rispettosa di uno dei fattori necessari, l’ecologia.

I processi d’astrazione cognitiva sempre più richiesti al lavoratore, nonché tra le continue e imprevedibili trasformazioni dei modi di produzione e la flessibilità mentale richiesta dall’apprendimento continuo, sono le doti che il mondo del lavoro cerca. Ma anche la persona, che deve partecipare alla creazione della società in cui vive, in modo democratico ed è capace di cogliere le questioni nella loro totalità. Per coltivare una simile forma d’intelligenza la scuola va liberata da compiti direttamente professionalizzanti, rafforzando la formazione culturale generale, la coltivazione dell’abito della ricerca e la capacità di pensiero critico.

La scuola, insomma, deve formare persone capaci di pensare con la propria testa, e che abbiano il coraggio di usarla, sia nel lavoro che nella politica.

TAG: scuola
CAT: Scienze sociali

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