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Papa Leone XIV si affaccia su Piazza San Pietro subito dopo la elezione.

Religione

La scelta di Francesco, Il ruolo della teologa Cuda, la connection panamericana: così Prevost è diventato Papa

di Jacopo Tondelli
9 Maggio 2025

Papa Leone XIV, storia di un’elezione preparata nel tempo

“La verità è che, imprimendo una rapida svolta e ascesa alla carriera ecclesiastica di Prevost, Papa Francesco ha scelto il suo successore”. Qualcuno attorno a San Pietro si lascia andare a un commento fuori dai denti. E poi, di fronte a domande e perplessità, invita a riguardare le tappe di un percorso iniziato dodici anni e due mesi fa, quando nel marzo del 2013 fu eletto Jorge Bergoglio.

Fino a quel momento, in effetti, per sapere chi fosse Robert Francis Prevost bisognava essere profondi conoscitori del mondo dei Missionari Agostiniani: un sacerdote americano con un bel curriculum internazionale, ma senza mitria né anello. Sempre alla periferia dell’impero, almeno stando alla geografia vaticana: l’Illinois nativo, gli studi in seminario, un passaggio a Roma per imparare ai massimi livelli diritto canonico teologia e l’italiano, e poi tanto Perù, da missionario e formatore di giovani aspiranti preti. Non era nemmeno vescovo, il capo degli Agostiniani, quando Jorge Mario Bergoglio diventava Papa Francesco. Una carriera completamente diversa da quella degli altri papabili, e del più papabile di tutti, quel Pietro Parolin che sì, fu creato cardinale da Bergoglio a inizio pontificato, nel 2014, e che però lavorava in vaticano ai massimi livelli da molto prima, e cioè da quando 47enne entrò in segreteria di Stato per volere di Karol Wojtyla. Proprio nell’anno in cui crea cardinale un curiale di lungo corso come Parolin, Bergoglio nomina Prevost vescovo di Chiclayo, in Perù. Da lì in avanti, le tappe si susseguono con ritmo sempre più serrato. Nel 2020 entra a far parte della Congregazione per i Vescovi, un incarico chiave nella gestione della Chiesa universale. Ma è il 2023 l’anno del salto di qualità definitivo: Francesco a gennaio lo sceglie come prefetto di quel dicastero, cioè come responsabile dei vescovi di tutto il mondo, proprio lui che dieci anni prima non era ancora neanche vescovo, e a settembre 2023 lo crea Cardinale. Per definizione, elettore del prossimo Papa e papabile a sua volta. Una scalata rapidissima, resa possibile dall’attenzione del Papa per figure lontane dagli apparati vaticani tradizionali e vicine alle periferie del mondo e della Chiesa.

L’impronta bergogliana in questa ascesa, fino ad arrivare al soglio pontificio, è dunque piuttosto chiara. Chi vuole separare Leone XIV e la sua elezione da Francesco non fa i conti con la convinzione, che gira proprio tra i bergogliani di stretta osservanza, che Robert Francis Prevost fosse ritenuto da Jorge il Cardinale a lui più vicino, anche dal punto di vista umano, tra i papabili. Azzarderemmo perfino l’uso della categoria dell’amicizia, se fossimo certi che sia nota anche allo Spirito Santo. Di certo, la scelta del nome richiama il Papa della Rerum Novarum, ma rimanda anche a quel Frate Leone che, pur essendosi unito al Santo di Assisi nella “seconda ora”, ne fu il sodale più intimo, il fratello e il confessore, nella fase finale della vita e fino alla morte. A confermare la continuità –  per quel che si capisce mentre nelle stanze del Conclave c’è ancora l’odore delle schede bruciate per diventare fumata bianca, e ben sapendo che le verità di quelle elezioni specialissime si scoprono a distanza di anni, se mai – ci sono le dinamiche di alleanza e voto per come si sono manifestate nei due veloci giorni nei quali i cardinali erano dentro, e “tutto il mondo fuori” ad attendere. Parolin è entrato Papa ed è uscito cardinale, si legge. Lo si legge però sulle stesse pagine che lo davano per probabile Papa prima e durante, incuranti appunto dell’antico detto.

Eppure, la tela che doveva diventare la vela della barca di Leone XIV si stava cucendo da un po’. Una vela solida, che aveva l’albero maestro costruito lungo l’asse di vita, lavoro e missione di Robert Prevost, potendo contare sul seenso di squadra di quasi tutti i cardinali del nord e del sud del Continente americano. Un blocco di voti già importante, che avrebbe portato con sè molto in fretta il voto dei bergogliani italiani, e di molti cardinali di diocesi. Con Parolin, entrato Papa, sarebbero presto rimasti pochi voti sicuri, principalmente quelli di curia romana: troppo pochi non solo per essere eletto, ma anche, probabilmente, per essere decisivo nella conta. Tanto che – sempre per quel che vale, a così poca distanza dal Conclave – attorno a San Pietro più di qualcuno è convinto che i voti dei conservatori siano poi finiti  all’ungherese Peter Erdo, anche lui figlio di un altro tempo della Chiesa, e creato Cardinale appena cinquantenne addirittura da Giovanni Paolo II.

“Quando è iniziato il Conclave, a guardarla con gli occhi di dopo, la partita era praticamente chiusa, Leone XIV e la sua elezione erano nei fatti della storia e dello Spirito Santo”. Già, con gli occhi di dopo. Con quelli di prima, essendo una mosca che sapeva in quali finestre entrare dalla parti di San Calisto, si sarebbero viste riunioni fiume tra Cardinali delle due Americhe e l’aggiunta di qualche bergogliano europeo di stretta osservanza, e la partecipazione, definita “importante” ai fini dell’elezione, della teologa argentina Emilce Cuda – voluta da Bergoglio nel ruolo chiave di segretaria per la pontificia commissione dell’America Latina. Proprio il ruolo di Cuda riporta indietro di qualche anno nella carriera di Prevost. In una fase decisiva per comprendere la sua ascesa, e la fiducia accordatagli da Bergoglio e da tutta la Chiesa Progressista sudamericana. Già, perchè il “suo” Perù, quello che è diventato prima il paese di missione e poi di elezione, tanto da diventarne cittadino, è una delle centrali del cattolicesimo ultraconservatore, anzi apertamente reazionario, che ha vissuto a buona ragione il papato di Bergoglio come proprio nemico. Peruviane erano le radici del Sodalicio de vida Cristiana, fondato dal teologo di Lima Leonardo Figari nel 1971 e approvato da Giovanni Paolo II. Il Sodalicio è stato sciolto apena prima della morte di Papa Bergoglio, uno dei suoi ultimi atti, che vi raccontammo su queste pagine e del quale oggi si capisce forse meglio il peso. Peruviani diversi esponenti di una Chiesa che ha fatto tanto male a bambini innocenti e dato scandalo, come il Cardinal Cipriani, potente porporato dell’Opus Dei, punito proprio da Bergoglio.

È in questo Perù, il “suo” Perù, che Prevost prima riceve la fiducia di Papa Francesco e poi evidentemente lo convince che fosse ben riposta, visto che vi opera ai massimi vertici ecclesiali dal 2014 al 2023, prima di essere appunto chiamato a Roma, per prendere la responsabilità della gestione dei vescovi in tutto il mondo o, se preferite, per fare il Leone dell’anziano Francesco che vedeva il tramonto della vita e della sua missione terrena. Proprio nel pieno di quegli anni peruviani, anche Prevost viene lambito da uno scandalo sessuale. Nello specifico, viene accusato di non aver agito abbastanza tempestivamente contro un prete accusato da tre sorelle di violenze. Le violenze riportare a Prevost, che accoglie le denunce, le ascolta, ha sempre dichiarato di averle trasmesse alle autorità ecclesiali competenti, risalgono ad oltre 15 anni prima, e quindi non sono ritenute processabili dalle autorità civili che ricevono denuncia, una denuncia che proprio Prevost dichiara da subito di aver invitato a sporgere.

Le attenzioni dell’opinioni dell’opinione pubblica si concentrano sul prete accusato: Prevost dichiarò di aver detto alle denuncianti che quella era la prima accusa rivolta a quel sacerdote ma ciò non significava che lui non credesse a loro, e di aver proceduto ad allontanare tempestivamente l’accusato relegandolo a vita privata, mentre diverse testimonianze riportano che l’accusato ha continuato ad officiare cerimonie religiose, seppure lontano dal luogo della denuncia. Il processo ecclesiastico viene riaperto in seguito a polemiche e accuse circolate su alcuni media peruviani, ma va annotato che Pedro Salinas e Paola Ugaz, due giornalisti d’inchiesta che col loro lavoro hanno smascherato decine di preti pedofili, e dato il là al processo che ha portato poi Bergoglio a sciogliere il Sodalicio, sostengono non ci sia alcun fondamento nelle accuse di omissione rivolte nei confronti di Prevost. Anzi, Ugaz lo annovera tra i pochi prelati del continente americano ad aver sempre mostrato attenzione e solerzia nel combattere la piaga della pedofilia nella Chiesa. Incontrovertibile, inoltre, è che sospetti e veleni sul conto di Prevost siano stati veicolati da voci e media vicini al Sodalicio, che le accuse tornino a rimbalzare in rete proprio in vista del Conclave che porterà all’elezione di Leone XIV, e che l’avvocato canonico che accompagna la denunciante di fronte al tribunale ecclesiastico sia Ricardo Coronado Arrascue, cacciato in malo modo dal Colorado, ossessionato da Sandinisti e teologi della liberazione e per questo molto critico nei confronti di Francesco, già organizzatore di pellegrinaggi in Polonia sulle orme del Papa più amato in quel pezzo di Cattolicesimo sudamericano, e infine denunciato dalla diocesi di Lima perchè continuava a esercitare il ruolo di avvocato canonico essendo però sospeso a causa di diversi procedimenti penali ed ecclesiastici a suo carico.

E insomma, è guardando a questo quadro, nel suo insieme, che si capisce meglio la costituency di Leone XIV e della sue elezione, e chi erano invece i suoi avversari, in Vaticano come in Sudamerica. Le ricostruzioni “a caldo” lasciano il tempo che trovano, e per quelle a freddo bisognerà aspettare qualche anno, forse. Pare certo, invece, che fossero solide le resistenze targate Opus Dei, Sodalicio e Yunque. Proprio perchè consci della caratura e solidità dell’avversario, forse perchè temprati da anni di battaglie campali in Sudamerica, su Prevost invece sono piovuti tutti i voti dei bergoliani di ogni latitudine e tendenza,  senza nessuna dispersione, un obiettivo costruito strategicamente nel tempo e finalizzato tatticamente al momento giusto. Verrebbe quasi da pensare a un’azione leninista, ma lo diciamo a bassa voce, prima che qualche onesto prete cresciuto nelle foreste si becchi gli strali di chi, sconfitto, vede teologi della Liberazione da tutte le parti.

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