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Le fangose acque dello Stige digitale

di Anna Paola Lacatena

Si diventa odiatori o sostenitori del prossimo anche per interesse personale. Voglio quello che non ho e se non posso averlo odio chi invece di quello stesso bene dispone o amo chi è migliore di me ma solo perché riconosco nell’altro la promessa di un me simile a lui/lei.

23 Giugno 2025

Le fangose acque dello Stige digitale

Alla fine degli anni ’80 la giurisprudenza americana introduce il termine hate speech, intendendo il linguaggio d’incitamento all’odio (o discorso d’odio), tradotto in simboli, parole, frasi, gesti, comportamenti finalizzati ad offendere, ledere o procurare danni a individui e/o gruppi.

Con l’avvento dei social, il fenomeno si è allargato e diffuso, assumendo le forme dei già noti ma riclassificati bodyshaming, omofobia, insulti razzisti o sessisti, revenge porn e, purtroppo, tanto altro ancora.

La Raccomandazione di politica generale n. 15 della Commissione contro il razzismo e l’intolleranza del Consiglio d’Europa (ECRI) relativa alla lotta contro il discorso dell’odio, adottata l’8 dicembre 2015 e pubblicata il 21 marzo 2016, definisce l’hate speech online come il «fomentare, promuovere o incoraggiare, sotto qualsiasi forma, la denigrazione, l’odio o la diffamazione nei confronti di una persona o di un gruppo, nonché il fatto di sottoporre a soprusi, insulti, stereotipi negativi, stigmatizzazione o minacce una persona o gruppo e la giustificazione di queste forme o espressioni di odio testé citate, sulla base della “razza”, del colore della pelle, dell’ascendenza, dell’origine nazionale o etnica, dell’età, della disabilità, della lingua, della religione o delle convinzioni, del sesso, dell’identità di genere, dell’orientamento sessuale e di ogni altra caratteristica o situazione personale».

La legislazione europea, oltre a riconoscerlo come reato perseguibile penalmente, obbliga gli Stati membri a incrementare azioni che contrastino l’incitamento all’odio e a qualsivoglia forma di discriminazione.

Anonimato, nickname, false identità non hanno che ampliato la possibilità di manifestare il proprio odio rendendo piuttosto complesso, data anche la trasnazionalità degli utenti del virtuale, riuscire a risalire agli autori di commenti e comportamenti ostili.

Silenzio, approvazione, semplicemente indifferenza e incapacità di manifestare anche un piccolo segno di sdegno, poi, contribuiscono a normalizzare e ancor più a legittimare l’offesa, rendendo l’intera platea dei fruitori dei contenuti online complici e conniventi.

Non si tratta di un fenomeno del tutto nuovo, ciò che lo ha ridefinito, dunque, è la rapidità nel propagarsi su larga scala, raggiungendo un pubblico più ampio e variegato grazie agli strumenti tecnologici e digitali. Oltre all’offesa personale e diretta, l’hate speech nell’offesa cerca l’approvazione. Più questa è estesa, più l’haters ne ricava appagamento.

Il pettegolezzo, la malignità, la maldicenza non sono manifestazioni esclusive del terzo millennio. Sono sempre esistiti con la peculiarità tutta del passato, però, di restare confinati entro gruppi, quartieri, comunità di ridotte dimensioni, fatte salve rare eccezioni.

Le nuove tecnologie, l’affermarsi di internet e la nascita dei social media ne hanno di fatto decretato l’incremento con l’espansione del pubblico, rispondendo a due bisogni sempre più pervasivi: stare con gli altri senza per questo creare legami reali e trovare palcoscenici dove affermare la propria identità – spesso inautentica e narcisistica.

Con queste premesse e al tempo dell’antagonismo esasperato, paura (dell’altro) e odio (per l’altro) hanno finito per ritrovarsi corroborati, forse, come mai in passato.

Byung-Chul Han, docente di Filosofia alla Universität der Künste di Berlino, sottolinea a tal proposito come, nell’attuale società, l’unicità dell’altro genera un fastidio tale da avvertire la pressante esigenza di eliminarlo e di favorire il proliferare della positività dell’Uguale che, a sua volta, facilita la massima velocità e funzionalità dei processi sociali, impoverendo la socialità reale.

Se navigare sui social media crea la percezione di essere in contatto con il mondo, in verità alimenta esclusivamente la contemplazione della propria immagine rispetto alla quale l’altro diviene un utile, ma, comunque, un orpello.

Assurge a peculiarità dell’uomo contemporaneo, dunque, un narcisismo inteso come affermazione di sé, della propria presunta autenticità e della possibilità stessa di esprimere una nuova forma di emancipazione individuale e personale (Han, 2017).

Hate? Tutti senza esoneri e dispense

Fuori da specifici tratti di personalità dell’odiatore (narcisista, machiavellica, antisociale, sadica e psicopatica), spesso connessi a quelli dell’odiato (personaggio pubblico, politico, figure popolari, ecc.), possono essere diverse le motivazioni che inducono all’odio online o offline. Dalla noia alla ricerca di attenzione, dalla vendetta per aver subito un torto al piacere/desiderio di arrecare danno a qualcuno, mirando a colpire specifiche peculiarità come la bellezza (secondo canoni condivisi), il successo, la ricchezza, la notorietà e tanto altro (ricerca di potenza sociale negativa), l’odiatore si convince

Eppure già secoli fa, Tacito nell’opera “Agricola” aveva compreso che l’atto di odiare è naturale nell’essere umano e, spesso, senza la necessità di una vera motivazione – Proprium humani ingenii est odisse quem laeseris, (Agricola, 42, 3). Ciò che colpisce del pensiero dello storico e senatore romano è che faccia riferimento all’odio non di colui che è stato offeso ma di colui che ha offeso, ricordando proprio l’incontenibile astio espresso dall’Imperatore Domiziano nei confronti di Gneo Giulio Agricola (suocero dello stesso Tacito) e soprattutto del suo felice governatorato in Britannia iniziato con Vespasiano.

Nonostante l’atteggiamento virtuoso e umile del condottiero, l’Imperatore ne fece oggetto di odio e vessazioni varie – tra le tante, non gli accordò lo stipendio proconsolare, forse proprio perché Agricola non gliene fece richiesta -, probabilmente infastidito dai meriti e dai successi raggiunti in battaglia. Fu tale il risentimento da condurlo ad assassinarlo con il veleno.

Agricola, pur non ambendo a sostituire Domiziano, è vissuto da questi come un concorrente, come uno specchio feroce, come colui che coprendo di virtù i suoi passaggi finisce per evidenziare i limiti di chi, agli occhi di tutti, è gerarchicamente più in alto.

Se l’aggressività è una componente delle tante pulsioni umane, così come evidenziato da Freud, la stessa si rafforza nella dimensione collettiva, riuscendo tanto più a riunire e a coalizzare fintanto che vi siano altri da identificare come possibili e meritevoli destinatari di quella stessa rancorosa aggressività.

È la violenza del giovane protagonista della serie tv “Adolescence”, dell’incel di turno, è l’offesa verbale del respinto, dell’invisibile, di colui o colei che non corrisponde a quanto atteso, condiviso, apprezzato dal resto di un mondo ormai sempre più online.

Il giudizio si fa sprezzante, la minaccia nemmeno dissimulata, la presunta superiorità culturale, politica ed economica, tanto più manifesta quanto meno fondata e giustificabile.

È il più forte – o almeno quello percepito tale – che cela la propria fragilità o inadeguatezza cercando di affermare verità di comodo, in nome di una libertà da immolare sull’altare del presunto leader, incarnazione di un messia risolutore.

Nell’era della globalità, dell’interconnessione, della complessità, l’ignoranza si rivela un porto allettante così come la retorica della sovranità nazionale e dei confini sicuri. Muri e barriere mentali e fisici si elevano a soluzione per ogni forma di malessere e frustrazione.

In estrema sintesi, si diventa odiatori o sostenitori del prossimo anche per interesse personale.

Voglio quello che non ho e se non posso averlo odio chi invece di quello stesso bene dispone o amo chi è migliore di me, ma solo perché riconoscerò nell’altro la promessa di me simile a lui/lei.

Comunque sempre IO.

Fortissimamente IO.

Essere odiati (non) sapendo di odiare. Quando le vie del disprezzo si fanno tortuose

Odiare chi ci fa sentire meno di quello che vorremmo essere, anche e soprattutto fuori dall’intenzionalità dell’altro a farci sentire poco corrispondenti all’immagine chi ci siamo costruiti – e che non necessariamente deve corrispondere alla realtà – ma anche odiare chi potrebbe mettere a rischio il nostro vantaggio personale, le vie dell’hate sono tante e tortuose.

Esiste un odio sociale – l’esistenza di quello social è innegabile – che vede coinvolte le consuete parti dell’odiatore e dell’odiato ma a ruoli invertiti? Quando l’odiatore è esso stesso odiato?

È Freud a puntualizzare che se costui ci è talmente estraneo da non poterci attrarre con qualcosa che possa essere ritenuto significativo per noi, allora ci sarà molto difficile amarlo (Freud, 1982 [1930]).

Amare e rispettare l’altro allora diventa tanto più difficile se ci accorgiamo che costui non solo non ci ama, ma addirittura, secondo il noto psicanalista non mostra nemmeno la minima considerazione, non esitando a ferirci, ingiuriarci e calunniarci per mostrarsi superiore.

L’amor proprio è costruito dagli altri e amare l’altro è attribuire a questo lo stesso sentimento di unicità, dignità e valore che attribuiamo a noi stessi. L’altro come promessa, però, significa che la stessa può essere disattesa e di conseguenza tramutarsi in minaccia.

Il concetto di dissonanza cognitiva di Leo Festinger (1957) può aiutarci a comprendere come la distanza tra ciò che desideriamo e ciò che ci riconosciamo come realmente appartenente a noi stessi ci obbliga alla necessità di superare l’ambivalenza, riguadagnando l’amor proprio solo negando la superiorità di chi ammiriamo/odiamo.

Il risentimento, dunque, produce nuova competizione che, alla maniera di Thornstein Veblen (1924), sfocia nell’ostentare in maniera sempre più crescente ciò che ci divide e distingue dall’altro.

Ne fanno le spese gli stranieri, i giovani, gli esordienti di ogni settore, gli outsiders, gli esuberi che tentano di rientrare nel sistema produttivo.

Se questi ultimi soffrono per la mancanza di opportunità in un mondo che ventila spesso infondate opportunità per chiunque, chi ha messo a frutto le proprie reali o presunte capacità guarda alla mancanza di opportunità come una condizione la cui cifra è l’assenza di rischi (vedi dileggio per chi è stato titolare del reddito di cittadinanza) o come una condizione da perpetuare e cristallizzare per il timore di non dover ridimensionare la portata dei propri benefit, dividendoli con altri.

Perché tanti latinos hanno votato per un presidente degli Stati Uniti che vuole rimpatriare parte dei loro connazionali e che favoleggia su muri e dazi?

Forse perché cubani, venezuelani hanno assimilato il poco gradito binomio democratici=socialisti sdoganato dal trumpismo o forse perché questo potrebbe significare dover condividere un mondo sempre più ristretto di opportunità con una platea più ampia di pretendenti.

Se sto dalla parte di qualcuno, questo qualcuno deve meritarselo, dimostrando di avere qualcosa di simile o utile a me «qualcosa che mi assomigli in maniera sostanziale, così potrò davvero amare me stesso in lui. Tanto meglio se poi lui è migliore di me, così potrò amare in lui un’immagine perfezionata e idealizzata di me stesso» (Bauman, 2006: 69).

L’odio di chi occupa i gradini più bassi di quella che una volta era la scala sociale, neutralizzata dal tutti possono tutto di visione capitalistico-liberale, è orientato verso l’alto, sia pur tra l’immedesimazione e il disprezzo per ciò che è formalismo chic. L’odio di quanti occupano i vertici guarda a chi sta più in basso per difendersi dalla possibilità di dover condividere piccoli e grandi privilegi e a chi sta ancora più in basso per la paura che i frutti di quei privilegi gli possano essere sottratti con la forza. L’odio di chi sta al centro è tragicamente diretto verso tutte le direzioni: verso l’alto perché difficilmente raggiungibile, pur lambendone a tratti la soglia e pregustando il passo deciso, ma sempre ancora troppo sospeso e verso il basso dove si collocano tante underclass che nel pensiero più consueto e banale vivono sulle spalle dei contribuenti, facendosi gioco della benevolenza e delle regole delle istituzioni.

Le fangose acque dello Stige digitale ci riconduce ad un mondo darwiniano dove solo i più forti sopravvivono e la loro sopravvivenza è il segno più inequivocabile della propria forza – o più realisticamente di un collettivo processo di dis-umanizzazione.

Ognuno nutre un’idea alta di sé che, spesso, difende dalla possibilità di una messa in discussione, rimarcando presunti torti subiti per giustificare misure preventive di tutela.

La natura sociale dell’odio e il suo preoccupante propagarsi – anche grazie al volano dei social – esige una presa di coscienza e di responsabilità. Troppo comodo è sentirsene solo vittime. Più realisticamente dovremmo riconoscerlo in ognuno di noi sebbene il contrasto al fenomeno, pur partendo da ogni singola persona, non può essere unilaterale, ma auspicabilmente di campo ampio.

La sempre più diffusa istituzionalizzazione dell’odio, poi, non può che avallare e legittimare l’odio privato e sociale.

Ad ogni muro promesso dall’ipotetico risolutore di turno, ad ogni necessità di riarmo ventilata dagli scranni dei luoghi istituzionali di tutto il mondo quanti nuovi acquisti di armi da tenere in tasca corrisponderanno nel mondo reale e quante nuove offese, vituperi, minacce in quello online?

Bibliografia

https://www.coe.int/en/web/european-commission-against- racism-andintolerance/recommendation-no.15, consultato l’8 aprile 2025

Bauman Z. (2006), Homo consumens, Erickson, Trento

Festinger L. A., (1957), Theory of Cognitive Dissonance. Evanston, IL: Ros, Peterson

Freud S. (1982 [1930]), Il disagio della civiltà, Bollati Boringhieri, Milano

Han B. (2017), L’espulsione dell’altro, Nottetempo, Milano

Veblen T. (2007 [1924]), Teoria della classe agiata, Einaudi, Torino

 

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