Religione

Il popolo del presepe

27 Dicembre 2025

“Maje le stelle – lustre e belle se vedetteno accossí…correttero i pasture a la capanna…là trovajeno Maria co Giuseppe”. Queste alcune strofe di Sant’Alfonso Maria De’ Liguori che nel 1731 scrisse a Ravello il canto natalizio in lingua napoletana “Quanno nascette Ninno” la cui versione oggi più conosciuta è “Tu scendi dalle stelle”. Il canto religioso riprende il Vangelo di Luca, quando l’annunciazione degli Angeli ai pastori porta a conoscenza della nascita di Gesù, affrettando il popolo a recarsi sul luogo della nascita per adorare il Bambino. La tradizione del presepe trae origine dal racconto evangelico della nascita di Gesù, in particolare dal riferimento alla mangiatoia descritto nel Vangelo secondo Luca. Tanti sono i presepi realizzati, antichi e moderni, ad evocare la nascita di un “bambino” destinato a cambiare il mondo e, secondo la teologia, a salvarlo. E ci si ferma a guardare il presepe, da credenti, atei, agnostici o miscredenti, con occhi impassibili o stupiti e speranzosi verso gli allestimenti che ritraggono personaggi e numerose statuine con la bocca spalancata davanti al Mistero: chi inconsapevole dorme con un fiasco di vino, chi dinanzi alla capanna accoglie in un abbraccio la sacra famiglia e la stella cometa, il bue e l’asinello, i re Magi con i loro doni, pronti a entrare in scena all’Epifania.

Le tradizioni presepistiche in Italia, con le varianti regionali e la diffusione moderna e contemporanea delle diverse culture del mondo, si differenziano per materiali e ambientazione, spesso ispirata alla geografia locale. Ma il prestigio e l’effetto del presepe napoletano sono inimitabili: nel ‘700 i presepi cominciarono a diffondersi a Napoli, con la competizione fra famiglie nobili su chi possedeva il presepe più bello e sfarzoso…si commissionavano i migliori artigiani per realizzare intere camere degli appartamenti sfarzosi per ricoprire le statue di tessuti pregiati e gioielli autentici, in seguito cominciò a diffondersi nelle abitazioni del popolo. La tradizione del presepe, che affianca l’albero di Natale durante le festività natalizie, ha reso la realizzazione degli allestimenti più vicina alla tradizione evangelica tramandata con il suo fitto simbolismo di elementi che si nascondono nei personaggi e nei luoghi che animano il presepe. L’iconografia in tutto il mondo parla di rituali e misteri, provenienti dai Vangeli sinottici e Apocrifi che si perdono nella notte dei tempi. La rappresentazione parla del cammino terreno dell’uomo dal sonno al risveglio, dall’ignoranza alla conoscenza, dalla morte alla rinascita, dalle tenebre alla luce, basti pensare che nel calendario giuliano il 25 dicembre, giorno del solstizio d’inverno, era considerato come la nascita del sole e S. Agostino nei sui sermoni esortava “i fratelli” a non celebrare il giorno del 25 dicembre, il sole, ma Colui che il sole aveva creato.

La grotta, luogo di nascita del Messia, ospita i due animali, il bue e l’asino, che rappresentano il giorno e la notte, accanto ai pastori con le greggi che per sentieri impervi giungono al luogo che si configura come un confine tra luce, tenebre e il mistero della morte. La stella, presumibilmente associata al transito sui cieli della Palestina della cometa di Halley, assume il simbolo della conciliazione tra ordine e disordine. Il fiume è indicativo del tempo che scorre, a ricordare il ciclo vitale della nascita e della morte. Pozzi e fontane sono rappresentazioni magiche, che collegano il mondo dei vivi a quello dei defunti. La palma è un chiaro riferimento al giardino dell’Eden, considerata l’albero della pace, dell’abbondanza e della vittoria, tipica dell’area culturale medio-orientale. E se mulino e forno ricordano il bianco candido della farina associato alla verginità e al pane come nutrimento del pane di vita che è in Cristo, è il pane stesso cotto tra le fiamme, a simboleggiare il fuoco dell’inferno, dunque il monito a discernere il bene dal male, saziare il corpo nutrendo l’anima. Dunque la rappresentazione della nascita di Cristo, tra i virtuosismi costruttivi di ogni maestro del presepe, tra i diversi giochi di manifattura atti a suscitare lo stupore di chi osserva, racchiudono un chiaro simbolismo e un monito escatologico che rammenta a chi osserva che, dietro il trasporto visivo puramente spettacolare, non bisogna perdere di vista il valore associato: ovvero i destini finali dell’umanità, esortando alla vigilanza e alla speranza, sottolineando che la storia ha un fine positivo in Dio, nonostante le tribolazioni.

L’osteria infine, legata alla vita materiale, è posta accanto alla grotta, a simboleggiare l’eterna lotta tra il bene e il male, cedere all’ebbrezza del vino e ai bagordi della tavola, incarnazione del peccato e del diavolo-oste, che si presenta agli uomini sotto false spoglie, per attirarli verso il male. E il rituale del mangiare conduce all’atmosfera unica del Natale: le luci scintillanti, l’affetto della famiglia e l’immancabile tradizione delle tavole imbandite. Tra panettoni, torroni, piatti tipici e brindisi, ogni momento è un invito a lasciarsi andare ai piaceri della buona tavola perché il cibo è una parte essenziale della convivialità e della cultura natalizia.  E durante queste festività l’Italia si racconta attraverso un mosaico di usanze tipiche, sapori e tradizioni tramandati che custodiscono secoli di storia.

Ma nei giorni delle festività natalizie, tra i suoni degli zampognari che risuonano nelle strade comuni, le case in festa illuminate dalle luminarie e gli aromi che si mescolano a creare l’atmosfera magica che unisce intere famiglie, non si può non ricordare le terre del conflitto israelo-palestinese e di quello ucraino. Nei luoghi in cui è nato e vissuto il Salvatore, nei luoghi della Palestina, villaggi e città sventrate celebrano le feste di Natale in un’atmosfera sospesa tra gioia della festa e timore di nuovi attacchi. Un clima di tensione che non ricorda il viaggio dei pastori alla grotta, ma la partenza di popoli e persone da case sventrate e città devastate verso terre dove far sorgere la speranza di un futuro migliore. Forse nei villaggi che vedono ancora l’immagine di morti e feriti, la gioia del Natale, sprigiona nell’aria non i sapori, che tanti non riusciranno ad assaggiare, piuttosto la speranza di riuscire a trovare un lavoro e soprattutto prospettive future di pace nell’insicurezza del domani, con le minacce che ancora incombono sul futuro dei cristiani in Terra Santa. No ‘nc’erano nnemmice pe la terra…pace’n terra, nu cchiù guerra, questo è l’augurio custodito nel celebre inno di Sant’Alfonso. Nei luoghi di guerra, con il Natale ormai trascorso e sebbene l’alone di festa sia ancora nell’aria, sono molte le famiglie che, avendo perso tutto, non potranno far scartare ai bambini i doni e i giocattoli, per molti rimangono sconosciuti i lauti pranzi o le cene festive, tanti ascoltano ancora il boato delle esplosioni pur cercando di mantenere viva la “piccola fiamma” dello spirito natalizio.

Forse il presepe, con la sua cometa che richiama i cristiani presenti nella Striscia di Gaza, ricorda che «Il Signore è nato fra e per i perseguitati, gli oppressi, le vittime della violenza”, Gesù fra le macerie e non solo nella consueta capanna perché mai come in questo contesto il presepe è più che mai simbolo del Natale di guerra in Terra Santa. E il presepe si è prestato artisticamente per essere rappresentato con i personaggi della natività senza un volto riconoscibile: come dimenticare il caso di Bruxelles che ha dato scandalo, non solo per il furto dell’icona di Gesù bambino, ma per le rappresentazioni senza volto dei personaggi presenti nella scena della natività. L’artista, Victoria-Maria Geyer – definita cattolica – ha realizzato le principali figure della natività, con stoffe riciclate e ha evitato di rendere visibili i caratteri del volto, confidando che “ogni cattolico, a prescindere dal suo background o dalle sue origini, potesse identificarsi” nella storia biblica della nascita di Cristo. Opera d’arte o per il desiderio di cambiamento, osservare nel presepe sagome amorfe o zombie porta a riflettere su quanto ormai l’essere cristiani risulta vulnerabile, persino Maria, Giuseppe, Gesù bambino e i re Magi sono soggetti a storpiature a colpi di tessuto: è attraverso un patchwork assemblato in diversi colori che si riflette sulla numerosità di immigrati nel nostro Paese che è un paese sempre più etnicamente e culturalmente pluralista? Delle nostre tradizioni taciamo, ma, ricordando ciò che era cantato  da Sant’Alfonso “Se rrevotaje nsomma tutt’o Munno, Lu cielo, a terra, o mare, e tutt’i gente… Si rivoltò tutto il Mondo, il cielo, la terra, il mare, e tutte le genti”, per apertura, inclusività o modernità, la libertà artistica benvenga ma far scomparire i simboli e il significato religioso del Natale, non può lasciare indifferenti perché il presepe racconta molto più di una semplice decorazione natalizia: è il luogo dove ci sono ancora compassione, accoglienza, comunità, è un ponte tra passato e presente, sotto gli occhi dei pastori…pare sollevino sulle spalle, portando fino alle porte dell’Invisibile, là dove tutti attendono Colui che è un simbolo di speranza, di umiltà e di pace.

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