Calcio
Egregio Furlani, le spiego il Milan, il tifo e il calcio (e che quelli seri si dimettono per molto meno)
Il Milan perde contro il Bologna anche l’ultimo obiettivo stagionale, la Coppa Italia. Al dirigente che ha messo la firma sul disastro, un tifoso adulto chiede una cosa sola: dimettiti. Che così, magari, succede qualcosa di buono.
Egregio Giorgio Furlani,
le scrivo a caldo, ma sono parole lungamente meditate, subito dopo la meritata e dolorosa sconfitta del Milan, squadra e società della quale lei è amministratore delegato da due anni e mezzo, nella finale di Coppa Italia contro il Bologna. Era l’unico trofeo che la squadra della quale sono tifoso da sempre – dalla nascita, da quando ricordo – poteva vincere in questa stagione orribile, la stagione 2024-2025 che porta per intero i segni della sua dirigenza sportiva: la prima stagione nella quale, compiutamente, il Milan è un sua creatura. Spiegherò cosa intendo dire, semmai leggerà, ma prima tengo a precisare che la Coppa Italia era l’unico trofeo che il Milan avrebbe potuto vincere: poichè la Supercoppa Italiana, vinta in qualche deserto d’Arabia pur contro l’Inter, è un trofeo artificiale che non avrebbe suscitato emozioni se non avessimo superato in quella sede “cugini” decisamente più solidi di noi. E che non lascerà traccia in una storia, quella del Milan, nella quale di trofei importanti se ne sono vinti tanti e davvero. Se mai dovesse leggere, sono certo che avrebbe un’obiezione: “ma non è vero che sarebbe stato l’unico trofeo! sarebbero stati due, uno l’abbiamo comunque vinto”. Abbia la pazienza di leggere, ci arriveremo.
Un’altra premessa di metodo è d’obbligo: sono un tifoso del Milan. Sono certo che lei sappia di cosa sto parlando, ma nel dubbio – e visto che non scrivo solo a lei, ma in un luogo pubblico – vorrei dire che un tifoso è un essere umano che fa, pensa, crede, cose molto irrazionali, in ragione di un amore inspiegabile, che muove la passione per la maglietta di un colore – nel nostro caso due, bellissimi, che stanno magnificamente insieme, sono il rosso e il nero, questo sicuramente non le sfugge – e degli undici giocatori che la vestono e la sudano. Dentro a quell’amore assurdo e inspiegabile, c’è che noi tifosi – io di sicuro, immagino anche lei – per la nostra squadra vogliamo sempre il meglio. Poi, certo, ci sono tiforsi abituati peggio – quelli del Bologna che stasera ci alzano giustamente la coppa in faccia sono tra questi – e quelli abituati meglio – e noi siamo tra questi ultimi. Per cui siamo più esigenti, un po’ viziati, vagamente ingrati: dica quel che vuole, va bene così.
Però – e veniamo veramente e rapidamente al merito della questione per la quale vanamente le scrivo – i fatti sono fatti. I dati sono dati. La carta canta. Lei su Wikipedia accetta di essere ritratto come un ex studente modello di un liceo di Milano (le regalo una consulenza: non si fa, è una tamarrata, al Liceo capita di essere bravi, se lo si dice in giro a cinquant’anni si passa giustamente per sfigati), e poi come uomo di numeri, sia per la formazione che per la carriera successiva ai suoi studi: deve dunque confrontarsi coi numeri della sua dirigenza. Prima di lei, a fare il capo azienda, c’era Ivan Gazidis, uno che di mestiere fa il dirigente di azienda nel mondo dello sport. Lo aveva incaricato di dirigere il Milan – parlo da tifoso a tifoso: una delle più gloriose squadre di calcio del mondo e della storia del calcio – il fondo Elliot, un fondo che fa finanza aggressiva e dura – questo lo sa anche lei sicuramente, visto che ci lavora dal 2010 – dopo che si era trovato, sempre Elliot, ad avere il Milan in mano, avendolo preso da dei cinesi che aveva finanziato per rilevarlo da Berlusconi, e prima di finanziare questo Gerry Cardinale (con il quale lei fa double selfie da double minchia, non si offenda, ma sembrate proprio due minchioni) perchè a sua volta lo rilevasse. Devo essere sincero, egregio Furlani, di questo sì che mi piacerebbe parlare con lei, perchè sono certo che questa storia di finanza lei davvero la potrebbe spiegare bene. No no, non parlo dei bilanci del Milan, che vanno anche benino, con San Siro sempre pieno (certo, lo riempite di crocieristi e turisti che vengono a Milano e ricordano Kakà, Sheva e tutto il resto, ma non vi giudico, non per questo, almeno), parlo proprio degli assetti proprietari. Non ci sarà occasione di parlarne, ma sarebbe bello, e avrei un sacco di cose da chiederle.
Ma purtroppo devo accontentarmi di parlarle di dati pubblici. Quelli dei risultati. Vede, le parlo da tifoso, ma in fondo sono anche un cittadino che confronta un dirigente di azienda con lo specifico del suo core business. Già. Perchè appartengo all’odiosa categoria dei “tifosi adulti”, cioè di quelli che non vogliono solo “vincere”. Mi spiego: con diversi fratelli tifosi rossoneri ho discusso in un passato anche recente perchè continuo a pensare che, nel mondo di oggi, una grande squadra di calcio sia anche un’azienda. Mi piange il cuore a dirlo: ma è anche e anzitutto una azienda. E quindi lo so che i conti devono tornare. Lo so che fare uno stadio può essere prioritario rispetto al vincere un triplete o uno scudetto. E lo so, mi creda, lo so sicuramente meglio di lei, che se fossimo arrivati terzi in campionati e usciti dignitosamente agli Ottavi di finale di Champions League, ci sarebbero stati stuoli di tifosi – coi quali ho e avrei litigato, e in futuro farò lo stesso – incazzati neri a insultarvi. Ma il problema, vede, è che non andata così. E non – come dice chi non conosce bene i numeri come li conosce lei, e come anche più modestamente li conosco anche io – perchè non avete speso i soldi per fare la squadra. Intendiamoci, non siete stati munifici e largheggianti, non avete speso come spende chi ha grandi ambizioni. Ma insomma, il punto non è questo. Il punto è un altro, Egregio Furlani, ed è l’evidente arroganza che guida l’insieme delle vostre azione, e alza la montagna dei vostri errori. La cacciata di Paolo Maldini e di Frederic Massara, alla fine di una stagione complessa come quella che del 2022-2023, che veniva dopo l’euforia inattesa di uno scudetto incredibile e miracoloso, ha punito una dirigenza che aveva appunto vinto molto presto quel che nessuno aspettava, e poi raggiunto una semifinale di Champion League eliminando, peraltro, sia il Napoli già virtualmente campione d’Italia a fine inverno, allenato da Luciano Spalletti, sia il Tottenham di Antonio Conte. Qualcuno – modestamente anche io, tra loro – disse pubblicamente che quella ferita avrebbe lasciato segni profondi sulla storia del Milan, e sul suo futuro. Affidaste ai vostri comunicatori di fiducia il compito di insultarci. Bravissimi, foste.
L’anno seguente, per essere sicuri, avete giubilato Stefano Pioli dopo un secondo posto e una qualificazione in Champions League conquistata in carrozza, con ampio anticipo. Dopo che ci aveva riportati in Europa ereditando un Milan disastrato guidato da Gianpaolo – scelto da Maldini e Boban, perchè sbagliano anche i competenti, lo so, mi creda. Dopo che ci aveva riportati in Champions League, e poi appunto allo scudetto. E stabilmente tra le prima quattro in campionato. Lo so anche io che quel ciclo era finito e logorato. Ma il compito di chi “dirige” è quello di sapere come, a fine ciclo, iniziare un percorso diverso. E anche avere la forza di circondarsi di persone competenti, che sappiano decidere in autonomia nel loro campo (cosa che non sta succedendo tuttora, visto che non si capisce bene se non vogliate un direttore sportivo del mestiere, o nessuno voglia venire al Milan: resta che non c’è, e lei lascia intendere che per un po’ continuerà a non esserci).
E qui veniamo al punto. Ricordo lei, a bordo campo, a Milanello, la scorsa estate, con l’aria dello studente modello, spiegarci che stavate lavorando in “maniera molto soda”. Mi è rimasta in mente questa frase strampalata, perchè rappresentava con precisione il senso megalomane e sgrammaticato del ruolo, così distante da quel che manca e serve sempre, nello sport come nella vita, cioè il senso della realtà. Vede, Furlani, le parlo da tifoso del Milan, ma ancora prima da giornalista che guarda al potere da più o meno vicino ormai da qualche decennio: ognuno deve fare il suo mestiere, quello che ha appreso, quello per cui si è formato con passione e ambizione nel tempo. Marotta, per fare un esempio, è uno del mestiere, e infatti si vede. Lei no. De Laurentis, che fa il padrone, lo so, ma quel mestiere l’ha imparato, e quando ha creduto di fare a meno di professionisti ha preso gli schiaffi ed è tornato ad affidarsi a gente del mesterie, come Coonte, e infatti si vede. Ecco, si vede: lei non è del mestiere, e si vede. Sa da cosa, più di tutto, si vede? Dal fatto che lei aveva detto: “Se vincesse la Coppa Italia sarebbe il primo allenatore dai tempi di Carlo Ancelotti a vincere due trofei in una stagione”. Quella volta erano stati una Champion League e una Coppa Intercontinentale. Questa volta sarebbe stati la supercoppa italiana d’Arabia e la Coppa Italia. Sarebbero, perchè – appunto – l’unica coppetta che contava l’ha alzata, meritatamente, il Bologna. Ecco, Furlani, siamo gente che rispetta il mercato e le sue regole. A noi girano le balle. Lei torni a fare il suo lavoro. È un lavoro sicuramente degnissimo, ma non è quello di capo del Milan.
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