
Geopolitica
Algeria ed Iran: analisi su come l’Italia alimenta, senza volerlo, due guerre
L’Algeria, partner energetico privilegiato dell’Italia, si trova oggi al centro di un intricato scacchiere geopolitico che chiama in causa scelte politiche, interessi strategici e soprattutto una questione morale sempre più difficile da ignorare
L’Algeria, partner energetico privilegiato dell’Italia, si trova oggi al centro di un intricato scacchiere geopolitico che chiama in causa scelte politiche, interessi strategici e soprattutto una questione morale sempre più difficile da ignorare. In un momento in cui il nostro Paese si impegna a sostenere l’Ucraina nella sua difesa contro l’invasione russa, appare paradossale — se non contraddittorio — continuare a finanziare indirettamente una nazione che utilizza parte dei proventi delle esportazioni di gas per consolidare legami con regimi ostili all’Occidente e, in modo diretto o indiretto, supportare l’apparato militare russo attraverso triangolazioni e alleanze regionali.
Gli eventi recenti rendono questa ambiguità sempre più visibile. Il conflitto scoppiato tra Israele e Iran ha portato alla luce una relazione solida e in fase di rafforzamento tra Algeri e Teheran. Il 8 aprile scorso, appena due mesi prima dell’inizio della guerra, il presidente algerino Abdelmadjid Tebboune ha ricevuto al Palazzo El Mouradia il vice-ministro degli Esteri iraniano Abbas Araghtchi, il quale gli ha consegnato un invito formale per una visita di Stato in Iran. Un invito che, a causa dello scoppio delle ostilità, non potrà concretizzarsi, ma che dimostra comunque l’intensità del rapporto bilaterale tra i due Paesi.
L’Algeria è stata l’unica nazione del Maghreb a prendere posizione apertamente a favore dell’Iran, condannando l’attacco israeliano come “un’aggressione che non sarebbe stata possibile senza l’impunità di cui gode l’aggressore”. Parole forti, che pongono Algeri in netta antitesi con le posizioni espresse dalla maggior parte dei Paesi occidentali, compresa l’Italia. Eppure, è proprio l’Italia a rappresentare uno dei principali finanziatori dell’economia algerina, grazie agli accordi energetici che hanno trasformato l’Algeria nel nostro primo fornitore di gas naturale dopo la crisi ucraina.
Nel 2022, nel pieno della ricerca di alternative al gas russo, il governo italiano ha rafforzato la cooperazione con Algeri, firmando nuovi contratti attraverso Eni e potenziando il gasdotto Transmed. Un’operazione strategicamente necessaria, ma condotta senza una vera valutazione delle conseguenze geopolitiche. I miliardi versati all’Algeria finiscono nelle casse dello Stato, che li redistribuisce secondo priorità proprie, non sempre trasparenti né allineate agli interessi italiani o europei.
Il legame tra l’Algeria e l’Iran non è recente. Affonda le radici nei decenni passati, in quella stagione rivoluzionaria degli anni ’70 in cui Algeri si proponeva come mediatore internazionale. Memorabile l’accordo firmato nel 1975 tra lo Shah iraniano Mohammad Reza Pahlavi e Saddam Hussein, grazie alla mediazione algerina. Tuttavia, la relazione è stata anche segnata da momenti di tensione, come negli anni ’90, quando il regime algerino accusava Teheran di supportare i gruppi islamici armati durante la sanguinosa guerra civile. Nonostante ciò, negli ultimi anni, la convergenza strategica tra i due Paesi si è rafforzata, alimentata da interessi comuni: entrambi vedono Israele come nemico, diffidano dell’Occidente e cercano di rafforzare il proprio ruolo nella regione mediorientale e nordafricana.
L’Italia, in tutto questo, continua a mantenere un profilo basso. Ma il rischio è quello di essere complice involontaria di una politica estera che mina la stabilità della regione. I fondi che Algeri incassa dai contratti energetici servono a rafforzare la sua posizione internazionale, a finanziare la diplomazia parallela con Teheran, e, secondo alcune fonti, a mantenere rapporti opachi con Mosca, anche attraverso triangolazioni commerciali non direttamente sanzionabili. In altre parole, mentre l’Italia si impegna a sostenere militarmente e finanziariamente l’Ucraina, continua a versare miliardi a un Paese che, almeno in parte, potrebbe contribuire ad alimentare indirettamente lo sforzo bellico russo. Un cortocircuito che non può più essere ignorato.
Questo non significa chiudere i rubinetti del gas algerino da un giorno all’altro. Sarebbe irrealistico e controproducente. Ma significa condizionare ogni nuova intesa a un chiaro impegno politico e diplomatico. L’Italia deve chiedere trasparenza sui flussi finanziari, coerenza sulle alleanze internazionali e allineamento ai valori fondamentali del diritto internazionale. Non è più il tempo della realpolitik cieca: oggi ogni euro speso ha un peso morale, oltre che politico.
Le opportunità legate al gas algerino restano numerose, soprattutto per garantire la sicurezza energetica nazionale. Ma non possiamo più permetterci di ignorare le contraddizioni di un partenariato che rischia di logorare la nostra credibilità internazionale. È tempo che l’Italia riveda la propria politica verso l’Algeria, chiedendo garanzie, pretendendo chiarezza e agendo con la consapevolezza che l’energia non è solo una merce: è uno strumento di potere. E noi, oggi, stiamo contribuendo — nostro malgrado — ad alimentare due guerre
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