Terrorismo

Il ragazzo di quindici anni e l’uomo che vorrebbe lapidarlo

8 Ottobre 2025

Un ragazzino tunisino di quindici anni è stato fermato dalla Digos di Firenze e dai carabinieri di Montepulciano e collocato in una comunità per minori con l’accusa di arruolare terroristi islamici. Il provvedimento giunge alla fine di una indagine che ha passato al setaccio le sue ricerche sul web e le attività sulle piattaforme di messaggistica.

Come è normale che sia, non conosciamo il nome di questo ragazzino (poco più di un bambino); non sappiamo nemmeno se è nato in Italia da immigrati tunisini o si è trasferito da piccolo nel nostro Paese.

I commenti alla notizia sui social network sono facili da immaginare: gli immigrati sono tutti delinquenti, devono tornare a casa loro, eccetera. Ma c’è un commento che si distingue per la violenza. Eccolo: “Ma perché in comunità???? Ma basta con queste leggi vecchie e decrepite!!! In questi casi serve la lapidazione!!!”

La lapidazione. Una delle cose per le quali ci sentiamo spesso più civili di certi paesi islamici: loro lapidano le persone, mica come noi. Con un singolarissimo cortocircuito, quest’uomo vorrebbe invece importare la lapidazione per usarla contro un (presunto) terrorista islamico.

Poniamo ora una di fronte all’altra queste due persone. Il ragazzino, quasi bambino, possiamo solo immaginarcelo. E possiamo ipotizzare la sua storia: sappiamo che dietro la radicalizzazione c’è spesso un forte senso di frustrazione personale legato alla marginalità sociale ed al vissuto di esclusione. Possiamo anche ricordarci dei nostri quindici anni, se non siamo stati troppo fortunati. Io sono cresciuto in una famiglia povera, con un odio fortissimo verso il padrone di mio padre – dalle mie parti, e nella mia classe sociale, non esistevano (e forse non esistono ancora) i datori di lavoro – in anni in cui governava un partito colluso con la mafia. Ero convinto, in quegli anni, che bisognasse fare la rivoluzione e che la rivoluzione non potesse essere che violenta. Non c’era Internet, allora. Se ci fosse stato probabilmente le mie ricerche non sarebbero state troppo diverse da quelle di quel ragazzino tunisino, al netto dell’Islam.

Guardiamo ora l’uomo. Ha un nome e cognome, lui. Un profilo. Sui cinquant’anni, una moto sportiva come foto del profilo. Dichiara di fare l’operaio. Vota Fratelli d’Italia o Lega Nord (condivide materiali di entrambi), e questo non sorprende troppo: è da anni che gli operai si sono spostati a destra. Dalla sua bacheca apprendiamo che sostiene Putin e, incondizionatamente, Israele; è molto indignato per l’azione della Global Sumud Flotilla, ma in generale per le azioni della sinistra; e ritiene che l’80% degli studenti italiani siano “scemi”. Non scrive molto, le poche cose di suo pugno raramente vanno oltre le due righe; per lo più condivide contenuti da Tik Tok.

Ora, l’impressione è che queste due persone – questo quasi bambino tunisino e questo operaio cinquantenne che vorrebbe lapidarlo – siano uno lo specchio dell’altro. Entrambi fragili e usati da qualcuno per il quale quella fragilità è preziosa. La pagina Facebook dell’operaio è destinataria di una produzione continua di materiali di propaganda: articoli, brevi video, meme con nessun elemento di riflessione, in cui il mondo sociale è ridotto alla logica binaria dell’amore e dell’odio (più odio che amore) e in cui l’umanità si divide dunque in amici e nemici. Una propaganda che non è troppo diversa da quella di cui è stata vittima il ragazzino di quindici anni. Materiale simile fa presa sulle persone solo a certe condizioni. Occorre molta ingenuità, o ignoranza, ma spesso sono sufficienti la frustrazione e il dolore. Occorre che sia attiva una certa parte del nostro cervello, quella che ha a che fare con le nostre emozioni primordiali; occorre che si sia immersi abitualmente in queste emozioni, al punto tale che la freddezza del ragionamento diventa impossibile.

C’è una differenza tra i due, però. Il ragazzino tunisino è in una comunità per minori e possiamo immaginare cosa sarà il suo futuro; è un deviante prima ancora di entrare nella maggiore età. L’operaio cinquantenne non è un deviante. La sua volontà di lapidare un ragazzino non fa di lui un criminale: nessuno metterà sotto controllo il suo cellulare o indagherà sulle sue ricerche nel web. Anzi. L’operaio è prezioso. Vale oro. Poche cose, oggi, valgono quanto quell’operaio. Perché è sul suo odio cieco, sulla sua visione del mondo ipersemplificata e sul suo rifiuto di ragionare che si costruisce il successo di una intera classe politica.

Ero molto arrabbiato, da adolescente, con i politici democristiani e socialisti. Mi sembravano esseri umani miserabili e pensavo che l’Italia meritasse di meglio. Davo ragione a Pasolini e alla sua denuncia del nuovo fascismo della società del benessere. Ma oggi abbiamo qualcosa di peggio. Abbiamo una classe politica che per anni ha lavorato intenzionalmente per corrompere e diseducare gli italiani, per spingerli verso gli istinti più bassi, per far di lor degli esseri umani al grado zero, incapaci di umanità, di riflessione, di qualsiasi slancio, vittime ingenue di narrazioni violente che fanno di loro strumenti del potere dando al tempo stesso l’illusione di non berla, di essere dritti, di aver capito tutto. E che su questa distruzione dell’umanità e della ragione costruisce il proprio successo elettorale.

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