Al gran ballo dei corpi intermedi
A volte ritornano. Mai come in questo caso l’espressione calza a pennello per i corpi intermedi della rappresentanza. Dati in declino ormai irreversibile e, di fatto, messi fuori gioco dalla gestione della pandemia dove lo Stato centrale e burocratico si è preso, comprensibilmente, tutta la scena, ora tornano alla ribalta nell’era del recovery e soprattutto della “nuova normalità”.
Gli “stati generali” di Villa Pamphilj sono stati solo il primo assaggio. Un défilé (vecchio stile) prima del gran ballo condotto al ritmo di manifesti, rapporti, carte, sondaggi, mobilitazioni, gli immancabili eventi phygital e un bel pizzico di personal branding dei principali protagonisti. Un movimento che è sia ascensionale, cioè con la nascita di nuove rappresentanze legate ai nuovi temi dello sviluppo (rigenerazione, sostenibilità, giustizia sociale, beni comuni) e sia discendente, cioè fatto di strategie di riposizionamento dei corpi intermedi più istituzionalizzati nei confronti dei loro associati e dei territori rispetto ai quali, per svariate ragioni, avevano perso presa e polso della situazione. Forse perché impegnati in operazioni di “fusione a freddo” che hanno coinvolto più i vertici che la base (e probabilmente per questo finendo su un binario morto o a scartamento ridotto).
Il gran ballo attualmente in corso consiste proprio nell’incrocio di queste dinamiche e quindi sarà curioso osservarne gli esiti: come si scelgono i partner, chi conduce la danze, chi suona la musica. Ma stando fuor di metafora può essere utile cercare di mettere a fuoco i principali fattori che potranno fare la differenza in questo processo il cui esito potrebbe portare o alla nascita di una nuova intermediazione sociale che sa meglio cogliere e assecondare la struttura di società profondamente mutata o, all’opposto, un’operazione gattopardesca di riposizionamento da parte dei big players magari con il supporto più o meno compiacente da parte delle new entries.
Questo passaggio così delicato, rispetto al quale anche una “politica” seppur ridotta ai minimi termini dirà (e farà) ovviamente la sua, si gioca intorno a tre principali questioni.
1) La qualità dell’elaborazione: i motori di think tank, centri di ricerca, innovation hub, società di consulenza stanno girando al massimo dei giri della loro produzione, ma occorre capire se si tratta di elaborazione autentica, ovvero che fa lo sforzo di comprendere ciò sta emergendo, anche di contraddittorio e ambivalente, dalla trasformazione in atto o, al contrario, di un approccio “taumaturgico” alle sfide di quest’epoca basato sulla riproposizione ideologica di modelli interpretativi preconfezionati (magari “nell’era precedente”).
2) L’intenzionalità trasformativa: le varie Conf, Forum, Asso, ecc. sono, come si diceva, alle prese con processi di change management basati soprattutto su criteri di efficientamento, mentre oggi serve una visione di società che con coraggio guardi anche oltre l’orizzonte (peraltro sempre più ristretto e polarizzato) dei propri associati. Altrimenti gli intenti di cambiamento, soprattutto se di natura sistamica come richiesto in questa fase, rischiano di non uscire dal solco delle routine dei “tavoli”, dei servizi tecnico-amministrativi, degli house organ interni, ecc.
3) L’apertura della leadership: capacità di elaborazione e di organizzazione da sole non bastano se non vengono incarnate dai volti e dalle biografie di persone e soprattutto di comunità che definiscono una nuova rappresentazione di una nuova società. La retorica su questo punto è ai massimi livelli (in particolare rispetto a giovani e donne) e di conseguenza il rischio di un rallentamento o addirittura di una inversione dei fini è molto elevato. Il problema peraltro non riguarda solo le elité, ma anche i livelli tecnici con funzioni direzionali e di coordinamento delle associazioni che a volte faticano a mettere in atto strategie di contaminazione positiva tra vecchia e nuova rappresentanza sui territori.
Difficile dire come andrà a finire. Forse il miglior riscontro del cambiamento atteso non sarà solo a livello di costruzione e gestione delle politiche e forse neanche solo nei nuovi assetti di organizzazioni d’impresa, istituzioni pubbliche, soggetti del terzo settore, ma nei comportamenti e, ancor più in profondità, in quel “discorso pubblico” che riproduce nella quotidianità legame sociale e azione collettiva.
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