Giornalismo
Il museo Zordan: quando l’impresa diventa racconto
Un viaggio dentro al libro che trasforma la memoria aziendale in esperienza viva: tra arte, architettura e sostenibilità.
C’è un’idea di museo che non custodisce, non protegge e non conserva, ma espone, rivela, condivide. Un museo che mette in moto, evolve, rinnova. Sfogliando e poi leggendo “Il Museo Zordan. Una nuova concezione di museo d’impresa”, a cura di Marco Montemaggi, si ha la sensazione di entrare in uno spazio vivo, dove le pagine si fanno ambienti e le immagini diventano materia.
Il volume, illustrato da fotografie di alta qualità estetica, restituisce la forza di un progetto che ridefinisce il senso stesso del museo d’impresa: non più luogo di celebrazione, ma laboratorio di pensiero, dove l’impresa si racconta attraverso le relazioni e le responsabilità condivise.
Ed è Attilio Zordan ad accogliere idealmente i visitatori: non solo per rendergli il giusto omaggio come a colui che per primo ha accettato la sfida di dare vita all’impresa, ma perché in lui continuano a rispecchiarsi i valori che animano ancora oggi la Zordan. La sua storia e il suo esempio sono il filo che unisce passato e presente, ispirando le nuove generazioni a custodire un’eredità fatta di innovazione, passione civile e impegno.
Oggi Zordan progetta e realizza spazi retail per i grandi marchi del lusso internazionale, unendo l’eccellenza manifatturiera al rispetto per le persone e per l’ambiente. Nata nel 1965 come falegnameria tecnica, l’azienda è cresciuta fino a diventare una realtà capace di integrare al proprio interno tutte le principali lavorazioni — dal legno al metallo, dalla verniciatura alla tappezzeria — collaborando con una rete di artigiani locali. Ed è grazie a queste competenze, e a una rete di fornitori locali, che l’azienda veste i punti vendita più iconici nelle località più esclusive al mondo, dal Nord America al Medio Oriente. Da Valdagno ai flagship store di New York, Parigi o Dubai, Zordan porta nel mondo la qualità e la sensibilità del saper fare italiano.

Poi incontriamo, nel volume, l’architetto Alessandro Basso che racconta la nascita della nuova sede Zordan come si racconterebbe una partitura musicale. Il progetto, iniziato una decina d’anni fa e approdato nel 2015 all’attuale area produttiva, nasce da un lavoro corale, dove ogni voce ha trovato il proprio ritmo e la propria armonia. Basso paragona la costruzione della fabbrica a un brano di rock progressive, genere che negli anni Settanta e Ottanta seppe fondere complessità e melodia, tecnica e improvvisazione. Allo stesso modo, spiega, la nuova Zordan è frutto di un processo collettivo, di un dialogo costante tra architetti, ingegneri, artigiani e committenza. Un progetto pensato non solo per ospitare la produzione, ma per dare forma visibile a una cultura d’impresa fondata sulla collaborazione, la precisione e la ricerca di equilibrio tra bellezza e funzionalità.

«People è il viaggio nel tempo» – scrive Molteni – «che concentra in pochi attimi un’esperienza eccezionale, vissuta a diversi fusi orari e latitudini, da protagonisti lontani per geografie e culture, che si incontrano per compiere una missione impossibile.» Una missione che si realizza nel gesto condiviso del fare, nella precisione di un metodo che “assomiglia a un ingranaggio perfetto, frutto della collaborazione continua e coordinata di tutti gli attori coinvolti”.
Con Planet, invece, «il viaggio prosegue dentro e attraverso il Pianeta Terra e la sua bellezza. Sustainbeauty è il neologismo coniato da Zordan: rispettare l’ambiente, la comunità, il territorio, le forme e i materiali, gli spazi e i prodotti in grado di dialogare con i nostri corpi attraverso una conversazione sensoriale, tattile e immaginifica.» È qui che il museo si fa manifesto di un’etica operativa: la sostenibilità come pratica quotidiana, misurabile e concreta, «un gesto di cura, un atto di responsabilità.»
Pagina dopo pagina, si comprende che Il Museo Zordan non è un semplice libro illustrato. È un organismo narrativo che riflette il modo di lavorare di un’impresa diventata Società Benefit e B Corp, e che si interroga su come generare valore oltre l’economia. «Un’azienda – si legge nel volume – non deve parlare solo al consumatore, ma alla comunità: aprirsi, esprimersi, generare senso.» Il museo è la forma visibile di questa convinzione: una infrastruttura culturale che mette in relazione persone, saperi e territori.
Il lettore scopre che la vera protagonista è Valdagno, città che conserva la memoria di una lunga stagione industriale e cooperativa. Il museo nasce in dialogo con questo paesaggio sociale e architettonico, ne raccoglie le energie e le restituisce sotto forma di visione. È un racconto che unisce impresa e cittadinanza, lavoro e bellezza, artigianato e tecnologia. In un tempo in cui molte aziende parlano di sostenibilità come formula, Zordan ne fa una pratica quotidiana: la costruisce nello spazio e nella parola.
L’effetto del libro è quello di una visita: si attraversano ambienti, si incrociano voci, si sente quasi il rumore del legno e il ritmo delle mani che lavorano. Ogni fotografia è un dettaglio che apre un pensiero, ogni testo un passo dentro una filosofia del fare. Si percepisce che dietro la precisione industriale c’è un principio etico, e dietro ogni progetto una domanda: come costruire un’impresa che generi conoscenza, non solo profitto?
Nel suo insieme, Il Museo Zordan è racconto, manuale e invito. Racconto di un’esperienza unica, manuale per chi opera nella cultura e nella progettazione museale, invito a concepire il museo come organismo vivo, dove si producono idee prima degli oggetti. In questa prospettiva, il museo d’impresa non è più un archivio o un monumento, ma una forma di intelligenza collettiva: un luogo in cui il lavoro si pensa, si osserva, si condivide.
Il libro accompagna questa visione con una struttura che alterna testi brevi e immagini ampie, fotografie di architetture e dettagli di materiali, in un ritmo che imita il gesto produttivo: misurato, concreto, ma capace di stupore. Si legge come si percorre un laboratorio. Il linguaggio grafico e quello narrativo convivono, e la cura editoriale riflette la stessa idea di equilibrio tra precisione tecnica e sensibilità umana che attraversa l’intero progetto.
In fondo, Il Museo Zordan parla di un modo di essere impresa oggi: non solo fornitrice di servizi, ma creatrice di significati. Mostra che la cultura d’impresa può essere una forma di educazione civica, capace di rigenerare comunità e immaginari. Raccontare un’impresa, qui, non significa costruire un mito, ma rendere visibili le scelte, i dubbi, le responsabilità che la sostengono.
Nel tempo della persuasione per immagini, il Museo Zordan – e il libro che lo racconta – compiono un gesto controcorrente: trasformano l’immagine in conoscenza, la narrazione di un’esperienza. Tra architettura e parola, arte e progetto, il museo mostra che il futuro dell’impresa è un’opera collettiva, cooperativa e non competitiva, e che l’identità, per essere autentica, deve condividere.
Il volume si chiude nel presentare il progetto Ti faccio vedere con gli occhi chiusi della fotografa Elisabetta Zavoli che racconta un approccio alla visione che nasce dal silenzio, dalla pausa contemplativa che segue ogni suo lavoro. È in quel momento, dice, che i pensieri e le intuizioni si intrecciano come radici invisibili, formando una rete dove si depositano emozioni e nuove domande. Da oltre un decennio Zavoli sviluppa progetti di ricerca artistica sul rapporto conflittuale tra uomo e ambiente, un dialogo irrisolto che alimenta la crisi ecologica globale. I suoi lavori sono stati sostenuti da importanti istituzioni internazionali — European Journalism Centre, Earth Journalism Network, National Geographic Society — e dal 2022 è National Geographic Explorer. In questa prospettiva si colloca anche Ti faccio vedere con gli occhi chiusi, progetto nato su richiesta dell’azienda Zordan per raccontare la vulnerabilità climatica della valle del torrente Agno dal punto di vista di una pianta. È un gesto poetico e radicale: spostare lo sguardo oltre l’umano per dare voce a una forma di vita che, per consuetudine e distrazione, non vediamo quasi più.
Nel dialogo tra arte e impresa, Elisabetta Zavoli invita così a riconsiderare la nostra posizione nel mondo, ricordando che “sono gli occhi con cui guardiamo il mondo a dare significato a tutte le cose”.
Il volume sarà presentato il 13 novembre 2025 all’ADI Design Museum di Milano (Piazza Compasso d’Oro 1), nell’ambito di BookCity. Con Alfredo Zordan, Francesca Molteni e Marco Montemaggi, introdotti dal presidente di Museimpresa Antonio Calabrò, l’incontro partirà dal progetto editoriale (art direction di Alessandra Maiarelli) che documenta il Museo Zordan dalla nascita.
Massimo Ferrarini


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