La memoria oltre il mito. Di Carlo Pisacane e, soprattutto, di noi

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23 Luglio 2017

Bene ha fatto Alessandro Leogrande a riproporre la figura e l’opera di Carlo Pisacane nell’anniversario della morte (2 luglio 1857).

L’ipotesi che sta al centro di L’altro Risorgimento, libro in cui Leogrande riflette sulla “sfortuna”  di Pisacane, è rimuovere la scena della morte eroica di Pisacane – la scena della spedizione per suscitare una rivolta che non ci fu, ma che gli stessi soggetti a cui era rivolta rifiutarono partecipando attivamente alla sua repressione – e sostituire quella scena con l’analisi della proposta politica e culturale del mondo politico di Pisacane che allora fu sconfitto.

Al centro del libro, dunque, la memoria del Risorgimento: un’identità nazionale che dall’inizio espelle sia l’ipotesi della trasformazione sociale, sia il senso di appartenenza a una storia e a una catena di simboli che richiamano il lemma Europa (altro segno che lentamente nel tempo si è sgretolato o si è consumato) e che allora, anche in forza della riflessione di Mazzini – che giustamente Leogrande ricorda – assumeva la  funzione di mito politico concreto.

Il tema, dunque, è rappresentato dalle sfide che poneva l’altro Risorgimento e che cosa ci è rimasto dopo. Ma anche che cosa significa oggi provare a rimuovere il peso dell’ “atto eroico” – in questo caso quello della morte per l’ideale – e prendere in carica su di sé le domande inevase che discendevano dai suoi scritti sul tema dello sviluppo , della rivoluzione sociale.

L’Altro Risorgimento insiste dunque intorno a un’idea di rinnovamento che spesso oggi risulta soffocata dalla retorica con cui è stata raccontata, ma anche dalla doppia retorica dell’antirisorgimento che ci ha accompagnato negli ultimi trent’anni: a Sud, con il ritorno della retorica filo borbonica di una ideologia del “Mezzogiorno”; a Nord dalla retorica leghista.

“Roma ladrona” per entrambi. E tuttavia entrambi accomunati da un’identica idiosincrasia: l’ipotesi di rovesciamento culturale e politico segnata appunto da quell’ “altro Risorgimento”, di cui Pisacane, e non solo lui, rappresentano un passaggio e un contenuto.

Concretamente nel caso Di Pisacane si perdono quelle le riflessioni che egli raduna ne la Guerra Combattuta come visione d’insieme del processo unitario; la connessione tra le concezioni militari e il pensiero democratico e socialista europeo, il panorama umano e culturale che nasce nell’esperienza dell’esilio, il profilo tematico e argomentativo dei suoi Saggi sull’Italia oltre a La rivoluzione.

Riflettere su Pisacane è mettere nel conto un esplicito “uso politico del passato”, laddove con questo termine non si intenda solo – né prevalentemente – lo stravolgimento di una vicenda, ma quanta parte della personalità, della propria esperienza individuale e collettiva si riversi in quel confronto.

Della personalità politica e culturale di Pisacane si perdono nel tempo – ma probabilmente già all’indomani della morte molte cose e molte suggestioni.

Leogrande ne propone tre, su cui vale la pena riflettere: di queste ne indico una: la riflessione di Pisacane mette in campo questioni e nodi dello sviluppo economico e sociale dell’Italia moderna, in termini di modernizzazione, di questione contadina e d’inclusione che in gran parte rappresentano le questioni a lungo non risolte del percorso di unità nazionale nonché la permanenza di questioni di lungo periodo nella storia d’Italia

E tuttavia ciò che dobbiamo chiederci è perché sia possibile quel passaggio ad un tempo di distruzione e di rimozione del suo pensiero e di quelle idee. Quel processo infatti ci riguarda non solo rispetto a Pisacane, ma anche in relazione ad altri momenti della storia contemporanea che abbiamo trattenuto nella nostra memoria

Credo che al centro stia la dimensione dell’”atto eroico”. Ovvero il momento della morte.

L’atto eroico, quand’anche solitario, genera sempre un miscuglio di sentimenti. Il problema di solito non riguarda i contemporanei di chi compie quel gesto, ma quelli che, a partire dalla generazione successiva, devono fare i conti con quel lascito. Quell’atto, infatti, rimane spesso come icona del personaggio. Lo assorbe fino ad annullarlo, consegnandolo definitivamente, attraverso quel gesto, alla memoria storica, o a rimuoverlo perché la difficoltà di fare i conti con quella scena finale, induce all’oblio o all’annullamento.

La morte , più precisamente la scena della morte, in gran parte contribuisce a rimuovere queste questioni.

L’effetto è  che la sfida che rappresenta quella vita – ovvero l’idea di un impegno e di una o sguardo al tema del rapporto tra sviluppo e sottosviluppo, l’idea che un altro mondo è possibile, che occorra partire dalle cose reali, per poi pensare un futuro diverso, si perde nella scena della morte. Così è accaduto a Pisacane.

E tuttavia la lezione “Pisacane” è utile anche oltre la sua storia.

Ho la sensazione che questo è quello che potrà accadere a Ernesto Che Guevara in occasione del cinquantenario della sua morte (sarà il prossimo 9 ottobre). A meno di non invertire la questione e dunque anziché leggere la sua vicenda, intellettuale, umana, a partire da quell’atto finale, non si guardi a un poercirso più profondo,diverso percorso, intellettuale, emozionale, umano, che fa di quella vita  un segmento della vicenda di lungo periodo dell’America latina in cui si incontrano e ritornano molte occorrenze della storia sociale, politica, culturale degli ultimi due secoli del subcontinente americano, da Simon Bolívar in poi. Ovvero guardare alla storia profonda dell’America Latina a quella, peer sempio, di José Manuel Balmaceda Fernández (1840 – 1891) Presidente del Cile dal 1886 alla morte e soprattutto simbolo della resistenza alle pressioni economiche esterne. Oppure José San Martin (1778-1850), l’eroe forse più amato dell’Argentina, senza dimenticare Antonio Maceo (1845-1896), un mulatto che guidò le forze che combattevano per l’indipendenza di Cuba, morto come José San Martin in un’imboscata. Dimenticato a lungo, è negli anni ’30 e ’40 che Antonio Maceo ritorna in auge ed entra nel pantheon degli eroi, in nome dell’autonomia e dell’indipendenza soprattutto rispetto agli Stati Uniti. Due immagini si sommano nella sua persona: la riaffermazione dell’autonomia e dell’indipendenza e l’aspirazione delle classi subalterne a una vita migliore.

Dunque il tema è la storia profonda di una realtà, e come poi dopo, le generazioni successive ereditato e danno senso a una storia che ricevono, come la rielabolarno e, cosa scartano, cosa perdono, o cosa nemmeno ricevono fermandosi alla scena mitogenica.

Ma quella possibilità sta in noi, in chi riprenderà (se la riprenderà) in mano quella storia, cercando di scavare oltre il mito. Comunque non fermandosi né accontentandosi del mito.

Come sempre l’’immagine del passato che sta nel  nostro presente non discende da ciò che nel passato è avvenuto, ma nella nostra capacità di leggerlo, di saper dare a quel passato un ordine. In breve a rileggerlo. Come il Pisacane che ci propone Alessandro Leogrande.

 

TAG: Alessandro Leogrande, Carlo Pisacane, Ernesto Guevara Lynch de la Serna
CAT: Storia

Un commento

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  1. dionysos41 7 anni fa

    Una rilettura attenta avrebbe corretto refusi, sviste, periodare confuso. L’ipotesi non è nuova. Ma in questa recensione i problemi sono solo sfiorati, andavano approfonditi e precisati di più, magari anche evitando inutili ripetizioni e lungaggini nella costruzione dei periodi. Peccato! Eccocome uno stile sciatto spreca l’occasione di un puntualizzazione storica necessaria.

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