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Scuola

Ascoltare gli studenti sarebbe indice di maturità

di Titti Ferrante
21 Febbraio 2022

“La perfezione è terribile, non può avere figli.
Fredda come respiro di neve, occlude il grembo”

Gli studenti si ribellano. Non considerano giusta la decisione del ministro dell’istruzione Bianchi di reintrodurre la prova scritta. Adducono le loro motivazioni, si vorrebbe secondo loro, ritornare ad una normalità negando che da tre anni nulla di ciò che ci ha riguardato è normale. Abbiamo vissuto situazioni emergenziali a cui la scuola si è dovuta adeguare, e se quest’anno si è ripreso quasi normalmente la frequenza in presenza, non sono stati rari i casi di studenti contagiati con conseguente attivazione di una didattica mista. La scuola insomma, ha provato a resistere al diffondersi della pandemia che è meno pericolosa vista la vaccinazione di massa su larga scala, ma che ha attaccato, molto più che negli anni passati, molti giovani.
I giovani, quelli che spesso sono accusati di essere apatici, di essere poco combattivi, hanno fatto sentire la loro voce, ma la loro voce viene soffocata perché non ascoltata.
L’esame di maturità è uno di quei rituali che servono a dimostrare la serietà della scuola, è, secondo molti, uno dei primi esami, assieme alla licenza media, che servono per preparare i giovani alla serie di esami a cui la vita li sottoporrà. A quelli universitari nel caso vogliano proseguire il loro percorso scolastico, al mondo del lavoro qualora intendono concluderlo col diploma. È quasi una linea di confine che segna il passaggio nel mondo adulto, con tutto il carico di responsabilità e partecipazione attiva che questo comporta. Nessuna proroga o possibilità di demandare impegni e compiti è più ammissibile, essere adulti significa cavarsela da soli, essere in grado di far fronte ad aspettative e giudizi.
L’esame di maturità, a mio avviso, ha un valore più simbolico che pratico. Conosciamo i nostri alunni da cinque anni, nel migliore dei casi, a volte tre. Lo abbiamo valutato durante tutto il suo percorso scolastico con compiti scritti ed interrogazioni orali, gli abbiamo attribuito un voto alla fine di ogni quadrimestre, abbiamo valutato, col voto di condotta, la sua puntualità nella frequenza scolastica, la sua partecipazione alla vita della classe. Conosciamo le sue potenzialità, i suoi punti di forza e quelli di debolezza, conosciamo il contesto da cui proviene, episodi salienti della vita familiare. Giunti al quinto anno, insomma, abbiamo acquisito e verbalizzato una grande quantità di informazioni sull’alunno. A cosa serve riproporre un rituale in cui i migliori dovranno per l’ennesima volta dimostrare quanto già hanno dimostrato durante tutto l’iter scolastico e i peggiori dovremmo mortificarli dinanzi l’intera commissione decretando la loro svogliatezza, il non essere stato in grado di seguire un programma, la loro incapacità scolastica? C’è una certificazione che assolve questo scopo. L’esame di maturità non certifica nulla, anche chi non ha mai partecipato, non è mai stato attento, avrà fatto male durante le interrogazioni potrà presentarsi con una tesina su cui si è preparato. Sta al buon cuore del professore non metterlo alla berlina ponendo domande che vanno al di là di quella e non umiliarlo. Il voto, comunque, è solitamente dato da un excursus scolastico che, per fortuna, non riguarda quella discussione di cinquanta minuti.
Ma il ministro Bianchi non ascolta la voce dei giovani che conoscono la realtà scolastica meglio di lui. La politica non ascolta, non è seduta dietro un banco ore intere, e non procede neppure per sentito dire. Procede come più le sembra opportuno.
Ecco perché le persone ragionevoli sono fortemente tentate dal disimpegno politico, perché i governanti sembrano più impegnati a mortificare la virtù dell’essere in rapporto con la verità e i governati si sforzano di dogmatizzare opinioni irragionevoli, irreali e perciò intrinsecamente violente.
Ciò che induce le persone ragionevoli, gli intellettuali, i filosofi, a non coltivare semplicemente il proprio orticello di verità, a non limitarsi a governare solo se stesso con franchezza e senso di realtà, è l’ aver scorto nella caverna platonica la polis. Le persone ragionevoli hanno compreso che non ci è dato un modo di stare al mondo che non sia organizzato politicamente.

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