
Sindacati
Metalmeccanici: “Salario, salario e poi ancora salario”
Intervista ad Augustin Breda, RSU FIOM Electrolux Susegana (TV)
Lo sciopero dei metalmeccanici del 20 giugno per il rinnovo del contratto nazionale è riuscito a ottenere, come non accadeva da tempo, la convocazione delle parti al Ministero del Lavoro il giorno successivo e la ripresa del negoziato, con un appuntamento fissato per il 15 luglio. E ha sfidato le nuove regole sulla “sicurezza”. Il corteo sulla tangenziale a Bologna il 20 giugno, infatti, metterà questure e magistrati di fronte a un dilemma: denunciare e processare migliaia di lavoratori, col rischio che il fronte contro il Decreto sicurezza cresca e che altri decidano di sfidarlo oppure adottare una prudenza che verrà interpretata come un passo indietro?
Ma aldilà degli aspetti politici il dato di fondo è che in un settore su cui certo aleggia la crisi dell’auto, ma dove una parte rilevante delle imprese ha ormai superato la crisi del covid e un’altra, quella legata alla difesa, beneficia (e beneficierà) di generose commesse pubbliche, Federmeccanica rifiuta categoricamente di mettere sul piatto una proposta che vada incontro ai lavoratori, per i quali, invece, la crisi sembra non finire mai. Ne parliamo con Augstin Breda, storico delegato FIOM alla Electrolux di Susegana, nel trevigiano, a cui per prima cosa chiediamo:
Quali sono i nodi spinosi del rinnovo contrattuale?
I nodi spinosi del rinnovo contrattuale sono tre: in ordine il salario, il salario e poi ancora il salario. Aldilà della battuta, ci sono anche questioni che riguardano la parte normativa, penso alla riduzione dell’orario di lavoro e alla sicurezza. Ma credo che difficilmente questa parte della discussione inizierà se prima non si scioglie il nodo degli aumenti salariali, cioè se non si verifica una disponibilità delle imprese, che nei primi 4-5 incontri non c’è stata, a mettere le risorse necessaria ad andare oltre al recupero dell’inflazione depurata dell’IPCA, cioè senza contare gli aumenti della bolletta energetica.
Insomma tu dici: se non andiamo oltre, di fatto gli aumenti energetici ci mangiano il potere d’acquisto al punto che non recuperiamo neanche l’inflazione reale.
Certo e questo significa non solo non aumentare i salari, ma continuare a vederli diminuire. Già siamo il paese europeo con la peggiore dinamica salariale degli ultimi 30 anni. E questa situazione implica inevitabilmente un fenomeno di dumping salariale a livello europeo, trainato proprio dai bassi salari italiani.
In che modo si declina il problema retributivo nella realtà manifatturiera del Nordest, un tempo additata come modello virtuoso?
Il Veneto è la regione che ha la dinamica salariale peggiore del nord. Qui ormai trovi i salari più poveri e gli effetti sono di due tipi: da una parte c’è l’impoverimento di chi lavora, soprattutto se non hai una famiglia economicamente solida alle spalle, dall’altra il fatto che la gente se ne va all’estero e comincia addirittura a essere difficile trovare manodopera. Persino i migranti, una volta che hanno regolarizzato la propria situazione in termini amministrativi, fanno il possibile per andarsene, ad esempio, in Francia.
C’è un impatto anche sulla questione abitativa?
Assolutamente. Le case in affitto non te le dà più nessuno. Le retribuzioni sono basse. E siccome viviamo in un mondo in cui tutto si basa sugli algoritmi, quando vai dalle agenzie immobiliari ti dicono di no, perché la tua retribuzione è bassa non solo per accendere un mutuo, ma anche per prendere un appartamento in affitto. Anche una famiglia con due posti di lavoro a tempo indeterminato e due salari da 1500 euro ha difficoltà. Poi, certo, non tutti sono colpiti allo stesso modo. I più penalizzati sono quelli che vengono dal sud Italia, dal sud del mondo e dall’Europa dell’Est, ma in una regione come la nostra, dove il costo della vita è elevato, anche gli italiani fanno fatica. Molti sono costretti a lavorare in nero per arrotondare, così come c’è sempre più gente che non si cura per ragioni economiche.
Qual è lo stato d’animo prevalente tra i lavoratori e come influisce sulla mobilitazione sindacale?
In generale si percepisce uno stato d’animo di forte frustrazione. Poi ci sono situazioni come la nostra, dove abbiamo la fortuna di avere una fabbrica ben organizzata, per cui gli scioperi si fanno e funzionano. Ma non ti nascondo che anche qui ci sono i mal di pancia. C’è chi ti fa notare che lui non arriva a fine mese e tu lo fai scioperare. Insomma la fatica si sente. Lo vedi anche sullo straordinario: qui da 25 sabati presidiamo le portinerie per evitare lo straordinario produttivo, ma per molti lavoratori qualche ora in più, inutile dirlo, aiuta. È anche per questo che questo rinnovo deve dare delle risposte efficaci alla questione economica. Poi fuori dal contesto Electrolux le difficoltà sono ancora più evidenti. Una delle critiche ricorrenti è che qualsiasi cosa fai non serve. Il sindacato è inutile, fare le lotte anche insomma, come ti dicevo, c’è una notevole frustrazione.
Intanto le imprese piangono miseria…
Ma in realtà qui, ad esempio, la crisi non si sente granché. Non siamo nelle condizioni pre-covid né covid. Cassa integrazione se ne fa poca. Qui da noi Electrolux l’ha sospesa e anche in altre fabbriche – penso a Zoppas, a DeLonghi o nell’occhialeria – non abbiamo segni particolari di difficoltà e cali di lavoro. Poi, a detta delle imprese, le commesse sono in diminuzione. Forse ridurranno gli straordinari, lasceranno a casa qualche precario, ma, questo è certo, non chiedono gli ammortizzatori. Noi, ad esempio, abbiamo 100 contratti a termine e il ricorso allo straordinario è costante. Insomma le aziende metalmeccaniche dicono no a qualunque aumento contrattuale, ma se vai a vedere i conti del 2023-2024 gli affari sono andati bene.
Cosa vi aspettate dall’incontro del 15 luglio?
A dire la verità non ho la minima idea di cosa potrà succedere. Certo, non credo che chiuderemo il contratto. Il 15 ci sarà ancora il vecchio gruppo dirigente di Federmeccanica. Il nuovo è appena stato eletto e non si è ancora insediato e probabilmente sarà un incontro interlocutorio. D’altra parte in genere se chiudi un accordo alla vigilia delle ferie non è mai un buon accordo. L’auspicio è che si faccia un passo avanti verso una soluzione che dia innanzitutto una risposta sul salario. Diversamente sarebbe una delusione che amplificherebbe la frustrazione di cui parlavo.
In Spagna è in atto un’ondata di lotte dei metalmeccanici e il tema, anche qui, è soprattutto il salario. Per il sindacato potrebbe essere un’occasione da cogliere. Non trovi che manchi un punto di vista europeo?
Sì, l’ho già detto all’inizio, tra le righe, quando ho parlato di dumping. Stare dentro un modello contrattuale in cui è scritto che non puoi aumentare i salari di un centesimo, ma al più recuperare l’inflazione significa che a livello europeo l’Italia diventa un punto di riferimento e un modello da seguire per le associazioni degli industriali, non certo per i lavoratori. Ma se andiamo oltre le chiacchiere e la propaganda che spesso dominano il dibattito sindacale e ci atteniamo esclusivamente ai dati, beh allora è evidente che non c’è una sola ragione che convalidi questa strategia. Perciò, sì, c’è un problema di modello contrattuale e più in generale di strategia sindacale. In Italia questo si riflette anche nell’idiozia di avere sindacati che dicono no al salario minimo. Eppure negli altri paesi europei c’è, non ha creato i problemi che si sentono evocare qui e, anzi, ha dato risultati positivi. A volte penso che basterebbe copiare.
L’intervista è tratta dalla newsletter di PuntoCritico.info dell’8 luglio 2025.
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