Scuola

I refusi di Valditara

21 Settembre 2025

Confesso di non riuscire a leggere senza ridere i rilievi del Consiglio di Stato alle Indicazioni nazionali della scuola dell’infanzia e del primo ciclo d’istruzione, e di questo bisogna essere grati al ministro Valditara: perché di questi tempi ridere non è davvero facile.

Una rapida sintesi per chi si fosse perso i passaggi precedenti. Appena nominato ministro dell’Istruzione, Giuseppe Valditara ha pensato bene di rinominare il suo ministero: Ministero dell’Istruzione e del Merito. Voleva, il ministro, dare un messaggio chiaro al Paese: basta con i cialtroni, da ora in poi si fa sul serio; da ora in poi solo i meritevoli andranno avanti.

Con la certezza di essere dalla parte dei meritevoli – è noto che il governo di cui fa parte è composto solo da persone dai meriti indiscutibili e dalla carriera cristallina – il ministro Valditara ha pensato di por mano alle Indicazioni Nazionali, ossia il documento che indica alle scuole gli obiettivi da raggiungere, i valori di riferimento, il profilo dello studente. Per compiere l’opera, il ministro ha messo al lavoro una commissione di più di cento esperti, naturalmente meritevolissimi. Che però, per qualche incomprensibile ragione, hanno partorito una bozza che era un documento sgangherato, inadeguato da ogni punto di vista, scritto male, disorganico. E pedagogicamente disastroso. Tra un’ingenuità e l’altra, emergeva con chiarezza una sola cosa: la volontà di dare una svolta in senso nazionalistico-patriottico alla scuola italiana. Un documento che ha suscitato la reazione quasi unanime del mondo pedagogico italiano e che il MIM ha presentato in una versione rivista, che in teoria avrebbe dovuto tener conto delle numerose critiche, ma che di fatto di poco si discosta dall’orrore iniziale.

Le Nuove Indicazioni fanno cascare le braccia fin dalla prima pagina. Dopo averle scaricate dal sito del MIM viene il dubbio di avere tra le mani il file sbagliato. Perché, ecco, manca l’intestazione del Ministero. C’è scritto solo “Indicazioni Nazionali per il curricolo” e poi, su un’altra riga, “Scuola dell’infanzia e Scuole del Primo ciclo di istruzione”. E basta. Manca il logo della Repubblica Italiana, manca il logo del MIM, manca la data. Né c’è, nel documento, alcun colophon. Qualsiasi docente che presentasse in questo modo, ad esempio, la propria programmazione annuale, con ogni probabilità sarebbe richiamato dal dirigente; né è concepibile che venga pubblicato un PTOF – il Piano Triennale dell’Offerta Formativa – senza il logo del Ministero.

Ora il Consiglio di Stato passa al setaccio in modo implacabile quella sciatteria. Perché non si limita a segnalare problemi come la mancata rispondenza del testo alla normativa europea o l’insufficienza dell’analisi di impatto, ma corregge anche, per così dire, le bozze. A pagina 60, ad esempio, gli esperti meritevoli hanno scritto: “se non si sa collocare appropriatamente i luoghi”. Non s’è trovato uno, tra i più di cento meritevoli ministeriali, che si occupasse della correzione delle bozze. O meglio: il ministro dei meritevoli non ha pensato di nominare una commissione parallela di correttori di bozze. E pensare che, per mantenere le proporzioni, una cinquantina di correttori di bozze sarebbero bastati.

C’è un rilievo formale che non è solo formale. A pag. 35 si legge che “La lingua italiana costituisce il primo strumento di comunicazione e di accesso alla conoscenza”. E qui, osserva il Consiglio di Stato, bisogna sostituire le parole “La lingua italiana” con le parole “Il linguaggio”. Non spiega perché, ma non è difficile capirlo. Perché, oltre a non rispettare la Costituzione (l’articolo 3, ma anche l’articolo 34), questa affermazione è falsa da più punti di vista. Il bambino non aspetta di cominciare a parlare per accedere alla conoscenza; è noto che le conoscenze acquisite dei primi mesi di vita sono fondamentali per lo sviluppo successivo. Né è scontato che la lingua acquisita sia poi l’italiano. Può essere che il bambino cresca in un contesto in cui la lingua parlata dalla famiglia è il dialetto o che sia una lingua straniera, se viene da una famiglia immigrata; e non si può certo dire che, essendo lingue diverse dall’italiano, non costituiscano uno strumento di comunicazione e di accesso conoscenza. Né è corretto pensare che un bambino non in grado di parlare sia escluso dalla comunicazione o dall’accesso alla conoscenza.

Questo errore è una spia che svela tutta l’inadeguatezza delle Indicazioni Nazionali e della visione pedagogica e politica – più politica che pedagogica – che le ispira. Un documento che pretende di far rientrare la straordinaria ricchezza del mondo culturale cui oggi è possibile accedere perfino in un Paese provinciale come il nostro nel miserabile imbuto di quel nazionalismo idiota i cui frutti marci sono ben evidenti in Russia, negli Stati Uniti e in Israele, con il risultato di offrire alle nuove generazioni una grottesca caricatura della cultura. Il governo sta facendo politica – pessima politica – sulla pelle dei nostri figli, anche a costo di andare contro ogni evidenza pedagogica e psicologica. E questo va denunciato. Senza però smettere di sogghignare: perché riescono, questi meritevoli, ad essere così goffi da incarnare la caricatura di sé stessi.

Foto di Brett Jordan su Unsplash

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