Quella distanza che rende la scuola più vicina

24 Marzo 2020

I problemi, le difficoltà, i rischi della chiusura – non si sa fino a quando – della scuola sono evidenti: primo fra tutti la possibilità concreta che chi è già indietro resti ancora più indietro, a causa del divario culturale, cui si aggiunge ora, spesso, il divario digitale. Un piccolo studente che abbia difficoltà legate alla motivazione, con alle spalle una famiglia che non lo supporta, rischia di perdere anche l’incoraggiamento e il sostegno della comunità scolastica (quando c’è: cosa che non è purtroppo scontata). E può essere che la mancanza di computer o di una stabile connessione alla rete Internet finisca per aggravare il quadro.
Vorrei però ragionare anche sulle opportunità di questa fase così difficile. Procederò per punti.
1. Nuove modalità relazionali. Sono fortemente convinto che il principale problema della scuola italiana vada individuato nella relazione tra docenti e studenti. La scuola nasce come istituzione autoritaria, asimmetrica, disciplinare e tendenzialmente totalizzante. E’ una istituzione di potere, che promette di creare delle soggettività solo dopo un lungo assoggettamento, per dirla alla Foucault. Altrove i sistemi scolastici sono riusciti a fare i conti con questo passato autoritario ed a staccarsi da una modalità relazionale che ha poco a che fare con l’apprendimento. L’Italia no. Benché nella percezione di molti la causa della crisi attuale della scuola  vada ricercata in un lassismo che si fa risalire all’influenza nefasta del Sessantotto, in realtà la scuola persiste nel suo delirio unidirezionale. Il docente fa lezione dalla cattedra, gli studenti sono nei loro banchi in fila, il sapere si trasmette dall’uno agli altri.
Ora, l’irruzione della distanza fa saltare il gioco. Quei docenti che persistono nel guardare le classi dall’alto della pedana sotto la cattedra (sì: in Italia persistono le pedane sotto le cattedre) dovranno adesso accontentarsi di mettere le pedane sotto le scrivanie. O sotto la webcam, se preferiscono. Il docente collegato in videoconferenza con la sua classe diventa, che lo voglia o no, quello che dovrebbe essere: una persona al servizio dei suoi studenti, pagata dallo Stato per favorire i loro apprendimenti. Tutto l’apparato di controllo, tutto il setting che sostiene e giustifica il suo potere, è venuto a crollare. Nessuno chiederà il permesso per andare in bagno. Lo studente è a casa sua, il docente entra nella sua cameretta, nel salotto, nella cucina a volte. E dovrà farlo necessariamente in punta di piedi. Paradossi di questo tempo sospeso: la didattica a distanza annulla la distanza.
2. Riflessione sulla valutazione. La domanda più pressante, in questi giorni, è: come valutare? Il sottinteso è: come essere certi che non copino? C’è dietro questa domanda la paura di perdere anche l’ultimo strumento di potere, il voto. Che dovrebbe solo servire ad aiutare lo studente a monitorare il suo percorso di apprendimento, ma in un sistema autoritario diventa uno strumento di potere e di manipolazione per gli uni, il fine reale del lavoro per gli altri. A meno che non si voglia interrogare lo studente in videoconferenza avendo cura che sia bendato, l’unico modo per valutare in questo periodo è concentrarsi sulle competenze. Non chiedere allo studente di ripetere quello che c’è sul libro, o che il docente ha detto a lezione, ma proporre delle attività dalle quali emerga la rielaborazione personale, la capacità di applicare le conoscenze, la creatività. Inutile fare la classica interrogazione sul pensiero di Nietzsche; chiedere piuttosto di scrivere soggetto e un pezzo di sceneggiatura di un film nicciano (che si leghi cioè, anche in modo critico, a qualcuno dei temi di fondo del suo pensiero). Ma concentrarsi sulla competenza è quello che bisognerebbe fare sempre, a scuola, per evitare il vuoto nozionismo, la penosa simulazione del sapere.
3. I gruppi. Un lavoro come quest’ultimo potrebbe essere troppo difficile per il singolo studente. Meglio proporlo come lavoro di gruppo. Ed è questa, forse, la principale opportunità di questo periodo. Il lavoro di gruppo a scuola – nella scuola italiana – è da sempre marginale. Lo è anche per l’ossessione docimologica: come valutarlo? come impedire che il lavativo di turno si avvantaggi del lavoro degli altri? Gli strumenti che utilizziamo in questi giorni sono nati spesso per favorire il lavoro nelle aziende. E’ il caso di Teams, strumento centrale di Microsoft Office 365 Education A1, tra le piattaforme raccomandate dal Miur. Penso tutto il male possibile di questa raccomandazione di servizi proprietari, quando sono disponibili alternative open source, e mi chiedo anche perché il Ministero non abbia approntato mai una sua piattaforma per l’apprendimento aperta, gratuita, con alle spalle una solida visione pedagogica. Cerco però di vedere il buono anche nelle cose che non mi piacciono, soprattutto quando sono cose che devo usare per lavoro. Teams funziona bene, come dice il suo nome, per il lavoro di gruppo. Usare strumenti come questo per continuare la didattica unidirezionale è sciocco. E’ bene che finalmente i nostri studenti imparino a coordinarsi, condividere le informazioni, dividersi i compiti, costruire l’intelligenza collettiva.
4. La scuola e l’altrove. La scuola pensa sé stessa come una cittadella del sapere. Un mondo chiuso nel quale c’è il sapere vero, autentico, certificato (con qualche eccezione: i voti scolastici in inglese o francese non certificano nulla di per sé; “conoscenza scolastica” nel curriculum in questo caso non fa fare una grande figura), autorevole. Fuori è tutto dilettantismo. La chiusura della scuola come luogo fisico abbatte questa barriera mentale. Il docente che fa lezione in videoconferenza ha come strumento il suo computer. Potrà usare, sul suo computer, il libro di testo. Ma potrà anche esplorare la rete insieme ai suoi studenti. La classe, di fatto, diventa questo: un ambiente di apprendimento connesso alla rete, e dunque parte di un più grande sistema informativo, che può essere un pericolo (ah, la privacy), ma anche una straordinaria risorsa.
La scuola a distanza, dispersa apparentemente nelle singole abitazioni dei docenti e degli studenti, può tentare nuove relazioni, nuove connessioni, nuove modalità di ricerca. Essere, forse, più vicina che mai.

antoniovigilante@gmail.com

@spectatornovus

TAG: coronavirus, scuola
CAT: scuola

8 Commenti

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  1. alesparis69 4 anni fa

    Molto astratto, mi spiace. Discorso da chi non la pratica ma la teorizza la scuola. Almeno questo ad una impressione superficiale data dalla lettura del suo testo. Lavorare per gruppi è quasi impossible in videolezione, semmai si possono tentare esperimenti di flipper classroom. Ma anche queste metodiche, belle in teoria, si rivelano impraticabili in una pratica dove il vissuto emotivo è impastato di ansia , di una molteplicità di fattori concomitanti che nell’emergenzialità attuale precipitano a comporre un reticolo di sovraccarico cognitivo psicologico ed emozionale difficilmente gestibile. Il bias da retorica pedagogica entra in gioco a teorizzare quello che fallisce nella pratica sul campo. Il lavoro che molti insegnanti, me tra questi stanno facendo, è inaudito e mai praticato, perché emergenziale. Ciò non toglie che da questa esperienza si potrà imparare molto, innanzitutto a dismettere i modelli di controllo teorico da parte del supposto sapere pedagogico. Una mia collega mi scrive una considerazione che condivido, e con la quale la saluto. «In questi giorni i ragazzi hanno una paura tremenda, sono turbati, smarriti, in ansia e agitazione, si sentono soli, hanno perso i contatti diretti con il loro gruppo di pari e la loro routine è stata completamente stravolta. Quello di cui hanno bisogno è supporto educativo ed emotivo, ossia di essere sostenuti, rassicurati e protetti, e non ulteriormente angosciati e stressati dalla didattica a distanza, dal carico di lavoro che comporta, dalla paura di rimanere indietro, di non riuscire a seguire tutto quello che viene detto dai professori, o ancora che il computer, il tablet o il cellulare non funzionino, che la connessione non prenda o salti, che il compito o la prestazione richiesta non arrivi in tempo. La didattica online può essere utile e valida ma non sostituisce la relazione educativa e il contatto diretto che avveniva faccia a faccia e non può essere una forzatura né a livello didattico né educativo in un momento in cui i bisogni di sicurezza di tutti sono stati turbati.»

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  2. alesparis69 4 anni fa

    Ultima cosa: la scuola più vicina è talmente più vicina che si perde anche il senso di sano distacco con la vita quotidiana. Per quel che mi concerne sono convocato dai ragazzi a qualunque ora del giorno, tramite mail, messaggi, etc, per chiarire un tema , un concetto, una richiesta, o anche solo per rassicurare, placare, confortare. Una scuola “totale”, molto più vicina a una scuola d’emergenza che non a una calma e placida scuola smart. come ipotizzata da Lei.

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  3. naciketas 4 anni fa

    Rispondo solo per dire che insegno da più di vent’anni. E che il compito su Nietzsche – quel compito – lo assegno domani.

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  4. teresa-derrico 4 anni fa

    “Cerco però di vedere il buono anche nelle cose che non mi piacciono, soprattutto quando sono cose che devo usare per lavoro”: invertirei il ragionamento. Il buono non ce lo vedo, ma per serietà e senso del dovere uso quello che non mi piace e non condivido.

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  5. naciketas 4 anni fa

    Può non essere troppo diverso. Io trovo aberrante il ricorso a strumenti di Microsoft e di Google. Ma sono costretto a lavorare con questi strumenti, e boicottarli significa boicottare il mio lavoro.

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  6. teresa-derrico 4 anni fa

    Boicottare, in questo momento, certamente no…è l’unico modo per restare in contatto con i ragazzi. Ma poi, dopo…
    Non possiamo lasciare che la scuola dipenda da colossi tecno_commerciali…

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  7. naciketas 4 anni fa

    Senz’altro. Ma bisogna anche che i docenti capiscano che l’informatica è una cosa che li riguarda, non un capriccio ministeriale. Se è stato possibile, complice l’emergenza, affidarsi a Google e Microsoft, è anche a causa sella scarsa competenza informatica dei docenti.

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  8. naciketas 4 anni fa

    Senz’altro. Ma bisogna anche che i docenti capiscano che l’informatica è una cosa che li riguarda, non un capriccio ministeriale. Se è stato possibile, complice l’emergenza, affidarsi a Google e Microsoft, è anche a causa sella scarsa competenza informatica dei docenti.

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