Calcio
IL TIFO SPORTIVO NEL RISPETTO DELLA PROPRIA DIGNITA’
A Napoli anche il tifo diventa espressione della dignità di un popolo.
Nello sport del calcio, non tutto è omologato e omologabile. Ad esempio, il tifo degli sportivi: prova ne è quello per la squadra del Napoli, che si esplica come il riflesso di un amore per la città, e non, come accade negli altri casi, per una maglia – per l’attaccamento a un allenatore, a un direttore sportivo, a calciatori star, a un passato glorioso costellato di vittorie in decine di campionati – in parole povere non si tratta di un legame a un brand, a un marchio, la passione per il Napoli calcio ha il profumo della vita, della solidarietà, della comunanza. Nasconde la pervicace fedeltà a una città piena di problemi, limiti, magagne e a una squadra similmente crogiuolo di difetti e di virtù. La fedeltà nevrotica e ossessiva a una maglia e la professione di una fede che possono facilmente scadere in fanatismo non hanno nulla da spartire con il tifo per il Napoli, speranza viva, popolare e non popolaresca. Il calciatore che gioca col Napoli si sente anche lui partecipe, fa il tifo per se stesso in nome della comunità – non dell’appartenenza a un club – sul campo avverte il dovere di lottare ma non come milite di un sistema organizzato – di potere, di un patrimonio da difendere per motivi economici. Se a Napoli la stella di riferimento è il cuore, nelle altre città si brama la vittoria, per il compito di primeggiare, per provare che si è più forti degli altri. Napoli è una città che deve ancora liberarsi, in cui i suoi abitanti lottano ogni giorno per la sopravvivenza, non devono trionfare o battere avversari, il solo competitore è rappresentato dal proprio sé: è a se stessi che bisogna dimostrare di vivere con gioia; e sul campo sportivo si ripropone il tema della città – se si vince, è affinché la vita acquisisca ancor più il colore della felicità, e il senso di un riscatto dalla miseria umana, non dalla povertà. Essere poveri con dignità è una gioia, il napoletano non ne ha vergogna, e neanche si duole della ricchezza, quando appartiene alle classi agiate: la ricchezza sta sempre da un’altra parte, nella dignità e non nelle tasche. Insomma, lo scopo della vita non dovrebbe essere quello di raggiungere obiettivi, di primeggiare, di dimostrare il proprio valore, bensì di essere felici. Ecco che cosa diceva Totò a proposito della felicità: “Vi sono momenti minuscoli di felicità, e sono quelli durante i quali si dimenticano le cose brutte. La felicità, signori miei, è fatta di attimi di dimenticanza”. Forse il popolo napoletano sa dimenticare l’infelicità, i guai, le sofferenze, la povertà. Per secoli l’ha fatto. Ora ne gode i frutti.

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