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Scuola

La DaD e gli aguzzini dell’apprendimento

di Antonio Vigilante
22 Novembre 2020

All’inizio non volevo crederci. Un docente, pensavo, non giungerà mai ad umiliare uno studente fino a questo punto. Mi sembrava che fosse una leggenda metropolitana o qualcosa del genere. Poi hanno cominciato a parlarmene persone a me vicine. E con riferimenti precisi: in quella tale scuola, quel tale docente. Che interroga a distanza, e per essere certo che lo studente non legga da qualche bigliettino sistemato sul monitor, lo interroga bendato. So che per gli studenti l’interrogazione è sempre motivo di un’ansia che a volte li blocca, ma solo sforzandomi posso immaginare come possa sentirsi uno studente bendato davanti al monitor del suo computer: come se si trattasse, più che di una verifica dell’apprendimento – e l’apprendimento è una cosa che mi ostino ad ossociare alla gioia – di un interrogatorio dei servizi segreti.
Ci sono varianti più creative, ma non meno umilianti. C’è il docente che chiede di mostrarsi in webcam mentre si posiziona il quaderno della disciplina a terra e poi di fare l’interrogazione con gli occhi al soffitto – la benda evidentemente pareva brutale, mentre gli occhi al cielo rientrano in una più accettabile iconografia religiosa – e c’è il Consiglio di classe che medita di chiedere agli studenti di piazzare una seconda webcam alle loro spalle, in modo da avere il controllo completo (una cosa, mi dicono, che fanno anche certe università).
Il controllo completo. E’ quello che i docenti hanno, o cercano di avere, in classe. E’ questa l’istituzione che abbiamo ricevuto dal passato. Una istituzione che ha molte affinità con il carcere, il manicomio, il convento. Un’istituzione disciplinare centrata sul controllo. Sono cambiate, nel frattempo, le concezioni pedagogiche. Si è scoperto l’ovvio: che l’apprendimento ha a che fare con l’interesse, con l’attività, con il piacere. Ma sono scoperte che sono finite sullo sfondo, quelle cose che studi all’università e poi dimentichi quando cominci a insegnare. In primo piano è rimasto l’impanto disciplinare, ortopedico, panottico della scuola. Osservare, sorvegliare, modellare.
La Didattica a Distanza rischia di mettere in crisi questo sistema, e questo può essere il bene che può venire da ciò che con ogni evidenza è un male. Perché l’insegnamento richiede una relazione viva, e dietro un monitor è davvero difficile. E tuttavia la scomparsa di quel setting scolastico che abbiamo ricevuto da una tradizione violenta e che non abbiamo mai avuto il coraggio di abbandonare apre qualche nuova possibilità. A scuola, per dire, è normale che uno studente chieda il permesso per andare in bagno. Si vorrebbe fare educazione civica, ma nelle scuole italiane non si riesce ad ottenere nemmeno – e nemmeno nei Licei – questa cosa minima: che gli studenti abbiano la libertà e la responsabilità di gestire da sé le andate in bagno. Anche ragazzi maggiorenni devono sottoporsi alla richiesta umiliante; e i docenti si riducono a gestire il traffico verso il gabinetto. Ma quando la richiesta viene da uno studente che è dietro un monitor, quando, cioè, uno studente ti chiede il permesso di andare in bagno a casa sua, il carattere surreale della richiesta non sfugge neppure al più ottuso sostenitore del conservatorismo didattico.
Valutare è il momento più delicato dell’insegnamento. I docenti hanno, evidentemente, la convinzione che questa cosa così delicata si faccia ottimamente, in classe. E che sia invece difficile a distanza: di qui le follie di cui s’è detto. Io questa certezza non l’ho mai avuta. Le interrogazioni mi lasciano da sempre l’amaro in bocca. Sono consapevole della estrema difficoltà di distinguere, in questo modo, l’apprendimento reale dalla simulazione di apprendimento. Uno studente può parlare per un quarto d’ora, a raffica, e tuttavia non aver imparato nulla. Anzi: più parla a raffica, più è probabile che non abbia imparato nulla.
Sto correggendo ora il compito di psicologia che ho dato in prima. Abbiamo studiato la percezione. Ho chiesto loro di realizzare una videolezione sull’argomento. I primi lavori che ho visto mi sembrano bellissimi. E quando ho chiesto loro se hanno incontrato difficoltà, diversi mi hanno risposto che non è stato facile, ma si sono divertiti. In terza, dove insegno filosofia, ho chiesto di scrivere dei dialoghi filosofici (tra Gorgia e Parmenide e tra Ippia e Trasimaco) e di riflettere sul relativismo di Protagora. Anche in questo caso ho letto cose molto creative, tra cui un dialogo a suon di rap. In un’altra terza stiamo studiando l’antropologia della parentela. Quando sarà il momento della verifica, chiederò di intervistare degli anziani a proposito del loro matrimonio.
Valutare a distanza si può, se si abbandonano le modalità valutative usate in presenza. E oserei dire che si valuta anche meglio: perché vengono in primo piano capacità e competenze – prima fra tutte la creatività – che la didattica in presenza normalmente trascura.
Una cosa, intanto, dev’essere chiara. Se un docente non è in grado di adattare la valutazione alla didattica a distanza, è un problema suo. Non ha il diritto di scaricare la sua incompetenza pedagogica e didattica sugli studenti. Bendare uno studente o chiedergli di guardare il soffitto vuol dire umiliarlo e mancargli di rispetto; e, a ben vedere, significa anche umiliare sé stessi, ridursi da educatori a miserabili aguzzini dell’apprendimento.

 

Nell’immagine: fotogramma da Another Brick in the Wall dei Pink Floyd.

didattica a distanza scuola
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