Togliamo agli studenti il cellulare ma diamogli un computer

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20 Dicembre 2022

UNA SCUOLA SUPERIORE UNICA PER TUTTI I RAGAZZI ITALIANI   Dieci proposte per una riforma democratica dell’istruzione superiore italiana

TRE

È di oggi la nuova sortita del Ministro Valditara che proibisce ancora (con l’ennesima circolare) l’uso dei cellulari in classe, se non con finalità “didattiche, inclusive e formative”, la cui vera natura in realtà non specifica, restando un po’ sul vago. Ma perdonando al Ministro quella vaghezza che lo mette al riparo dalle possibili accuse di essere tout court “contro la tecnologia”, non si può che dargli ragione. Chi di noi si augurerebbe che il proprio figlio passi le ore di lezione giocando di nascosto a Clash of Clans sul cellulare, mentre il professore si danna per fargli capire il teorema di Pitagora? La risposta alla domanda retorica è: nessuno.

L’appello del Ministro sembra quindi più una boutade propagandistica  – alla quale non si può sinceramente opporsi – che non invece uno sforzo di pensiero originale su come riformare la scuola italiana, che, secondo le classifiche dell’OCSE, stava mostrando dei decisi segni di cedimento già ben prima del crollo seguito al Covid (1).

Quello che manca a questo governo – che aveva fatto grandi promesse elettorali di occuparsi seriamente della scuola – è una vera riflessione su come si apprendono le competenze digitali di cui dovrebbero essere dotati i nostri ragazzi, anche nel caso in cui vogliano lavorare in fabbrica, magari non solo come “carrellisti col patentino”, molto ricercati, secondo il Ministro Valditara, ma anche come operai specializzati.  Oggi, per dialogare con una macchina moderna (in una fabbrica manifatturiera) bisogna saperne utilizzare i quadri di comando – di fatto dei veri e propri computer – ben più complessi di un tablet o uno smartphone.

Non si apprende infatti nessuna competenza digitale usando solo i tablet e gli smartphone, perché i comandi che si impartiscono ai dispositivi touch sono per loro natura semplificati, concepiti per rispondere a una pressione su un’area dello schermo. Un quindicenne di oggi che si limita a giocare con lo smartphone e postare foto sui social network non è un nativo digitale, ma al contrario un passivo digitale, pronto a rimanere rapidamente intrappolato in meccanismi costruiti in modo che i suoi livelli di dopamina – un neurotrasmettitore rilasciato dal cervello quando proviamo piacere – aumentino dopo che il tocco sullo schermo ha prodotto un risultato piacevole, come per esempio il Like ricevuto su una foto.

Le vere competenze digitali si apprendono utilizzando un computer, più difficile da usare, e che richiede anni di training perchè lo studente possa per davvero impartire comandi complessi alle macchine moderne, che spesso necessitano anche di abilità di programmazione per poter essere manovrate. Un governo che puntasse a dotare i nostri studenti di VERE competenze digitali, dovrebbe quindi promuovere una campagna centralizzata di acquisto dei computer da offrire gratuitamente a tutti gli studenti italiani, dalle elementari fino alle università, nonché a tutti i loro insegnanti.

Anche in questo caso, provo a fare dei conti semplicissimi.

Questi sono i numeri:

1.      Studenti italiani dalla primaria fino alle superiori: 7.000.600.

2.      Docenti della scuola pubblica: 770.000.

3.      Studenti universitari statali: 1.654.000.

4.      Docenti universitari statali: 54.000.

Il numero totale di computer da acquistare è quindi di 9.639.000 pezzi circa.

I computer dovrebbero avere le seguenti caratteristiche: 8 gigabyte di RAM, 2 gigabyte di scheda video, un processore quad core, uno schermo di 15,6 pollici.

I computer dovrebbero essere tutti dotati dello stesso sistema operativo – Ubuntu per esempio è gratuito – e dei medesimi software gratuiti per creare documenti di testo, presentazioni, fogli di calcolo oltre che di altri software utilizzabili per l’apprendimento (ve ne sono moltissimi).

I computer dovrebbero essere uguali per tutti gli studenti, anche quelli delle elementari, così che per i bambini sia possibile apprendere in contemporanea la scrittura manuale e quella con la tastiera. Saranno i docenti a insegnare gli skill digitali ai loro allievi, così che se in una famiglia non vi sono le abilità per supportare il figlio lungo la strada della digitalizzazione, lo studente possa ugualmente imparare a usare un computer.

Ipotizzando una spesa media di 120 euro a computer, la spesa complessiva sarebbe di circa 1,16 miliardi di euro: una somma notevole, ma ridicola se paragonata al costo dei salvataggi di Alitalia: l’ultimo, nel 2020, è stato di tre miliardi di euro.

Certo, a quella cifra, bisognerebbe aggiungere anche le spese per la manutenzione e la sostituzione dei computer dopo qualche anno, nonché il contributo alle famiglie che non possono sostenere i costi della connettività, perché tutti gli studenti italiani dovrebbero essere connessi alla rete. Il nostro sistema dell’istruzione farebbe però un enorme salto in avanti: nel giro di pochi anni verrebbe formata una generazione di lavoratori dotati delle competenze necessarie perché l’Italia non perda il suo posto fra i paesi industrializzati.

I docenti avranno soprattutto un compito: appoggiare,  senza ostracizzarlo, l’utilizzo degli strumenti informatici nei processi di apprendimento. Vi sono addirittura degli esperimenti che dimostrano come sia possibile mettere in moto dei processi di autoapprendimento quando i ragazzi utilizzano (anche sa soli) un computer connesso a Internet. Mi riferisco a Sugata Mitra (2), ex professore di Tecnologie Educative alla Newcastle University, che nel 1999 ha aperto un “buco nel muro” – A Hole in a Wall – in uno slum di New Delhi, dietro cui ha sistemato un computer che i ragazzini potevano usare liberamente, mentre una telecamera osservava i loro movimenti.

I risultati sono stati sorprendenti: i bambini hanno imparato a utilizzare il computer da soli, migliorando le proprie competenze in informatica, inglese – pronuncia compresa – e matematica. Se qualcuno pensa che si tratta di una fake news, può guardare il Ted Talk di Sugata Mitra che ha vinto il premio del migliore Talk del 2013 con il racconto del proprio esperimento, continuato in altri paesi del mondo. Secondo Sugata Mitra, i bambini a cui è stato dato accesso a un PC connesso a Internet: “Hanno dimostrato miglioramenti nel rendimento agli esami scolastici, in particolare nelle materie che riguardano le abilità informatiche, l’uso della lingua inglese, oltre che maggiori capacità di concentrazione, attenzione e attitudine al problem solving; i ragazzi hanno anche imparato a lavorare in modo cooperativo, autoregolandosi”.

È impossibile concepire una scuola moderna che non sia capillarmente dotata di computer connessi a Internet. Bisognerà invece capire come realizzare l’integrazione tra l’insegnamento tradizionale, che prevede la presenza in classe di insegnanti e studenti, e le nuove opportunità di autoapprendimento offerte da Internet. Mi riferisco alle lezioni che si trovano su YouTube o su altre piattaforme, fino ai tutorial per imparare a usare dei software anche molto complessi.

A scuola, i computer degli studenti dovranno essere sempre connessi alla rete, come succede al lavoro, anche durante i compiti in classe. Un recente esperimento di Sugata Mitra, svolto insieme a studiosi israeliani, di cui ha anticipato i risultati a un convegno organizzato a Durham, Bright Ideas Gathering (3), ha mostrato come i voti degli studenti che hanno potuto usare Internet durante gli esami online siano superiori solo del 5% ai voti di chi non ha potuto farlo: una variazione non significativa.

Bisogna considerare Internet come la più vasta biblioteca del mondo, consultabile senza doversi recarsi fisicamente in un edificio – magari a Washington – per trovare i libri da fotocopiare, come succedeva quando cinquant’anni fa preparai la tesi alla Biblioteca Nazionale Centrale di Roma, dove acquistavo dei sacchetti di monete da cento lire per fare le fotocopie con delle macchine che erano sempre rotte (le code alle fotocopiatrici duravano ore).

Agli studenti bisogna insegnare a usare Internet per trovare le informazioni più pertinenti ai propri studi, per poi elaborarle in modo intelligente, ingegnoso e creativo. Regalare a un ragazzo degli anni ’80 un centinaio dei preziosi e introvabili sacchetti da cento lire della Biblioteca Centrale di Roma non l’avrebbe certo aiutato a scrivere una tesi in Economia, se prima non avesse fatto degli studi adeguati, così come un ragazzo che oggi potesse accedere a Internet durante gli esami, non riuscirebbe a laurearsi in ingegneria se non avesse studiato gli argomenti degli esami.

Non c’è più neanche il rischio che gli scolari “copino” dal web, perché esistono degli ottimi software antiplagio in grado di scoprire se il testo è stato copiato e incollato da un’altra fonte o anche semplicemente parafrasato. Basta fornire ai docenti le licenze per usare questi programmi, perché ai loro allievi passi ogni pulsione a scopiazzare brutalmente da Internet.

Una scuola digitalizzata in cui tutti gli studenti possono utilizzare dei computer connessi alla rete consentirebbe infine di non fare più distinzioni tra studenti normali e con un Disturbo dell’Apprendimento (4). La cattiva calligrafia, la difficoltà a fare i calcoli, la fatica a leggere, la scarsa memoria di lavoro dei dislessici sarebbero compensate dai software di scrittura, calcolo, lettura e dalle informazioni che si trovano sul web. Aggiungo che un dislessico può scrivere un testo in inglese dettandolo a un software: basta saper parlare una lingua per poterla scrivere. I software non fanno errori di ortografia e non hanno una cattiva calligrafia.

Un post scriptum sulla scuola digitale: i computer forniti dallo stato dovrebbero essere dotati di filtri che impediscono l’accesso ai siti pornografici, altrimenti una campagna di digitalizzazione potrebbe contribuire alla diffusione della pornografia tra i minorenni. La pornografia è il lato oscuro di Internet dal quale bisogna difendere i ragazzi che oggi peraltro consultano liberamente i siti pornografici sui propri cellulari. Un fenomeno mondiale sul quale dovremmo riflettere, ma per cui non esiste al momento una soluzione migliore dei filtri di navigazione sui dispositivi utilizzati dai nostri ragazzi.

Ultimo post scriptum sugli smartphone da mettere via durante le lezioni: siamo tutti d’accordo, caro Ministro Valditara, “e che non se ne parli più” (5).

 

(1) Ilaria Venturi, Scuola, rapporto Ocse-Pisa: solo uno studente su 20 sa distinguere tra fatti e opinioni, Repubblica, 3 dicembre 2019, https://www.repubblica.it/scuola/2019/12/03/news/ocse-pisa-242483497/ Gianna Fregonara e Orsola Riva, Prove Invalsi 2021, il tonfo della Dad. Alla Maturità metà degli studenti ne sa come in terza media, Corriere della Sera, 14 luglio 2021, https://www.corriere.it/scuola/medie/cards/prove-invalsi-2021-tonfo-dad-maturita-studenti-ne-sanno-come-terza-media/caporetto-apprendimenti_principale.shtml.

(2) Sugata Mitra, The Hole in the Wall: Beginnings of a new education, Indipendentely Published, ‎ 27 April 2021.

(3) Sugata Mitra, Bright Ideas Gathering, convegno organizzato a Durham da Herb Kim il 20 novembre 2021.

(4) Disturbi Specifici dell’Apprendimento: https://it.wikipedia.org/wiki/Disturbi_specifici_di_apprendimento

(5) Viaggio al termine della notte, Louis-Ferdinand Céline, Ernesto Ferrero (Traduttore), Corbaccio, 13esima edizione, Milano, maggio 2021.

TAG: competenze digitali, computer, Giuseppe Valditara, internet a scuola, scuola, smartphone, smartphone in classe, tablet
CAT: scuola

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